L’eredità agostiniana dalla tradizione monastica alle filosofie francescane
DOI:
https://doi.org/10.13130/2035-7362/10355Abstract
Il XII secolo rappresenta per il mondo monastico un periodo di grande splendore dal punto di vista culturale e filosofico, in particolare grazie a figure come Bernardo di Chiaravalle e Guglielmo di Saint-Thierry, la cui riflessione rappresenta da una parte la maturità della tradizione monastica altomedievale, dall’altra il coronamento e la chiusura di un periodo, più che l’apertura di uno nuovo.
Paradossalmente il XII secolo segna anche un periodo di crisi profonda, in cui i monaci, che per secoli sono stati al centro dei dibattiti teologici e filosofici, sembrano lasciare il posto agli ordini mendicanti. Nel secolo successivo i francescani raccolgono in un certo senso l’eredità monastica, riprendendola in modo originale, come Guglielmo ha fatto con Agostino, riuscendo così a renderla capace di partecipare ai nuovi dibattiti filosofici e a trovare posto all’interno degli ambienti universitari.
Un esempio chiaro è offerto da Bonaventura da Bagnoregio, uno dei più grandi rappresentanti nel XIII secolo della tradizione agostiniana rivista alla luce dell’ispirazione francescana. Bonaventura riprende dalla tradizione monastica alcuni temi: la superiorità dell’amore, della volontà e del bene sull’intelletto, la centralità della relazione e dell’analogia nel rapporto tra uomo e Dio. Il linguaggio del filosofo francescano è in un certo senso simile a quello usato da Guglielmo: non è semplicemente evocativo, letterario e platonico, in quanto condivide le forti esigenze logiche e la nuova terminologia caratteristica dell’aristotelismo diffuso nell’università parigina.
Prendendo in esame la riflessione di Bonaventura, con particolare riferimento a Legenda maior e a Itinerarium mentis in Deum, e prestando attenzione ai temi riconducibili alla tradizione agostiniana e monastica, si può cercare di chiarire fino a che punto esista un legame con tale tradizione e quanto ci sia invece di originale e tipicamente francescano.
The twelfth century is a period of great splendor for the monastic world from the cultural and philosophical point of view, thanks to philosophers like Bernard of Clairvaux and William of Saint-Thierry in particular. Their philosophical thought represents not only the maturity of the early medieval monastic tradition and its crowning achievement, but also the closing of a period, rather than the opening of a new one.
Paradoxically, the twelfth century is also a period of profound crisis, in which the monks, who for centuries have been at the center of theological and philosophical debates, seem to leave their place to mendicant religious orders. In a sense, during the following century the Franciscans collect the monastic legacy, recovering it in an original way, as William of Saint-Thierry did with Augustine’s philosophy. The Franciscans also succeed in making this inheritance capable of participating in the new philosophical debates, also in university environments.
A clear example is Bonaventure from Bagnoregio, one of the most important philosopher in the thirteenth century that recovered the Augustinian tradition reconsidering it thanks to his Franciscan inspiration. Bonaventure picks up from the monastic tradition some themes: the superiority of love, of will and of good over the intellect, the importance of relationship and of analogy in the link between man and God. In a sense we can say that the language of the Franciscan philosopher is similar to William’s language: it isn’t simply evocative, literary and platonic, because it shares the strong logical requirements and the new terminology of Aristotelianism spread in Parisian university.
Considering Bonaventure’s philosophy, focusing on Legenda maior and Itinerarium mentis in Deum, and paying attention to the themes related to the Augustinian and monastic tradition, we can try to clarify the link with this tradition and what on the contrary is original and “typically Franciscan”.
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