Simona Vanni

(Lucca)

Robert Musil. La guerra nelle parole: tra sogno, redenzione
e “altro stato” *

[Robert Musil. The War in his Words: through Dream, Redemption
and “the Other Condition”
]

abstract. Through a close examination of The Man without Qualities, some of the writings contained in The Literary Nachlass and especially The Redeemer, one of the most significant preliminary versions of the novel, the article shows the evolution of Musil’s thought about the First World War. He supported it initially, as did many European intellectuals. How­ever, in retrospect and in the fine weave of the words used in the materials mentioned above, Musil ends up seeing in the Great Conflict only the failure of a buried humanity.

Introduzione

Von 1912 bis 1914. Die Mobilisierung, die Welt und Denken so zerriß, daß sie bis heute nicht geflickt werden konnte, beendet auch den Roman.[1]

Ci sono guerre inspiegabilmente sognate, attese e volute, illusoriamente liberatorie, vissute e alle quali l’uomo sopravvive incapace al suo ritorno di trasformarle in «esperienza […] di crescita»[2], come osserva Micaela Latini nel saggio Il ricordo è un dispositivo scadente proprio a proposito di Musil e la Grande Guerra.

Quest’ultima si rivela essere solo un drammatico canto di morte che giunto al suo termine fissa tutto e tutti in un silenzio disperato, svuotato di ogni senso e incredulo poiché niente è cambiato.

Eppure una generazione intera di intellettuali si aspettava, anzi ne era convinta, che solo con un conflitto di immani dimensioni potesse sorgere un mondo nuovo, un ordine nuovo, una società nuova e con ciò stesso un uomo nuovo, diciamo pure redento e redentore.

C’era addirittura chi già in anni non sospetti aveva deciso di costruire tutta una storia proprio su questa figura e portarla con sé nel viaggio della vita ed anche in guerra con il suo orrendo frastuono tra pericoli e malattie mortali, tra il sibilo metallico di frecce volanti ed eterni silenzi mistici, tra cielo e terra, tra vita e altra vita, tra illusioni e delusioni.

Gli anni prima della guerra

Vor allem an eine Tatsache erinnern: Um 1900 (der letzten geis­tigen Bewegung in Deutschland von großer lebendiger Kraft) glaubte man an die Zukunft. An eine soziale Zukunft. An eine neue Kunst. Die Jahrhundertwende gab dem den Firnis der Morbidität u.[nd] Dekadenz: aber diese beiden negativen Best­immungen waren nur der Gelegenheitsausdruck für den Willen anders zu sein und es anders zu machen als der vergangene Mensch.[3]

Ogni epoca ha un proprio segno di riconoscimento individuato magari in un autore, in un’opera, in un evento, in un accadimento mancato, in una parola o più semplicemente in una sensazione. Gli intellettuali del periodo prebellico avevano trovato il proprio contrassegno in un senso di attesa. Aspettavano infatti l’arrivo di un nuovo Messia o forse anche più di uno. Sembrava che solo un Salvatore fosse l’unica soluzione ai problemi di una cultura europea occidentale ormai al collasso e che ciò nonostante doveva confrontarsi con il numero tondo del 1900. Dalle menti degli intellettuali, fermamente persuasi che «die Zeit, in der sie lebten, zu seelischer Unfru­chtbarkeit bestimmt sei und nur durch ein besonderes Ereignis oder einen ganz besonderen Menschen davon erlöst werden könne»[4], l’idea della re­denzione iniziò a circolare per i vari strati della società, tanto che qualcuno finì con l’indossare veramente le vesti di un Cristo redivivo.

Così per lo meno a partire dal 1907 si potevano vedere in giro per le strade di Berlino i cosiddetti Naturmenschen[5] con tanto di tunica, capelli lun­ghi, barba incolta, sandali, dal passo sicuro nel loro incedere verso un’epoca che di lì a poco sarebbe esplosa nel primo conflitto mondiale.

Nelle pagine dei Tagebücher che hanno accompagnato Robert Musil alla guerra e nella guerra, nei numerosi saggi elaborati dopo tale esperienza, nei racconti sorti durante il conflitto e poi come vedremo nei fogli del Literari­scher Nachlass dedicati al romanzo, insomma in un continuo narrare, lo scrit­tore austriaco ripensa a quel clima culturale condiviso e corresponsabile dello scoppio del conflitto.

Attraverso tali scritti la critica musiliana è in grado di ricostruire la trama delle parole in guerra ancor prima degli uomini e in quest’ultima vedere l’ordito di un dilagante vuoto spirituale. Le parole, che dovevano passare e ripassare allora per le menti, per le discussioni nei caffè letterari, per le piazze, per la stampa, erano destinate a tessere una tela talmente spessa tanto da allontanare dalla realtà delle cose e da ottundere la capacità di ana­lisi e di risoluzione, talmente tesa da offuscare le menti come in un’allucina­zione.

E quali erano queste parole o segni del tempo?

Confusione e carenza di organizzazione spirituale, disordine, inesprimi­bile frammentarietà, disgregazione, contraddizioni, mancanza di connes­sioni con il passato, di valori stabili e di responsabilità, tensioni trascurate, malessere, decadenza, intorpidimento culturale, cattivo rapporto tra intel­letto e anima viaggianti su binari destinati a non incontrarsi, non considera­zione dell’aspetto interiore delle cose e dell’Io, valutazione capitalistica e al ribasso dell’uomo, deserto dell’anima. Al contempo si intrecciavano a que­ste parole quelle della speranza per una diversa specie umana, per un rinno­vamento della vita, per una redenzione dalla decadenza e dal vuoto ideale in cui era piombata l’umanità, per un nuovo futuro che doveva necessaria­mente nascere dalle ceneri del vecchio mondo[6].

Insomma scrive Musil in Das Hilflose Europa oder Reise vom Hundertsten ins Tausendste:

Es ist ein babylonisches Narrenhaus; aus tausend Fenstern schreien tausend verschiedene Stimmen, Gedanken, Musiken gleichzeitig auf den Wanderer ein, und es ist klar, daß das Individuum dabei der Tum­melplatz anarchischer Motive wird, und die Moral mit dem Geist sich zersetzt.[7]

Questo è il terreno fertile per l’allucinante e spettrale euforia che colse quasi tutti, anche Musil[8], allo scoppio della guerra e che condusse alla fatale mobilitazione a suo favore[9]. Terreno innegabilmente poco sano che fece sì che la guerra arrivasse con l’ebbrezza dell’avventura e come bonaccia[10] e che poi esplodesse come una vera e propria malattia o una febbre che ottunde i sensi, come un’energia in viaggio verso l’anima, sì, ma come fistola puru­lenta o ancora come un bisogno di uno schianto metafisico ovvero di una lacerazione del tessuto esistenziale dell’uomo a causa di un’insoddisfazione stratificatasi in tempo di pace, come fuga dalla pace, come noia della pace[11], come esperienza religiosa, se non addirittura mistico avvicinamento al di­vino, come sentimento inebriante che per la prima volta fa sentire nell’ari­stocratico intellettuale un senso di fratellanza, come una possibilità di ri­torno al primigenio, come paradossale cura redentrice o rigeneratrice per la «vecchia, […] invecchiata e peccatrice Europa»[12] in cui la violenza è addirit­tura giustificata nella metafora delle doglie del parto, infine come irreale at­mosfera di un sogno contro il mondo germanico.

Dopo gli anni trascorsi al fronte per Musil il Grande Conflitto si era certo rivelato per quello che era: delusione e disillusione, orrore e macchina di­struttrice[13]. Egli che aveva inteso la guerra, come scrive B. Cetti Marinoni, come «momento potenzialmente costruttivo»[14] si trovava di fronte al triste «Zusammenbruch dieser unterhöhlten Menschlichkeit»[15]. Contro tale realtà, e contro soprattutto gli effetti devastanti che essa avrebbe potuto avere sull’anima, Musil disponeva di un meccanismo di difesa senza dubbio salvi­fico, ovvero la scrittura.

Come ben notano Alessandro Fontanari e Massimo Libardi in La guerra parallela:

Narrare […] rappresenta l’unica possibilità di raggiungere una diversa comprensione di certe esperienze limite. Non è dunque un caso che emerga nei racconti e nei frammenti narrativi del periodo di guerra lo stretto rapporto tra esperienza bellica e necessità della narrazione. La narrazione riguarda sempre gli eventi eccezionali e inspiegabili di un soldato […]. Anche in uno dei primi articoli per la Soldaten-Zeitung, Ca­merati collaborate!, Musil pone come compito del giornale e di tutti i sol­dati che vogliano collaborarvi, proprio quello di trattenere nei rac­conti, ciò che viene vissuto al fronte […]: “non è necessario scrivere dei versi, per essere poeta; il poeta vede le cose come se fosse la prima volta; ogni soldato che si renda imparzialmente conto di quanto vede, diventa poeta”.[16]

Nella fede alla scrittura o più semplicemente alla parola Musil suggerisce implicitamente qual è la via da percorrere per redimere l’Europa da quella malattia che l’aveva portata al collasso: non è un caso che intitoli uno dei suoi racconti sorti in guerra Ein Soldat erzählt, dunque soldato sì, ma nar­rante. Non è un caso che in alcuni saggi in un’ottica retrospettiva egli defi-nisca la poesia nelle sue più intime fibre come lotta per una forma più alta di umanità[17]. E che ancora scriva che «Gegenüber von Tatsache, Handel, Gewaltpolitik […] stehen Liebe und Gedicht. Es sind Zustände, welche über die Händel der Welt erheben»[18]. Non è un caso infine che al termine di Das Hilflose Europa citi i versi che Goethe rivolge a quell’anima tormentata e bisognosa di aiuto di Friedrich V. L. Plessing[19]:

Ist auf deinem Psalter / Vater der Liebe ein Ton / Seinem Ohr ver­nehmlich, / So erquicke sein Herz![20]

Musil estende questi versi a tutti noi poiché sono «eine Masche in der Reihe der Menschenliebe oder der Güte, welche Reihen durch die Vorstel­lungswelt von Anbeginn bis heute laufen»[21].

E qual è il significato essenziale di questi versi? Essi sono note, dunque vibranti di poesia e musica, ispirati da uno spirito d’amore per essere con­forto del cuore e con ciò stesso diventano speranza di salvezza. Fanno parte di una trama primordiale che Musil riesce a cogliere tuffandosi nel suo in­treccio e continuare a tesserla. I fili sono quelli dell’inizio dei tempi, dunque non ancora aggrovigliati dalle scissioni e deformazioni dell’uomo, sono la sorgente di un’energia vera e unificante sul cui flusso potrà forse essere tro­vata una via nuova.

Torniamo ora alla guerra così come si presenta in un appunto dello Heft 8 del Nachlass:

Die Zeit: Alles, was sich im Krieg und nach dem Krieg gezeigt hat, war schon vorher da. Es war da: Erstens: Geschehenlassen. Absolute Grausamkeit: Zweitens: Nur das Mittel erleben. Aus den gleichen Gründen Egoismus. Die Zeit ist nur zerfallen wie ein Geschwür. Alles muß man submarin auch schon in dem Vorkriegsroman zeigen.[22]

Esiste dunque una corrente sottomarina che attraversa subliminalmente ogni riga se non ogni singola parola dell’opera musiliana: l’autore stesso ci invita a entrare in questo flusso perché lì vivono i nodi che danno conto della guerra, di ciò che prima di essa era nel Vorkriegsroman e ciò che poi è nella rielaborazione successiva.

E allora l’intenzione di questo scritto è captare, per quanto possibile, l’energia subliminale che anima il palinsesto di un Mann ohne Eigenschaften in divenire, in particolare nei materiali dedicati a Der Erlöser.

La guerra nelle parole: il redentore

Das ist die Gesellschaft, welche ein Jahr zuvor Anders den kommenden Messias genannt hat.[23]

Nella trama delle parole di Der Erlöser e nella stessa figura del redentore prende vita una semantica di diretta derivazione dall’esperienza bellica e da quel clima spirituale in crisi delineato sopra.

Anche l’Erlöser musiliano ha a che fare con la speranza dell’avvento di un nuovo salvatore, apripista verso un’umanità nuova o rinnovata: dunque la guerra con la sua attesa messianica si manifesta innanzitutto nella scelta del titolo attribuito a «Alte Fassungen»[24] del romanzo, in cui ricorre una parola che andava molto di moda all’epoca e che sicuramente doveva farsi portavoce di quell’estrema «smania di riscatto»[25] che poi trovò la sua valvola di sfogo proprio nel grande conflitto.

In Der Mann ohne Eigenschaften Musil ricostruisce con il suo solito taglio ironico quell’assurda moltitudine di idee redentrici d’inizio secolo, riflesso anch’esse di quel caotico turbinio spirituale di cui si è detto sin dall’inizio[26]:

Auf diese Weise entstand damals unter den sogenannten intellektuel­len Menschen die Beliebtheit der Wortgruppe Erlösung. Man war überzeugt, daß es nicht mehr weitergehe, wenn nicht bald ein Messias komme. Das war je nachdem ein Messias der Medizin, der die Heil­kunde von den gelehrten Untersuchungen erlösen sollte, während de­ren die Menschen ohne Hilfe krank werden und sterben; oder ein Messias der Dichtung, der imstande sein sollte, ein Drama zu schrei­ben, das Millionen Menschen in die Theater reißen und dabei von vo­raussetzungslosester geistiger Hoheit sein sollte: und außer dieser Überzeugung, daß eigentlich jede einzelne menschliche Tätigkeit nur durch einen besonderen Messias sich selbst wieder zurückgegeben werden könne, gab es natürlich auch noch das einfache und in jeder Weise unzerfaserte Verlangen nach einem Messias der starken Hand für das Ganze. So war es eine recht messianische Zeit, die damals kurz vor dem großen Kriege, und wenn selbst ganze Nationen erlöst wer­den wollten, so bedeutete das eigentlich nichts Besonderes und Unge­wöhnliches.[27]

L’ironia è la strategia di cui si avvale l’autore per distanziare se stesso e il proprio pensiero da questi personaggi che sono solo una riduzione carica­turale del messia.

Cerchiamo ora di capire meglio attraverso le testimonianze anche del Lascito qual è lo scarto tra la carrellata di vani profeti, che realmente si po­tevano ascoltare o veder sfilare per alcune grandi città del primo Novecento, e il redentore musiliano.

Questi è certo «eine andre Art Erlöser. Aber weiß Gott, welche»[28], scrive l’autore in un foglio del Nachlass. Tale affermazione non è molto incorag­giante: sembra infatti che lo stesso scrittore non abbia ancora ben indivi­duato la propria linea salvifica. Tuttavia l’indefinito «altro», che qui com­pare, è la chiave per giungere a una maggiore definizione. L’altro ovviamente ci conduce al nome del protagonista in questa fase di elaborazione dell’opera, dunque il redentore è Anders, l’altro uomo come suggerisce una nota sibillina dello Heft 26 proprio sulla scelta del titolo: «Anderer Mensch: Erklärung des Titels»[29].

Nel tentativo di trovare ulteriori determinanti dell’altro ci vengono in aiuto alcune citazioni del Lascito in cui per esempio leggiamo:

Die Idee [die Erlösung] an sich ist gar nicht wichtig; eine der Lächer­lichkeiten, in denen sich die Zeit äußert, Symptom u.[nd] Ausdruck tiefer liegender Ideen. […] Morgengefühl eines jungen Menschen.[30]

Qui Musil spiega il valore che dà all’idea della redenzione: essa è una di quelle sciocchezze in cui si manifesta l’epoca in cui viviamo, tuttavia è sin­tomo ed espressione di idee più profonde: è la sensazione che un giovane uomo ha del mattino. Morgengefühl è sicuramente la parola più evocativa e interessante tra quelle usate per circoscrivere la Erlösungsidee. È un composto in cui la parola -Gefühl si fa portavoce di un aspetto interiore del giovane redentore strettamente legato alla sfera del sentimento, della sensazione, ma anche del presagio e dell’intuizione, e Morgen- ovviamente a quella del risve­glio. Cercando ulteriormente giungiamo a individuare almeno due occor­renze di questa parola in cui è chiaro che in essa è implicita anche l’idea di un mondo che si fa nuovo ogni giorno, dunque rinnovabile o già rinnovato: «Morgengefühl, die Welt ist mit jedem Tag neu»[31]. E ancora a questo pro­posito leggiamo: «Den etwas grundlosen Optimismus betonen. A[nders] fühlt sich. […] Morgengefühl eines jungen Menschen»[32]. Di questo senti­mento del mattino fa dunque parte anche un ottimismo immotivato, senza fondo e con ciò stesso inesauribile: del resto l’atteggiamento fiducioso è una tra le energie più forti con cui i giovani, a dispetto di qualsiasi contrarietà o sconfitta[33], riescono a guardare il mondo nascente o ad affacciarsi sulla vita[34]. Ed è proprio questo che sta facendo il redentore: gettare uno sguardo sulla vita per rivedere in essa riflesso il proprio volto[35].

Ci sembra inoltre rilevante ricordare a questo punto anche la scena in cui i due fratelli, ritrovatisi dopo tanto tempo per il funerale del padre, ricor­dano l’episodio in cui ancora bambini avevano voluto nascondere, in una sorta di ribellione nei confronti della generazione del padre, un fogliettino, scarabocchiato da Agathe e gettato nello scavo per tirare su la casetta dei domestici in giardino, e ben scritto invece dal fratello: «Anders schrieb: Ich bin – und nun folgte der Name dessen, der hier Anders heisst»[36]. È un sem­plice gioco da bambini in cui però Musil coinvolge anche il lettore lasciando in sospeso la definizione dell’Io da parte del protagonista: è una sorta di battesimo in cui egli sceglie per se stesso un nome che sente più intima­mente connesso con la sua essenza e che sembra opporsi a un qui, dunque pare già aprire la sua identità a una non ancora ben definita altra dimensione dove probabilmente non ha senso chiamarsi o essere altro. Rimane infine nel vago l’idea di un possibile nome, una possibile altra identità. Ma anche in questo Anders si rivela l’altro, il diverso, comunque non definibile fino in fondo.

I risultati dell’indagine qui condotta ci hanno portato a toccare, ed era inevitabile, la sfera del possibile. A tal proposito non possiamo fare a meno di riportare un’altra emblematica testimonianza individuata nel Nachlass che recita così: «Wenn A.[nders] aber ernstlich mit der Idee Erlösung spielt, so meint er den Essayismus»[37]. Dunque redenzione significa saggismo. E quest’ultimo può essere a sua volta definito come contrapposizione al mondo[38]. Un mondo convinto di se stesso, rigido, solo realtà che esclude da sé la possibilità di essere anche altro, di uscire dalle giunture che lo ten­gono insieme e quindi sperimentare altre modalità di vita:

Sie[39] […] ist von sich überzeugt und richtet sich nicht für morgen ein, sondern wie für ein ewiges Heute. Sie kann […] nicht schweben, son­dern muss möglichst fest sein, weil sie fürchtet, sofort aus den Fugen zu gehn. Sie ist keine Denkwelt, sondern eine Gewaltwelt. Die Ideen dienen ihr nur dazu, das zu rechtfertigen, was sie auch ohne Ideen oder aus der gewissen vagen atmosphärischen Ideenmischung heraus täte. Ihr erscheint A. unmöglich; das ist der Sinn von: nur denken oder schreiben statt leben. Sie ist kein Essay, sondern eine Wirklichkeit.[40]

La connessione saggismo – redenzione è in ultima analisi una questione mo­rale. È già chiaro nei materiali redatti a partire dal 1919, quindi a guerra conclusa, in cui il protagonista si chiama ancora Achilles[41]: egli ha fiducia di essere il redentore e, leggiamo, questo è il rischio della sua vita e la radice della sua morale[42]. Una morale che non è da accettare o tollerare come un sistema di norme prestabilito o come un’inequivocabile voce del cuore, è bensì da intendersi come impostazione di vita, come Essayistik des Lebens[43] che significa:

Jede Entscheidung und Handlung nur als eine Funktion der Umstände und Zusammenhänge behandeln. Nichts für eine Totallösung, alles nur für Partiallösungen ansehn. Man hängt in der Luft. Verzichtet auf eine feste Lebensform, auch für die Zeit. Die Zeit darf sich gewisser­massen nicht ernst nehmen. Sie muss sich sagen, dass sie in nichts eine entscheidende Lösung treffen kann, soll aber die Lösungen der Zu­kunft vorbereiten: dies die oberste Richtlinie ihres Verhaltens.[44]

È necessario dunque trovare non un’unica soluzione assoluta e decisiva, ma preparare più soluzioni per il futuro. Una vita impostata così considera proprio come in un saggio, ossia da prospettive diverse e molteplici, qual­siasi manifestazione del mondo, dell’Io o degli altri Io che gli ruotano at­torno, lo incrociano nel cammino o ne sono a volte un riflesso. Redime, nel senso che libera se stessa e tutto ciò che ad essa si intreccia, da quei margini di metallo entro cui i grandi scrittori hanno irrigidito tutto ciò che li ha mossi a scrivere, libera l’alterità insita nel mondo e di cui oggi si possono cogliere solo alcuni frammenti: esso (il mondo) potrebbe essere altro, scrive Musil nel Nachlass, anzi lo è stato già[45].

Moosbrugger, l’uomo-bestia e l’uomo-ponte

Der Mensch existiert nur in Formen, die ihm von außen geliefert wer­den. “Er schleift sich an der Welt ab”, ist ein viel zu mildes Bild; er preßt sich in ihre Hohlform müßte es heißen.[46]

Con le parole citate di seguito usciamo dal palinsesto del romanzo ed entriamo nel mondo di Christian Voigt, alias Moosbrugger. Sono un estratto dell’interrogatorio del processo, dettagliatamente riportato sulla «Il­lustrierte Kronenzeitung» del 21 ottobre 1911:

Ich fürchte keine Strafe. Mir ist es egal, was mit meinen leeren un­glücklichen Leben geschieht. Glauben Sie, ich habe einmal einen gu­ten Vorsatz gehabt. Da wollte ich einen anderen Platz in der mensch­lichen Gesellschaft einnehmen als ein zweifacher Mörder. Aber mein Gewissen, ich habe ein Gewissen, wenn auch irgendwo geschrieben steht, daß ich keinen habe. Mein Gewissen verlangt von mir: sage die Wahrheit![47]

Alcuni elementi di questa sorta di outing risultano vicini al pensiero mu­siliano sull’uomo: lo stesso assassino ammette di aver avuto un tempo buoni propositi che gli avrebbero fatto occupare un altro posto nel tessuto sociale. Dunque la sua vita poteva essere diversa. Ora questo sfogo lascia aperta più di una domanda: il buon proposito fallisce perché è destinato al fallimento? O solo perché insorge una malattia nella mente e nello spirito? O anche perché si scontra con un ambiente umano e sociale che non permette al falegname di far emergere la parte migliore o costruttiva di sé?

Forse anche Musil si è posto le stesse domande. E a ben cercare in Der Erlöser è possibile addirittura trovare una risposta:

Er hatte ein starkes und man könnte fast sagen natürliches Empfinden dafür, daß ein Mensch in einen dunklen, leeren, meilenweiten Raum hineingestellt, durchaus nicht imstande ist, seine Handlungen zu be­stimmen, und solche Lage schien ihm die zu sein, in welcher Moos­brugger geboren war.[48]

E ancora:

Er war in seiner Jugend ein Hüterbub und armer Teufel gewesen. In der kleinen, aus zerstreuten Häusern bestehenden Gemeinde gab es keine “Straße”, wo man sich fand und aussprechen konnte, bis man voneinander und sich selbst genug hatte. So konnte er Mädeln immer nur sehn. Auch später in der Lehre und dann gar auf den Wandrungen als Zimmermann. Man hat nicht gelernt, natürlich mit den Menschen zu verkehren, man war zu viel allein; man weiß nicht, wie leicht es ist, ihnen zu gefallen und weil man sich nicht traut, so dumm gewinnend zu ihnen zu sein, wird man unaufhörlich von ihnen gekränkt und in der eignen Würde beleidigt.[49]

E infine di fronte ai giudici emergono una certa assertività e una forte ambizione: «Es war ein ungeheurer Selbstbehauptungsdrang und Ehrgeiz in ihm, der unter andren Umständen ihn ganz gewiß zu ungewöhnlichen Leistungen befähigt hätte»[50].

È utile ricordare che tra il processo del 1911, la liberazione dal carcere per grazia ricevuta nel 1912[51] e la stesura di queste frasi si interpone l’espe­rienza bellica che mostra allo scrittore l’uomo in tutta la sua essenza. Questo sguardo da vicino sull’essere umano gli permette di sviluppare l’immagine secondo la quale l’uomo in guerra può improvvisamente trasformarsi «nicht nur in einen Heros, sondern auch in eine Bestie»[52]. In sintesi si presenta qui la cosiddetta Gestaltlosigkeit dell’uomo: «Ich möchte etwa sagen, daß die Menschen eine außerordentlich indolente Masse sind in jeder moralischen Frage. […] Der Mensch gibt sich nicht seine Lebensform. Es laufen da zwei Prozesse mit ganz verschiedenem Tempo und Phasenunterschied nebenei­nander. Die Kausalketten der menschlichen Entwicklung und der der Le-bensform sind verschieden»[53]. Nella «situazione-limite» che sia guerra o de­litto, come osservano Alessandro Fontanari e Massimo Libardi, si manifesta «in pieno l’amorfità […] dell’uomo» poiché in quelle circostanze uno «stesso individuo si è comportato da eroe e da bestia»[54]. E più in generale leggiamo in Der deutsche Mensch als Symptom: «Die gesellschaftliche Organisation gibt dem Einzelnen überhaupt erst die Form des Ausdrucks, und durch den Ausdruck wird erst der Mensch»[55].

La situazione-limite o critica si presenta a Moosbrugger una notte in cui tutto, anche lo spazio attraverso cui si muove, è instabile e ondeggiante e partecipa con ciò alla sua implacabile inquietudine. È in questa notte che il falegname incontra una prostituta. La respinge, ma lei insiste e quasi lo placca nel suo corrergli dietro. Le idee più assurde s’impossessano allora di Moosbrugger: forse dietro la ragazza si nasconde un uomo, forse lei e lui insieme vogliono prendersi gioco di lui e saltargli addosso. Sta di fatto che l’insistenza della ragazza e la paura di essere deriso fanno scattare in lui la molla omicida[56].

Il crimine dunque, le «bestialischen Schandtaten»[57] che commette, lo ren­dono senza ombra di dubbio e letteralmente una bestia. Una bestialità, la sua, confermata nella scena in cui Agathe gli fa visita ed egli «stramm und galant» prende nella sua «Tatze»[58] la mano della donna[59], una bestialità che lo introduce nella sfera della semantica della guerra.

Come mai Musil, e per riflesso Anders, è così interessato alla figura di quest’uomo “molto bestia e poco eroe”?

È di sicuro un personaggio singolare, o originale come dicono i giudici[60]. E la sua singolarità è la bonarietà che stride fortemente con il suo «eitlen Lächeln, seiner Gutmütigkeit und seinen ungeheuerlichen Taten»[61]. In lui dunque convivono forti contrasti: la terribile delittuosità, la vanità, la bona­rietà. Nel suo spirito si muovono qualità diverse e intermittenti. E nello sbilanciato gioco degli equilibri, che si agita nel suo mondo interiore, quella notte contro la donna si scatena «nur der stärkere Trieb»[62]. Emerge dunque purtroppo per lui solo l’istinto criminale, e in quel solo si condensano impli­citamente altre forze presenti in lui, forse le più sane, che tuttavia in quanto più deboli non riescono a contenere la molla omicida.

Ora sappiamo che il redentore s’interessa attivamente alla causa di Moosbrugger, ne discute con l’amica Clarisse e con la sorella: insomma lo vorrebbe salvare progettando la fuga. L’affare-Moosbrugger entra così nel campo di azione/redenzione[63] di Anders e con ciò stesso da caso giuridico viene a essere soprattutto una questione morale:

Was hätte ein moralischer Mensch in Anders Fall getan? Er hätte ent­weder Moosbrugger verabscheut und über seine Verurteilung Genug­tuung empfunden; oder er hätte empfunden, dass hier die Begriffe des Rechts auf einen Kranken angewendet wurden, und hätte im Namen Gottes, der Psychiatrie oder der Humanität dagegen protestiert. In beiden Fällen würde er sich mit Vergnügen in die ihm vorgeschlagene grosse patriotische Aktion gestürzt haben; entweder um, das Vorkom­men der Moosbruggers verwindend, mit dem Weltplan wieder ausge­söhnt zu werden, oder weil sie eine prächtige Möglichkeit bot, für die kreatürliche Unschuld der Moosbruggers zu agitieren und die Bewe­gung zur Abänderung der Zurechnungsfähigkeitparagraphen des Straf­gesetzbuches neu zu entfachen.[64]

Per lo spirito saggista del futuro uomo senza qualità il pericoloso Moosbrugger rappresenta il tutto possibile ed è proprio per questo che eser-cita una forza quasi magnetica su di lui[65]. Il protagonista, leggiamo nel rac­conto, non è un individuo dotato di morale, lo è però in un altro senso, e anche in questo si rivela la sua alterità[66]. Da ragazzo addirittura avrebbe vo­luto fondare una nuova religione e tale proposito non è scemato neppure all’epoca della narrazione[67]. Qui egli è persino detto «Erlöser der Moral»[68], di una morale intesa come sentimento mobile, privo di confini[69], non cano­nico e con ciò diametralmente opposto a quello seguito dal padre, come sostiene Agathe. La sua è una morale dinamica nella quale il male è consi­derato un «bewegendes Prinzip»[70], anzi senza di esso la realtà sarebbe rigi­damente statica e non riceverebbe nessun tipo di impulso al movimento e quindi neanche al cambiamento. Nella ben nota intervista con Oskar Maurus Fontana Musil precisa a questo proposito: «[…] die Welt kann nicht ohne das Böse bestehen, es bringt Bewegung in die Welt. Das Gute allein bewirkt Starre»[71].

In ultima analisi Moosbrugger attrae così tanto Anders perché in lui scorge un suo riflesso: «Es war ihm [Anders] besonders rührend, in gewis­sen Zügen M’[oosbrugger]s. sein Spiegelbild […] zu sehen»[72]. Del resto il sogno con cui ha inizio la narrazione è raccapricciante proprio come l’assas­sino dal quale esso aveva indubbiamente tratto ispirazione[73].

Infine, dato l’interesse trasversale che il caso suscita in donne e uomini di qualsiasi età, la difesa del femminicida è per Anders la leva giusta da toc­care per scuotere le pigre coscienze, ravvivare in tutte i fuocherelli appena accesi e dunque mobilitare l’opinione pubblica[74], anch’essa in qualche modo strettamente connessa con la storia di quest’uomo e con il suo mondo inte­riore:

Man seufzte zwar über eine solche Ausgeburt, aber man wurde von ihr innerlicher beschäftigt als von seinem Beruf. Ja, es mochte sich ereignen, daß beim Zubettgehn der korrekte Herr Sektionschef Tuzzi oder der zweite Obmann des Naturheilvereins … seiner schläfrigen Gattin sagte: Was würdest du anfangen, wenn ich jetzt ein Moosbrug­ger wäre?[75]

Si rivela così qui un possibile significato dell’azione redentrice di Anders, indirizzata attraverso Moosbrugger a una collettività bisognosa di un inter­vento energico che la scuota da quell’indolente pigrizia che la caratterizza e che alla fine la irrigidirà in un mortifero e falso equilibrio.

I colori stanchi di questo quadro sociale appartengono anch’essi alla se­mantica della guerra, sono gli stessi che Musil usa negli scritti citati all’inizio di questo percorso di lettura e che danno conto di una stanchezza e un profondo intorpidimento. Sono così affini al clima spirituale pre-bellico tanto da far utilizzare ad Anders nel prosieguo del suo pensiero un verbo da guerra mondiale, ovvero mobilitare, in cui sappiamo si condensano grandi speranze ma anche grandi delusioni.

È chiaro tuttavia ormai che Musil scrive tutto ciò in un’ottica retrospet­tiva, ben consapevole del grande fallimento che è stato il conflitto del 1914-18, dunque mobilitare è usato a questo punto in un senso lontano da eufori­che o propagandistiche implicazioni. In bocca al dinamico redentore mobili­tare significa semplicemente mettere in moto quel mondo spirituale intorpidito e quasi spento nelle sue energie proprio dai venti distruttori della guerra.

Torniamo ora a Moosbrugger, protagonista di questa Mobilisierung perso­nale e collettiva a un tempo e Spiegelbild per certi versi di Anders, e cer­chiamo di capire che significato avrebbe la sua salvezza sul piano spirituale. L’impresa è titanica[76], e non lo è detta a caso, richiede cioè una forza straor-dinaria perché la salvezza di Moosbrugger è una delicata operazione sullo spirito:

M[oosburgger]’s. Geisteskrankheit u. die allg. Geistesgesundheit. Jene in diese überzuführen; “transformieren” Nicht erklären, sondern Nach­bildung. Dialektik die im Bösen den extremen Fall des Guten sieht. Das Böse ist seit den Tagen Christi gewachsen. In einer großen Miß­bildung steckt eine ähnliche Zeugungskraft wie in einer großen Wohl­bildung (das Große ist überall verwandt!).[77]

L’impresa del titanico redentore relativa a Moosbrugger sarebbe allora quella di trasformare la Geisteskrankheit di quest’ultimo in una Geistesgesund­heit. Musil usa oltre il verbo transformieren, ovvero andare al di là della forma (e la forma in questo caso è impressa dalla malattia o dalla salute), anche il verbo überführen: l’impresa quindi sarebbe quella di trasferire il malato nel sano. Merita soffermarsi sulla parola trasferire che implica un movimento e un’energia potentissima, quella necessaria a indurre lo spirito a passare dal luogo della malattia a quello della salute. Ed eccoci di nuovo di fronte alla sfera attinente al dinamismo e a una potenzialità del mutare, del mettere in movimento, del cambiare, del ver-ändern, che declina ulteriormente il signifi­cato non solo del nome-persona Anders, ma anche della sua azione reden­trice.

Vediamo di inquadrare ora un po’ meglio il personaggio di Moosbrugger per capire quale altro potenziale ha scorto in lui il redentore.

Uno degli aspetti più sorprendenti di questo personaggio è il linguaggio che usa, un linguaggio spiazzante attraverso il quale egli dimostra di posse­dere un lessico scientifico, pronunciato male però, e di saper esprimere giu-dizi di merito[78]. Queste abilità sono tuttavia più prove di vanità che altro e finiscono col creare non poche difficoltà agli avvocati difensori.

È un linguaggio che spiazza anche perché dietro di esso si cela un tenta­tivo di autoaffermazione: «Es war ein ungeheurer Selbstbehauptungsdrang und Ehrgeiz in ihm»[79].

Nello Heft 36, dedicato a Der Erlöser, Musil rimanda inoltre a quelle pa­role magiche[80] che l’omicida aveva appreso nei manicomi e nelle prigioni. È solo un rimando, un frammento di narrazione che Musil aveva sviluppato in pagine non conservate del Nachlass[81], in cui egli doveva caratterizzare ul­teriormente la maniera di parlare dell’assassino, e che nel romanzo è resa in questi termini:

[…] die Welt hielt überall gegen ihn zusammen; kein Zauberwort kam gegen diese Verschwörung auf und keine Güte.

Solche Worte hatte er in den Irrenhäusern und Gefängnissen eifrig gelernt; französische und lateinische Scherben, die er an den unpas­sendsten Stellen in seine Reden steckte, seit er herausbekommen hatte, daß es der Besitz dieser Sprachen war, was den Herrschenden das Recht gab, über sein Schicksal zu «befinden». Aus dem gleichen Grund be­mühte er sich auch in Verhandlungen, ein gewähltes Hochdeutsch zu sprechen, sagte etwa, «das muß als Grundlage meiner Brutalität die­nen» oder «ich hatte sie mir noch grausamer vorgestellt, als ich derlei Weiber sonst einschätze»; wenn er aber sah, daß auch das den Ein­druck verfehlte, schwang er sich nicht selten zu einer großen schau­spielerischen Pose auf und erklärte sich höhnisch als «theoretischen Anarchisten», der sich von den Sozialdemokraten jederzeit retten las­sen könnte, wenn er von diesen ärgsten jüdischen Ausbeutern des ar­beitenden, unwissenden Volks etwas geschenkt nehmen wollte: Da hatte auch er eine «Wissenschaft», ein Gebiet, auf das ihm die gelehrte Anmaßung seiner Richter nicht folgen konnte.[82]

Che dire poi, sempre grazie al romanzo, del basito stupore degli psichia­tri quando gli chiedono di definire l’immagine di uno scoiattolo ed egli ri­sponde: «Das ist halt ein Fuchs oder vielleicht ist es ein Hase; es kann auch eine Katz sein oder so»[83]. Aveva una sua ragione a rispondere così perché sapeva, e di questo si fa portavoce il narratore, che secondo i luoghi lo scoiattolo poteva esser detto gatto della quercia o volpe degli alberi.

Allora la parola magica, i francesismi, i latinismi, i termini scientifici e aulici pronunciati male e inseriti in giudizi che vanno più a detrimento del processato che non a suo favore, le definizioni non convenzionali, insomma una lingua che fa saltare i nessi logici e pragmatici, non sono certo una stra­tegia difensiva, ma l’unico modo che Moosbrugger ha per affermare se stesso prima della condanna definitiva. Moosbrugger smonta con i suoi in­serti linguistici, già alla stregua dei Verfremdungseffekte brechtiani, il linguaggio tradizionale e ne inventa uno tutto suo basato su relazioni non prestabilite, contro qualsiasi patto o convenzione linguistica, all’insegna di una seman­tica fluida: «la lingua esplode in una costellazione di connessioni (“possibi­lità”?) che tengono solo relativamente conto del “fatto” reale, della realtà statuita e comune. La netta corrispondenza linguistica di significante e si­gnificato, di nome e di referente non riesce più a separarsi da un continuum in cui ogni cosa è interdipendente e non definibile nettamente dall’opera­zione logica»[84]. Per Enrico De Angelis la critica linguistica e la malattia rap­presentano il nucleo fondante di Moosbrugger: «Si ispira a Nietzsche la cri­tica alla struttura del linguaggio, all’esprimersi e pensare con punti e virgola. Finché si pensa e ci si esprime così, troppi pensieri ci resteranno preclusi: “Punto e punto e virgola sono sintomi di regresso – sintomi di stasi”, “Fin­ché si pensa in periodi col punto finale – certe cose non si lasciano dire – al massimo vagamente sentire”. Lo stesso possibile trasparire di una realtà die­tro quella consueta e ripetitiva rischia di diventare esangue se imprigionato nella logica verbale. […] Analogamente Moosbrugger: “La vita si copre di una superficie che s’atteggia a dover essere giusto com’è: ma sotto l’epider­mide le cose spingono e urgono […] e quali rivoluzioni, quali sogni sboc­ciavano da una parola doppia, spenta e raffreddata!” […]»[85].

Le parole magiche, che Musil propone nella novella Grigia (1921)[86] e che ha modo di ascoltare proprio durante il grande conflitto nel suo breve e idilliaco soggiorno a Palù, appartengono allora anch’esse alla semantica della guerra, vissuta certo ancora come illusione.

Con gli Zauberworte Moosbrugger mantiene vivo un collegamento a un mondo naturale, arcaico, mitico, magico, animistico che l’uomo cosiddetto normale o razionale ha perduto[87].

L’interesse di Musil per il pensiero magico è evidente anche grazie ad al­cuni sintetici appunti del Nachlass in cui è chiaro che egli conosceva un arti­colo di Theodor W. Danzel[88] dedicato a questo tema, e pubblicato sulla rivista «Globus»[89], in cui si parla dei primissimi mezzi espressivi degli uomini primi-tivi, magiche rappresentazioni di forme il cui significato è andato perduto e sicuramente diverso da quello che potrebbe avere nel pensiero razionale:

[…] wenn der Primitive den Gegenstand einer Unterhaltung durch eine Frucht oder gar durch ein flüchtig in den Sand gezeichnetes Bild markiert, so entspringt das nicht so sehr dem Bestreben, die Erzäh­lung zu verdeutlichen, wie wir, rational denkend, annehmen möchten, als dem Triebe aller inneren Gefühle, Zustände, Vorstellungen in das konkret Sichtbare umzusetzen, unbewußt zu symbolisieren, “Das Bild ist lediglich eine mehr oder weniger einer bestimmten Absicht ent­sprungene Anwendung, eine Vergegenständlichung.[90]

Nel Lascito leggiamo inoltre: «Auch magisches Denken. Vehikel Gleich­nis»[91]. Dunque il pensiero magico è un veicolo della metafora. E per il re­dentore «Alle grossen und wirklich bewegenden Fragen sind Gleichnisse. […] Es kommt nur auf die Gleichnisse an. Was die Dinge sind, das ist die gewöhnliche Welt der gewöhnlichen Menschen; als was sie erscheinen kön­nen, das ist die Zukunft»[92].

Nietzsche, che ha avuto un influsso fondamentale sul pensiero musi­liano, vede nel linguaggio simbolico una lingua primordiale, non designante, in cui la parola si fa luogo a un apparire: non segno ma cosa stessa. La di­mensione magica, metaforica, del linguaggio permetterebbe così di tornare a una parola autentica, essenziale, ovvero libera da quelle standardizzazioni che l’hanno sepolta in spessi strati di convenzioni e funzioni[93].

Moosbrugger, che è una metafora nelle stesse parole del redentore[94] e ancora fruitore di un linguaggio primitivo, è conformemente al suo nome un uomo – ponte. In ben due fogli del Nachlass tale nome compare nella variante Moosbrucker[95], per poi assestarsi nella forma che ci è nota in cui Brugger indica colui che vive presso i ponti[96]. La metafora “Moosbrugger” per lo spirito saggista è un campo di prova degno di essere preso in consi­derazione perché potrebbe essere in questa fase di gestazione dell’opera quel ponte che apre l’uomo verso una dimensione altra della vita, verso quel mondo primordiale e primitivo che vive in lui come linguaggio e che talvolta si manifesta sotto forma di frammenti nel mondo reale. Potrebbe quindi essere la via da percorrere per salvare il mondo[97] e l’uomo.

Tra sogno, visione e altro stato

                                    We are such stuff
as dreams are made on, and our little life is rounded with a sleep.

Shakespeare, The Tempest (IV, I, 156-158)

Il percorso del redentore ha inizio con un sogno raccapricciante, quello di una fredda sera novembrina in cui due amanti decidono di trascorrere la notte in una altrettanto fredda, spoglia e scura locanda di periferia. L’incon­tro è molto teso: paure, malintesi, malumori, pentimenti, movimenti mec­canici, pesantezza, disperazione, insofferenza, insistenza[98] sono alcune pa­role che danno l’idea di come quel convegno tutto potrebbe essere fuor che amoroso. Eppure come trascinati da un insano desiderio di portare a ter­mine a tutti i costi quell’assurda serata i due rimangono insieme fintanto che lui la solleva

mit der Kraft der Verzweiflung […] und hörte sich fragen: Willst Du Musil? Musil-musil? Oder magst Du lieber Walzel...? (Ein wenig be-kannter Dichter und ein bekannter Literarhistoriker.) Sie hielt das für Fachausdrücke aus einer Herrengesellschaft. Sie wollte sich keine Blösse geben. Sie heimelten sie an. Seine Zungenspitze berührte ihre Lippen. Dieses alte Menschenverständigungsmittel, welche Stirnen immer über solchen Lippen sitzen, war ihr bekannt. Sie machte lang­sam ihre Zunge breit und schob sie vor. Dann zog sie sich rasch zu­rück und lächelte schalkhaft; ihr schalkhaftes Lächeln, wusste er da, war schon berühmt, als sie noch ein Kind war. Und sie sagte aufs ge­ratewohl, vielleicht von irgend einer Klangverknüpfung bestimmt: “… Lieber walzeln. Mein Mann bleibt acht Tage verreist”.[99]

Dopo di che il protagonista le stacca la lingua con un morso netto e riduce la sua voce a un «taumelnden Rumpf eines Lauts»[100].

Abbiamo già detto che il sogno trae origine dalla storia di Moosbrugger. Più avanti nel testo apprendiamo che ha un nesso con questo personaggio, anche se non ben decifrabile[101]. Ma a ben guardare sono presenti sin da subito evidenti analogie: Anders arriva all’estremo atto violento dopo un crescendo di malesseri interiori proprio come Moosbrugger: ha la sensa-zione che lei lo perseguiti, non sopporta che gli stia così attaccata e che non taccia nemmeno per un secondo[102]. La molla violenta scatta poi alla fine con l’incapacità da parte della donna di seguire l’amante in certe sue battute e soprattutto con il suo sorriso malizioso, schalkhaft in tedesco. E in questo schalkhaft è implicita oltre che la malizia anche il senso di un certo motteg­giare. L’insistenza, il continuo parlare, la derisione sono gli stessi identici elementi che portano Moosbrugger all’omicidio.

Attraverso il Nachlass cerchiamo ora di definire meglio il significato di questo sogno: «Es war der Traum eines Logikers. Das fühlt A.[chilles] Ekel vor dem Rationalen, Sehnsucht nach dem Sinnlos-sinnlich-Tatsächli­chen»[103]. Era dunque il sogno di un logico, disgustato dal razionale[104] e ani­mato dalla nostalgia per il concreto senza senso e sensuale.

La lingua della donna viene ad essere un concentrato di ciò che allora Achilles/Anders aveva in disgusto o disprezzava[105]: in questa fase sembra che l’unica arma efficace per mettere a tacere questo mezzo, che fornisce la voce a risate motteggiatrici, a discorsi limitati e con ciò limitanti, sia il morso, l’atto violento estremo. Ma come sappiamo Musil ci invita a leggere tra le righe, a entrare in quella corrente sottomarina che scorre subliminalmente a ogni singola parola scritta.

Allora a ben cercare nel Nachlass scopriamo che quella lingua mozzata rimanda a un’immagine mistica citata nei Grenzerlebnisse in cui leggiamo: «Die Zunge ist abgeschnitten, da sie alsdann nichts zu sagen vermag»[106]. Nell’estasi la lingua è staccata, rimossa dalla sua funzione, perché dire qual­cosa in quello stato di pienezza e di comunione sospeso tra Dio e Anima non avrebbe alcun senso. È interessante notare allora come il sogno abbia inizio, comunque lo si voglia interpretare, con un’immagine mistica vio­lenta, o forse dovremmo dire violentata, senza dubbio capovolta poiché di certo essa non ha niente di contemplativo né tanto meno rimanda a quel lampeggiamento della trascendenza assoluta che brucia ogni capacità espressiva[107]. Ep­pure con questo sogno, che nessun uomo perbene farebbe, ed è il redentore per inciso a farlo[108], inizia un viaggio che dal rovescio della mistica procede fino all’esperienza mistica per eccellenza in Der Mann ohne Eigenschaften, ov­vero quella dell’altro stato, quindi giunge a riequilibrare quell’immagine ca­povolta.

Quel sogno di stanze vuote e fredde, che non sono solo quelle della lo­canda ma metaforicamente anche quelle dell’anima, è l’inizio di un itinerario e non finisce con il primo capitolo, giacché è solo l’inizio di un cammino volto alla conquista di una Weltanschauung[109]. Quest’ultima ha bisogno ov­viamente del vuoto per potersi riempire con esperienze che a dire di Anders lo fanno affacciare sulla vita. Il sogno dunque fa parte di una Anschauung costituentesi, ed è esso stesso visione, prima a occhi chiusi, poi a occhi aperti sulla vita. Il lettore è obbligato a seguire Anders fino alla fine inesorabil­mente, anche se all’inizio è spiazzato da questo terribile incubo. La lettura diventa un percorso e con ciò stesso esperienza condivisa di conoscenza: il lettore è invitato così a entrare in quella maniera altra di vedere, vivere e sentire la vita di cui si fa portavoce Anders, una maniera diversa che è estre­mamente necessaria per liberare, redimere o più ancora semplicemente cu­rare l’uomo nell’immediato da quelle aberrazioni che la Grande Guerra aveva messo davanti agli occhi di tutti. Questo viaggio/sogno è continuato per tutta la vita di Musil e del suo uomo senza qualità e prosegue anche oggi con tutti i nostri intendimenti e fraintendimenti.

Nel Lascito leggiamo ancora che il sogno, descritto in tutti i suoi dettagli, rende l’inizio unheimlich e geheim[110]. Dunque Musil apre la narrazione con una storia raccapricciante per far traballare le nostre certezze o le nostre con­suete categorie di interpretazione del mondo perché far emergere l’unheimlich significa portare alla luce tutto ciò che più ci fa paura, che più ci spaventa, ci disgusta, ci offende. Se heimlich vuol dire inoltre tenuto in casa, nascosto[111], un-heimlich significa che qualcosa di quella casa non è più tale e viene alla luce. Unheimlich indica dunque qualcosa di celato o rimosso[112] che è anche geheim, cioè riservato, latente, strettamente confidenziale, non rivolto ad estranei, e che reca con sé nel suffisso -heim qualcosa di patrio, dunque qual­cosa che è inquietantemente intimo e familiare.

Se il sogno di Anders è descrivibile in questi termini, allora esso riguarda non solo lui ma tutti gli uomini, proprio come Moosbrugger esso è il sogno, o incubo, della collettività[113].

Che dalla visione del mondo del redentore sarebbe sorto un nuovo idea­lismo è ben chiaro nel racconto:

Das Leben ist eine ungewöhnlich lange Straße, welche durch die ei­nander fremdesten Gegenden und Zonen führt. […] Er vermochte es bloß noch nicht treffend auszudrücken, aber er war sicher, daß mit seiner Auffassung ein neuer Idealismus anbrechen müsse, der das zwi­schen falsche Gegensätze eingespannte menschliche Leben grad bie­gen werde.[114]

Questa visione dunque sarebbe stata in grado di guarire tutta un’epoca soffocante: «Es fehlt, wenn man sich umsieht, nicht an Begabungen, es fehlt nicht einmal an Charakteren, es fehlt bloss an irgendetwas, an allem, die Luft, das Blut scheinen sich verändert zu haben, und man ringt mit der Ersti­ckung»[115]. È un’epoca paralizzata, poiché sebbene sia ben chiaro cosa siano stupidità, bruttezza e volgarità, non è dato sapere ancora cosa contrapporre loro:

Der Geist wendet sich schliesslich entsetzt von sich selbst ab, erklärt sich von Zeit zu Zeit für entartet und flüchtet in der Richtung, die der seinen entgegengesetzt ist, zur platten Hochachtung vor der Erde, der Einfachheit, der Wirklichkeit und dem Leben.[116]

Grazie allo sguardo che il giovane redentore getta sulla vita, egli riesce a toccare «die Welt von innen»[117] e a cogliere i segni malati del suo tempo. Grazie alla sua alterità egli è in grado di captare nella disgregazione del mondo il lato potenzialmente costruttivo o ricostruttivo di questo processo, e in fondo questo era ciò che gli intellettuali del 1900 avrebbero voluto ot­tenere con la guerra. Ora però che essa è terminata Musil sa bene che l’unica speranza per rinnovare la vita è necessario entrare nel flusso di questa ener­gia futuribile per poterne essere attivamente partecipe e non lasciarsi di­strarre dalle lusinghe di falsi miti risolutori, come quello bellico:

Die wahre Beschaffenheit der Welt lässt ihre Bildung gar nicht zu und isoliert die Menschen ärger als Drähte voneinander. Die sich immer mehr und durchaus nicht geordnet häufenden Tatsachen, die immer grösser werdende Zahl aus allen Zonen und Zeiten erschlossener Auf­fassungen und Meinungen müssen sich gegenseitig zersetzten, und die Welt ist ganz von selbst in diesem fortschreitenden Prozess der Zer­setzung begriffen. Ist das Verfall? Wenn ein Mensch es erkennt und die Kraft begreift, die darin liegt, sagte sich Anders, ist es die Schwelle einer neuen Zukunft; ich will das zu seinem Bewußtsein erwachte Ge­schöpf dieser Zeit werden![118]

Il lettore compie con Anders, e dunque con il suo autore, un viaggio alla volta della conoscenza di sé e del mondo di cui la parola Schwelle rappresenta simbolicamente il raggiungimento di uno stadio avanzato, già lontano dagli ingannevoli richiami di falsi profeti. Schwelle, che è certo inizio[119] ma anche soglia, rappresenta un varco o una zona di demarcazione tra due realtà: una conosciuta che è alle spalle e una che ci sta di fronte, ancora non ben defi­nita. Essa fa parte dell’iconografia di una visione del mondo ancora immersa nel suo processo costitutivo, giunto tuttavia a un livello più alto, senza dub­bio mistico, confermato da quell’ebbrezza spirituale in cui è immerso il gio­vane redentore. Un geistiger Rausch[120], come leggiamo nel testo tedesco, ap-partenente anch’esso alla semantica della guerra perché in esso risuona quel berauschende Gefühl[121] proprio della mobilitazione bellica, liberato tuttavia or­mai da quel senso di euforia allucinante e alienante già più volte commen­tato[122].

Il lettore è pronto ormai insieme al protagonista a compiere un’altra tappa in questo percorso conoscitivo e a fare un vero e proprio salto di qualità varcando quella soglia che lo aprirà a un’altra dimensione, al ben noto “altro stato”.

L’altro stato

Es gibt einen Zustand des Menschen, welcher dem des Erkennens[,] Rechnens, Zweckens, Schätzens[,] Drückens, Begehrens und der niedrigen Angst als grundverschieden entgegengesetzt ist.[123]

All’inizio della sua esperienza bellica Musil si trova per un breve periodo a Palù, nella valle incantata dei Mòcheni[124]. Qui egli ha modo di entrare in contatto con un ambiente naturale peculiare, mai incontrato prima, che gli permette di maturare il profilo spaziale dell’altro stato. Del resto prima della guerra conosceva solo il mare come spazio naturale che insieme alla mon­tagna è uno dei luoghi dell’altro stato[125]:

I richiami alla natura e all’alta montagna hanno quasi tutti origine dall’esperienza militare e in particolare nel periodo trascorso in alta Valsugana. Mare e montagna verranno a rappresentare nella geografia immaginale dello scrittore i luoghi dell’esperienza dell’Altro Stato.[126]

In questa fase della sua vita lo scrittore condivide ancora con molti altri intellettuali del tempo l’idea secondo la quale la guerra può «innalzare la sfera singola e individuale a un ambito superiore e sovranazionale, […] a un altro mondo utopico»[127]. Essa è ancora sentita come una grande esperienza religiosa che avvicina a Dio[128]. Nella valle sembra nascondersi ammiccante «qualcosa di atteso appassionatamente»[129]. E dalle atmosfere rarefatte dell’alta montagna, tra terra e cielo, ma forse già più cielo che terra, giunge il profumo dell’eternità[130]. «ll rapporto tra guerra e altro stato», osservano Alessandro Fontanari e Massimo Libardi, «nel particolare senso che fa della guerra una delle manifestazioni dell’altro stato, ritorna più volte nel materiale preparatorio dell’Uomo senza qualità […]: “La guerra è la stessa cosa dell’altro stato, ma mischiato (in modo vivo) con il male”»[131]. Per Paul Zöchbauer esso è la possibile via per ristabilire nel mondo quell’ordine spirituale deficitario che aveva fatto esplodere la guerra[132].

Merita perciò soffermarsi sulla mistica descrizione di questa dimen­sione[133], così come emerge in Der Erlöser, attraverso la convivenza dei due fratelli: «Himmel u[nd] Meer flossen in ihnen zusammen. Die Liebe, die Größe floß durch sie[.] Und daneben dieses ungeheuer selige Leben von Lorbeer, Ginster, Bienen …»[134].

Il paesaggio tra cielo e mare si rivela all’anima e quest’ultima lo guarda con i suoi occhi[135] soffermandosi in particolare sui colori: il grigio delle montagne, il verde dell’erba e dell’alloro. Indugiando su questi elementi lo sguardo si fa più penetrante sprofondando «in immer kühlere Tiefen»[136]. Anche i suoni sono importanti in questa esperienza dello spazio: ecco che il ronzio delle api si scioglie in un suono profondo e metallico dal quale scoccano minuscole frecce, non appena gli insetti con una virata sfiorano l’orecchio[137].

Quest’ultima immagine in particolare è una rielaborazione dell’espe­rienza estatica che Musil ha proprio agli inizi della guerra in un villaggio di montagna vicino al lago di Caldonazzo chiamato Tenna. È il ben noto epi­sodio della freccia volante che qui è trasfigurata nel pungiglione delle api:

Das Schrapnellstück oder der Fliegerpfeil auf Tenna: Man hört es schon lange. Ein windhaft pfeifendes oder windhaft rauschendes Ge­räusch. Immer stärker werdend. Die Zeit erscheint einem sehr lange. Plötzlich fuhr es unmittelbar neben mir in die Erde. Als würde das Geräusch verschluckt. Von einer Luftwelle nichts erinnerlich. Von plötzlich anschwellender Nähe nichts erinnerlich. Muß aber so gewe­sen sein, denn instinktiv riß ich meinen Oberleib zur Seite und machte bei feststehenden Füßen eine ziemlich tiefe Verbeugung. Dabei von Erschrecken keine Spur, auch nicht von dem rein nervösen wie Herz­klopfen, das sonst bei plötzlichem Schock auch ohne Angst eintritt. – Nachher sehr angenehmes Gefühl. Befriedigung, es erlebt zu haben. Beinahe Stolz; aufgenommen in eine Gemeinschaft, Taufe. –[138]

La freccia bellica in quanto pungiglione perde nel racconto ogni riferi­mento all’umano, cioè non è una costruzione umana, ma torna a uno stato di natura, è un elemento naturale autentico[139] che introduce, come nell’espe­rienza biografica, all’altra dimensione. In Ein Soldat erzählt tutta l’attenzione è posta sul suono che induce all’estasi: «Es war ein hoher, dünner, singender einfacher Laut, wie wenn der Rand eines Glases zum Tönen gebracht wird. Aber es war etwas Unwirkliches an ihm, […] so ist es, wenn Gott etwas verkünden will»[140].

Non solo la vista, ma anche l’udito si affina nella percezione del paesag­gio. E l’accresciuta sensibilità uditiva rientra nella sfera dell’esperienza bel­lica, del resto la guerra di trincea fa sì che le «sensazioni acustiche pre-valg[a]no su quelle visive. “Si impara molto presto a stare in ascolto come animali nel bosco”: il pericolo invisibile è qualcosa “che canta e passa oltre” […], oppure è simile a uno sciame d’api o a stridio di uccelli»[141].

Con uno sguardo e un udito così sensibili si è in grado di descrivere e con ciò definire ulteriormente questo paesaggio sovrastato dal cielo stellato e dalle montagne: «Heroisch, ungeheuer die kantig glatt gestrichenen, steil abbrechenden, hintereinander wie die Wellen herkommenden Linien der Berge»[142].

Soffermiamoci sull’aggettivo eroiche usato per descrivere lo spazio e cer­chiamo di capire in che senso è tale:

Heroisch? Oder ist es etwas, das man gehaßt hat, weil es heroisch sein sollte? Unzähligemale gemalt und gestochen, diese griechische Land­schaft, römische Landschaft, nazarenische, klassizistische, diese – tu­gendhafte, professorale, idealistische Landschaft, kahl wie – die dürf­tig möblierten Zimmer eines Vorstadtgasthofes? […] Nein. Die weni­gen Dinge, denen hier der Raum gehörte, respektierten einander, sie hielten voneinander Distanz und überfüllten nicht die Natur mit Ein­drücken wie in Deutschland. Es war – wie nur ganz hoch im Gebirge, wo das Irdische immer weniger wird – wohl wahrhaftig eine heroische Landschaft.[143]

Dunque lo spazio bellico nell’esperienza di Palù non è solo combatti­mento, retrovia, battesimo di fuoco ma anche spazio eroico. E con questa riflessione inizia a chiudersi il cerchio della narrazione e il percorso che ab­biamo fatto insieme ad Anders: dallo spazio miseramente spoglio del Vor­stadtgasthof iniziale, dunque vuoto nel senso più disperato del termine in cui come in una cassa di risonanza riecheggia la risata maliziosa e canzonatrice dell’amante di turno[144], approdiamo a questa realtà nuova che non ha niente delle rigide stratificazioni e classificazioni delle epoche passate che vorreb­bero odiosamente definire l’eroico con l’aggettivo greco, classico, nazareno etc. L’eroico, sembra suggerire Musil, non è declinabile: è semplicemente, naturalmente, primordialmente e con ciò autenticamente eroico.

Solo ora, giunti quasi alla fine di questo itinerario conoscitivo, capiamo che era necessario muoversi dalla periferia, dallo spazio disperatamente va-cuo della locanda del sogno, per giungere a uno stato di pienezza e di bea-titudine in cui tutto è partecipante[145]. I confini stessi sembrano annullarsi nelle linee ondulate delle montagne, ed è proprio questo movimento ad onda che rende possibile l’incontro tra il cielo e la terra[146].

Nel percorso del redentore era necessario far esperienza della forza di­struttiva della guerra per trovare una soluzione alternativa di rinnovamento del mondo, era dunque necessario partire dalla periferia vuota e violenta per raggiungere il centro del cuore[147], passando per gli stridenti contrasti del femminicida Moosbrugger che è uomo – bestia ma anche magico uomo – ponte e riflesso di Anders, per il confronto con la generazione dei padri[148] e infine per le affinità spirituali con la sorella grazie alla quale il protagonista riesce a entrare finalmente in un’altra dimensione.

In questa fase di gestazione del romanzo la relazione tra i due è tuttavia ancora troppo fisica perché incestuosa e ovviamente ciò appesantisce il so­gno di salvezza che potrebbe aprire la via verso un mondo nuovo. Manca ancora quella leggerezza propria dello stato in cui ora sono entrati i due fratelli, quella leggerezza in cui non esistono più né il Bene né il Male e che rende possibile l’amore al di là dei lacci terreni dell’appagamento che è sem­pre delusione poiché in quanto tale gli viene a mancare il desiderio[149].

Solo una volta raggiunto questo stato dello spirito si è degni di redenzi­one: «Wenn es für dich weder Gut noch Böse geben wird, dann erst wirst du lieben, und du wirst endlich würdig sein der Erlösung»[150].

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* L’articolo trae origine dalla relazione tenuta nell’ambito del seminario di studi orga­nizzato da Massimo Libardi e Fernando Orlandi su Robert Musil direttore della «Soldaten-Zei­tung» (13-14 dicembre 2016, Biblioteca del CSSEO, Levico Terme).

[1] Oskar Maurus Fontana, Was arbeiten Sie? Gespräch mit Robert Musil, in Robert Musil, Gesammelte Werke, hrsg. von Adolf Frisé, Reinbeck bei Hamburg, Rowohlt 1978, vol. VIII, p. 939 (da qui in avanti GW seguito dal numero del volume di riferimento).

[2] Micaela Latini, «Il ricordo è un dispositivo scadente». Robert Musil e la scrittura della guerra, in «Cultura tedesca», Acireale – Roma, Bonanno, (2015), 2, pp. 35-49, qui p. 44.

[3] Robert Musil, Nachlassblatt VII/11/18:4-10 (Klagenfurter Ausgabe. Kommentierte Edition sämtlicher Werke, Briefe und nachgelassener Schriften. Mit Transkriptionen und Faksimiles aller Hand­schriften, hrsg. von Walter Fanta, Klaus Amann und Karl Corino, Klagenfurt, Robert Musil-Institut der Universität Klagenfurt, Update Juli 2015 [da qui in avanti citata come KA]; cfr. Robert Musil, L’uomo tedesco come sintomo, tr. it. di F. Valagussa, Bologna, Pendragon 2014, p. 33).

[4] Robert Musil, Der Mann ohne Eigenschaften, Reinbeck bei Hamburg, Rowohlt 1997, vol. I, p. 518 (da qui in avanti MoE I e II; cfr. Robert Musil, L’uomo senza qualità, tr. it. di A. Rho, Torino, Einaudi 1972, vol. I, pp. 504-5 [da qui in avanti Usq I o II]).

[5] Karl Corino, Musil. Leben und Werk in Bildern und Texten, Reinbeck bei Hamburg, Ro­wohlt 1988, p. 321.

[6] Cfr. Robert Musil, Die Nation als Ideal und Wirklichkeit, Der deutsche Mensch als Symptom e Der singende Tod, Nachlassblätter VII/7/182-185; VII/11/40-69; IV/2/195-6 (KA); cfr. Robert Musil, Europäertum, Krieg, Deutschtum e Das Hilflose Europa oder Reise vom Hundertsten ins Tausendste, GW VIII, pp. 1020-22; 1075-94.

[7] Ibidem, p. 1088; cfr. Robert Musil, L’Europa abbandonata a se stessa ovvero Viaggio di palo in frasca, in Sulla stupidità ed altri scritti, Milano, Mondadori 1986, p. 121.

[8] In Musil en Bernstol. La grande esperienza della guerra in Valle dei Mòcheni leggiamo: «Nell’agosto del 1914 lo scrittore registra nei Diari, con stile asciutto e distaccato, lo scate­namento dell’entusiasmo collettivo; osserva come si manifesta lo spirito della mobilitazione che ha per teatro le strade, i luoghi pubblici e per soggetto la folla o l’individuo all’interno della folla […], l’eccitazione generale è rispecchiata e moltiplicata dai giornali che lanciano appelli, si arriva al delirio […]; l’individuo sembra trasformato e proiettato in una nuova dimensione e «tutto il resto non esiste più» […]. In un articolo scritto per la Neue Rundschau nel settembre 1914, intitolato Europäertum, Krieg, Deutschtum, aderisce allo slancio entusiastico della comunità nuovamente unita, un sentimento dimenticato e ridestato dalla guerra: «noi sentiamo di venir serrati e fusi da un’indicibile umiltà, in cui il singolo è ridivenuto un nulla al di là del proprio compito di proteggere la stirpe» […]. Lo scoppio della guerra rappresenta dunque un vero punto di svolta […]: assistendo e partecipando all’entusiasmo della mobilitazione egli prova per la prima volta l’esperienza della comunità fraterna, quasi religiosa, dell’unità di pensiero e di sentimento con gli altri. Come per altri scrittori (Rainer Maria Rilke […]) dall’entusia­smo della mobilitazione nasce la speranza di una trasformazione radicale dell’uomo e della società. La guerra appare sia un grande evento epocale, sia un mezzo eccezionale per spez­zare forme di vita e ideologie irrigidite: la guerra rimette in questione l’intera esistenza in­dividuale e collettiva dell’uomo» (Alessandro Fontanari – Massimo Libardi (a cura di), Musil en Bernstol. La grande esperienza della guerra in Valle dei Mòcheni, Palù del Fersina, Ist. Cult. Mòcheno 2012, pp. 18-9).

[9] Molti intellettuali videro nella guerra la possibilità di superare un isolamento sociale. Ed è certo che lo scoppio della guerra fu seguito da una vera e propria mobilitazione poe­tica: furono stampati moltissimi testi letterari e poetici, nel primo anno 450 antologie di liriche di guerra, nell’intero periodo postbellico più di tre milioni di poesie (Massimo Li­bardi – Fernando Orlandi», Qualcosa di immane», in Kriegsmaler: pittori al fronte nella Grande Guerra, M. Libardi e F. Orlandi (a cura di), Rovereto, Nicolodi 2004, p. 16).

[10] Fabrizio Cambi, Wir mussten den Krieg verlieren, um die Nation zu gewinnen». Lo scrittore tedesco e la letteratura di guerra, in Kriegsmaler: pittori al fronte nella grande guerra, cit., p. 42.

[11] Cfr. ibidem.

[12] Massimo Libardi – Francesco Orlandi, «Qualcosa di immane», in Kriegsmaler: pittori al fronte nella grande guerra, cit., p. 16.

[13] Paul Zöchbauer, Der Krieg in den Essays und Tagebüchern Robert Musils, Stuttgart, H-D. Heinz 1996, p. 40.

[14] Bianca Cetti Marinoni, La guerra di Musil, in «Cultura tedesca», Roma, Donzelli (1995), 3, pp. 35-46, qui p. 38.

[15] Robert Musil, Der deutsche Mensch als Symptom, Nachlassblatt VII/11/50:6-7 (KA; cfr. Robert Musil, L’uomo tedesco come sintomo, cit., p. 8).

[16] Robert Musil, La guerra parallela, tr. it. di C. Groff, Scurelle, Silvy 2011, p. 190.

[17] Robert Musil, La Germania in Europa, tr. it. di M. T. Mandalari, in M. Schettini (a cura di), La letteratura della Grande Guerra, Firenze, Sansoni 1968, p. 152.

[18] Robert Musil, Nachlassblatt VII/11/25:33-34 (KA; cfr. Robert Musil, L’uomo tedesco come sintomo, cit., p. 46).

[19] Giovane tormentato che scrive a Goethe due lettere angosciate in stile wertheriano. Lo scrittore gli fa visita durante il suo breve viaggio nello Harz (2 dicembre 1777) e gli dà buoni consigli senza rivelare la propria identità (cfr. Robert Musil, L’Europa abbandonata a se stessa, cit., nota n. 13, pp. 271-2).

[20] Robert Musil, Das hilflose Europa oder Reise vom Hundertsten ins Tausendste, GW VIII, p. 1094; cfr. Robert Musil, L’Europa abbandonata a se stessa, cit., p. 129 e nota n. 13, p. 271.

[21] Robert Musil, Das hilflose Europa oder Reise vom Hundertsten ins Tausendste, cit., p. 1094; cfr. Robert Musil, L’Europa abbandonata a se stessa, cit., pp. 129-30.

[22] Robert Musil, Heft 8/4:4 (KA).

[23] Robert Musil, Nachlassblatt II/5/245:19-20 (KA).

[24] Robert Musil, Heft 36/0a (KA).

[25] Robert Musil, Il redentore, Marsilio, Venezia 2013, p. 250; da qui in avanti IR.

[26] Colpisce sicuramente quanto Karl Corino si sia avvicinato allo spirito di questo passo musiliano. A proposito dei Naturmenschen osserva: «Allenthalben regten sich um die Jahr­hundertwende Reformbewegungen. In der Schweiz z.B. siedelten sich am und um den Monte Verità Anarchisten, Theosophen und Vertreter des dritten Weges zwischen Kapi­talismus und Kommunismus an, Lebensreformer, die eine «individualistiche vegetabilische Cooperative gründeten», eine Sonnen-Kuranstalt, ein Sanatorium. […] Aber nicht minder “erlöserisch” ging es oft in Berlin zu. Man konnte da um 1907 «Naturmenschen» durch die Straßen pilgern sehen mit langem Haar und Bart, mit wallenden Gewändern, barfuß in Sandalen. Oder man konnte den «Apostel Krebs» erleben, der mit einem Gefolge von zwanzig bis dreißig Menschen durch die Lande zog und die Menschheit anscheinend von Kausalität und Logik befreien wollte. […] Stellvertretend für viele andere Fleischverächter predigte ein Gustav Schlickeysen, der Vegetarismus sei «die Erlösung», sei «das Heil», er sei «das erfüllte Jenseits, der verhießene Messias, die Befriedigung aller Wünsche und die Befreiung von allen Übeln». Mit nicht geringerer Leidenschaft warben andere für Absti­nenz, Zahlenmystik, Astrologie, Antisemitismus, Joga, Wünschelrutengängerei, Atlantissu­che, Esperanto, Sexualreform, Rhythmische Gymanstik, Übermenschenkult, Gesundbe­ten, Weltfriedensbewegung, Brechung der Zinsknechtschaft, Theosophie, Bibelforschung oder Okkultismus. Gemeinsam war vielen dieser neuen Heiligen die Herkunft aus der Bohème oder aus dem Proletariat, war sie «deutlich von der gebildeten und esoterischen Welt eines Walther Rathenau oder Hermann Keyserling» schied – deshalb nannte man letztere «Propheten im Gehrock» oder «Christusse im Zylinderhut». Kein Zweifel, in Figu­ren wie Rathenau/Arnheim oder Hans Sepp wollte Musil falsche Propheten porträieren, solche eine Seelenkultes oder des «Symbols», des Antisemitismus – aber mit seinen Helden Anders ging er das Risiko ein, einen Erlöser im Wortsinne zu gestalten. Dies in einer Zeit, da ein leibhaftiger «Messias von der Lobau» durch Österreich geisterte, Arbeitslose um sich sammelte und schließlich eine Auswanderung nach Abessinien plante. Aparterweise hatte es weder bei den «Vereinigungen» noch bei den «Schwärmern» an Elogen gefehlt, die Musil selbst messianische Qualitäten zubilligten» (Karl Corino, Robert Musil. Eine Biographie, Ro­wohlt, Reinbeck bei Hamburg 2003, p. 829).

[27] Robert Musil, MoE I, p. 519; cfr. Robert Musil, Usq I, pp. 504-5.

[28] Robert Musil, Nachlassblatt VII/8/27:49-50 (KA).

[29] Robert Musil, Heft 26/8: 2 (KA).

[30] Robert Musil, Nachlassblatt II/1/3:5-7 (KA).

[31] Robert Musil, Nachlassblatt II/1/229:78 (KA).

[32] Robert Musil, Nachlassblatt VII/10/63: 2-4 (KA).

[33] Osserva proprio questo Musil: «Hat eine Niederlage erlitten, aber ist durchaus nicht niedergeschlagen» (Robert Musil, Nachlassblatt VII/10/63: 5-6 [KA]).

[34] In Morgengefühl riecheggia infine la nietzschiana Morgenröthe che come osserva Mittner è «rinascita […] aurorale dei sensi: «vedere con occhi nuovi» è la sola felicità che ci sia concessa» (Ladislao Mittner, Storia della letteratura tedesca, Torino, Einaudi 1971, vol. III*, tomo secondo, p. 826).

[35] Cfr. Robert Musil, IR, p. 89.

[36] Robert Musil, Nachlassblatt VII/10/94:22-23 (KA; cfr. Robert Musil, IR, p. 121).

[37] Robert Musil, Nachlassblatt II/1/3: 3-4 (KA).

[38] Robert Musil, Nachlassblatt I/1/10:2-3 (KA).

[39] Die Welt.

[40] Robert Musil, Nachlassblatt II/4/26: 41-53 (KA).

[41] Nome usato tra il 1919 e il 1921 (cfr. la voce Ulrich nella sezione Nachlass-Apparate della Klagenfurter Ausgabe dedicata alle Figuren).

[42] «Achilles hat schon als junger Mensch das Vertrauen in sich, der Erlöser zu sein. Das ist der Einsatz seines Lebens, die Wurzel seiner Moral, das am Ende vielleicht verlorene Spiel» (Robert Musil, Nachlassblatt VII/8/6:32-34 [KA]).

[43] Cfr. Robert Musil, Nachlassblatt II/4/26:24 (KA).

[44] Robert Musil, Nachlassblatt II/4/26:25-34 (KA).

[45] «Sie [die Welt] könnte anders sein, sie war schon anders. Ihre Bruchstücke lassen sich anders deuten» (Robert Musil, Nachlassblatt II/4/43:33-43 [KA]).

[46] Robert Musil, Nachlassblatt VII/11/43:5-8 (KA; cfr. Robert Musil, L’uomo tedesco come sintomo, cit., p. 63).

[47] Dalla «Illustrierte Kronenzeitung» del 21 ottobre 1911.

[48] Robert Musil, Nachlassblatt VII/3/257:9-13 (KA; cfr. Robert Musil, IR, p. 158).

[49] I curatori della Klagenfurter Ausgabe ricostruiscono il Lesetext di Der Erlöser sulla base di alcuni frammenti tratti dagli Hefte 36 e 22, qui riproposti (Robert Musil, Heft 36/8:5; Heft 22/35:6-10, 16-17; Heft 22/37:1; 6-11 [KA]; cfr. Robert Musil, IR, pp. 51-2).

[50] Robert Musil, Heft 36/12:21-4 (KA); cfr. Robert Musil, IR, p. 52.

[51] Cfr. Karl Corino, Robert Musil. Eine Biographie, cit., pp. 882-91.

[52] R. Musil, Heft 26:25 (KA); cfr. Robert Musil, Diari 1899-1941, tr. it. di Enrico De Angelis, Torino, Einaudi 1980, voll. I/II, p. 987 (da qui in avanti Diari I o II).

[53] Robert Musil, Heft 19/21:13-4,36-9 (KA); cfr. Robert Musil, Diari II, cit., pp. 802-3.

[54] Robert Musil, La guerra parallela, cit., p. 205.

[55] Robert Musil, Nachlassblatt VII/11/43:8-10 (KA; cfr. Robert Musil, L’uomo tedesco come sintomo, cit., p. 63).

[56] Cfr. Robert Musil, IR, p. 54.

[57] Robert Musil, Heft 36/2:33 (KA; cfr. Robert Musil, IR, p. 47).

[58] Robert Musil, Nachlassblatt VII/6/125:9-10 (KA; cfr. Robert Musil, IR, pp. 183-4).

[59] Si pensi anche al momento in cui Agathe vorrebbe convincere il fratello di desistere dall’idea di salvarlo: questi non demorde e dice chiaramente: «Jetzt wollen wir den Wolf befrein» (Robert Musil, Nachlassblatt VII/8/30:14).

[60] Cfr. Robert Musil, IR p. 53.

[61] Robert Musil, Heft 36/2:30-1 (KA; cfr. Robert Musil, IR, p. 47).

[62] Robert Musil, Heft 36/9:12-3 (KA; cfr. Robert Musil, IR, p. 61).

[63] «I-III: Der Titel Erlöser, dann die Schilderung von M.[oosbrugger] weisen auf Erlö­sung durch Güte und Antirationalismus» (Robert Musil, Nachlassblatt VII/8/27:46-7).

[64] R. Musil, Nachlassblatt IV/3/354:9-21 (KA; cfr. Robert Musil, IR, p. 55).

[65] «M.[oosbrugger], der für den Essayisten alles mögliche bedeutet, ist in Wirklichkeit einfach gefährlich» (Robert Musil, Nachlassblatt I/1/10:15-17 [KA]).

[66] Cfr. Robert Musil, IR, p. 64.

[67] Ibidem.

[68] Robert Musil, Nachlassblatt VII/15/19:11 (KA).

[69] Cfr. Robert Musil, IR, p. 139.

[70] Robert Musil, Nachlassblatt I/10/10:23-24 (KA).

[71] Oskar Maurus Fontana, Was arbeiten Sie? Gespräch mit Robert Musil, GW VII, p. 940.

[72] Robert Musil, Heft 36/9:26-7 (KA; cfr. Robert Musil, IR, p. 61).

[73] Ibidem, p. 47.

[74] Ibidem, p. 127.

[75] Robert Musil, Heft 36/3:23-9 (KA; cfr. Robert Musil, IR, p. 48). Anders giunge anche al punto di vedere nei giudici «vor Urzeiten freigesprochenen Moosbruggers» (Robert Mu­sil, Heft 36/12:30-1 [KA]; cfr. Robert Musil, IR, p. 52).

[76] Ibidem, p. 127.

[77] Robert Musil, Nachlassblatt II/4/35:35-41 (KA).

[78] Robert Musil, IR, p. 52.

[79] Robert Musil, Heft 36/12:21-22 (KA). A questo proposito nello Heft 30 Musil cita alcuni passi da Zur Einführung des Narzißmus di Freud (1914) e una di questi riguarda l’amore per gli errori e abitudini linguistiche, messo in stretta relazione con l’Io: «Ich las gerade Freud, «Zur Einführung des Narzißmus», und so fiel mir der Zusammenhang mit den Ich­gefühlen auf. Diese bedingungslose Liebe zu den Sprachfehlern und in weiterem Sinn -gewohnheiten, weist auf den nahen Zusammenhang von Sprache und Ich hin» (Robert Musil, Heft 30/45:8-11 [KA]). Dunque il linguaggio del criminale Moosbrugger è anche il riflesso di un io narcisistico.

[80] Cfr. Robert Musil, Heft 36/28:38 (KA).

[81] Si tratta dei fogli M 23 e M 24 della Mappe siglata con la lettera M, dedicata a Der Erlöser (ibidem).

[82] Robert Musil, MoE I, p. 72; cfr. Robert Musil, Usq I, p. 67.

[83] Robert Musil, MoE I, p. 240; cfr. Robert Musil, Usq I, p. 231.

[84] Carlo Salzani, Crisi e possibilità: Robert Musil e il tramonto dell’Occidente, Bern, Peter Lang 2010, pp. 57-8.

[85] Robert Musil, Parafrasi, Enrico de Angelis (a cura di), Milano, BUR 2013, pp. 24-5.

[86] «Und sie [Grigia] hatte Zauberworte. Die Nos sagte sie etwa, und statt Bein der Schenken. Der Schurz war die Schürze. Tragt viel aus, bewunderte sie, und geliegen han i an bissl ins Bett eini, machte es unter verschlafenen Augen. Als er ihr einmal drohte, nicht mehr zu kommen, lachte sie: «I glock an bei ihm!» und da wusste er nicht, ob er erschrak oder glücklich war, und das musste sie bemerkt haben, denn sie fragte: «Reut’s ihn? Viel reut’s ihn?» Das waren so Worte wie die Muster der Schürzen und Tücher und die farbigen Borten oben am Strumpf, etwas angeglichen der Gegenwart schon durch die Weite der Wanderschaft, aber geheimnisvolle Gäste. Ihr Mund war voll von ihnen, und wenn er ihn küßte, wußte er nie, ob er dieses Weib liebte, oder ob ihm ein Wunder bewiesen werde, und Grigia nur der Teil einer Sendung war, die ihn mit seiner Geliebten in Ewigkeit weiter verknüpfte.» (Robert Musil, Musil en Bernstol. Grigia. Diari e poesie, Palù del Fersina, Ist. Cult. Mòcheno 2012, p. 63).

[87] Vicinissimo al pensiero di Nietzsche: «l’uomo «razionale» per Nietzsche è un essere complicato perché non si avvale della natura, ma poggia le sue costruzioni con la materia dei concetti che lui stesso si fabbrica, cioè non fa come le api che si avvalgono della loro cera per costruire l’alveare» (Alberto Giacomelli, Simbolica per tutti e per nessuno. Linguaggio e figurazione in «Così parlò Zarathustra», in: http://paduaresearch.cab.unipd.it/4562/1/Tesi_ PHD-Giacomelli.pdf).

[88] Filosofo (1818-50).

[89] «Globus Bd 98 (1910): Danzel, Magisches u.[nd] mitteilendes Zeichnen» (Robert Musil, Nachlassblatt VII/11/80:29 [KA]).

[90] Th. W. Danzel, Magisches und mitteilendes Zeichnen, «Globus», 22 Dezember 1910, in: http://digi.evifa.de/viewer/image/DE-11-001832363/376/LOG_0445/.

[91] Robert Musil, Nachlassblatt II/7/67:87 (KA).

[92] Robert Musil, Nachlassblatt VII/8/11:57-66 (KA; cfr. Robert Musil, IR, pp. 126-7).

[93] Cfr. Alberto Giacomelli, Simbolica per tutti e per nessuno. Linguaggio e figurazione in «Così parlò Zarathustra», in: http://paduaresearch.cab.unipd.it/4562/1/Tesi_PHD-Giacomelli. pdf. Sul linguaggio dei primitivi assimilabile a quello dei bambini cfr. anche Massimo Sal­garo, «L’altro stato» dell’infanzia William Stern nella ricezione di Robert Musil, in «Intersezioni», Bologna, Il Mulino (2008), 2, pp. 259-72, qui p. 266.

[94] «Moosbrugger ist ein Gleichnis. Später Agathe» (Robert Musil, Nachlassblatt VII/8/ 176:16 [KA]).

[95] Robert Musil, Nachlassblatt VII/7/29-30:25 (KA).

[96] Cfr. Heinz D. Pohl, Familiennamen slowenischer Herkunft in Kärnten (mit Ausblicken auf die Familiennamen Kärntens und Österreichs im Allgemeinen), in: http://members.chello.at/heinz.pohl/FS_Udolph.pdf.

[97] «Deshalb sind alle Versuche, sie durch ein Zurückgreifen auf frühere Bindungen (re­gressiv) zu sanieren, wider den Sinn und die Kraft der Entwicklung» (Robert Musil, Nach­lassblatt II/4/26:9-11 [KA]).

[98] Robert Musil, IR, pp. 39-42.

[99] Robert Musil, Nachlassblatt IV/2/510:25-38 (KA; cfr. Robert Musil, IR, pp. 42-3).

[100] Robert Musil, Nachlassblatt IV/2/511:4 (KA; cfr. Robert Musil, IR, p. 43).

[101] Ibidem, p. 55.

[102] Ibidem, p. 42.

[103] Robert Musil, Heft 22/1-2:20-1 (KA).

[104] Moosbrugger rappresenta come abbiamo visto l’irrazionale, al di là della normalità.

[105] Con la parola Ekel entriamo ancora una volta nel campo semantico bellico giustifi­cato da un appunto risalente al 1918-19: «Friedenspsychose: – Wenn man das Anfangsge­fühl als eine Psychose erklärt, dann wäre zu bedenken: Der lange Krieg hat eklige Erfah­rungen gezeitigt. Den Kriegswucher, die rohe Unausgeglichenheit der Lasten, die Kriegsphraseologie. Man hat sich nie vorher so gut kennen gelernt wie im Krieg und ist bis zum bittren Ekel enttäuscht. Aus dieser Enttäuschung am nächsten Nachbarn flüchtet sich das Gefühl irrsinnigerweise zum Gedanken (Robert Musil, Nachlassblatt IV/3/492: 25-32 [KA])».

[106] Cfr. Robert Musil, Nachlassblatt II/1/3:8-9 (KA).

[107] Cfr. Martin Buber, Confessioni Estatiche, C. Romani (a cura di), Milano, Adelphi 1987, p. 253.

[108] Cfr. Robert Musil, IR, p. 43.

[109] Claudio Magris scrive: «Il romanzo ideologico o sociologico, il racconto che non è più tale ma solo pretesto allo svolgimento d’una problematica intellettuale, al dispiega­mento d’una concezione del mondo, si sostituiva a quello d’ambiente e a quello psicolo­gico» (Claudio Magris, Il mito absburgico: umanità e stile del mondo austroungarico nella letteratura austriaca moderna, Torino, Einaudi 1963, p. 300).

[110] «(Vorstadtgasthof) Sage dann: Genau so, mit allen Einzelheiten hat es Ach.[illes] geträumt. (Er weiß damals schon von Moosbr.) Gibt irgendwie einen unheimlichen, gehei­men Anfang, man weiß noch nicht, wie das mit der Erzählung kommuniziert» (Robert Musil, Heft 8/135:6-10 [KA]).

[111] Cfr. https://it.wikipedia.org/wiki/Il_perturbante.

[112] Per S. Freud il perturbante è quella sorta di spaventoso che risale a quanto ci è noto da lungo tempo, a ciò che ci è familiare. Per Schelling unheimlich è ciò che potrebbe restare segreto, nascosto e che invece è affiorato.

[113] Cfr. Robert Musil, MoE I, p. 76.

[114] Robert Musil, MoE II, p. 2019; cfr. Robert Musil, IR, pp. 62-3.

[115] Robert Musil, Nachlassblatt VII/6/415: 7-10; cfr. Robert Musil, IR, p. 80.

[116] Robert Musil, Nachlassblatt VII/6/415:20-4 (KA; cfr. Robert Musil, IR, p. 80).

[117] Robert Musil, Nachlassblatt VII/10/73:7-8 (KA; cfr. Robert Musil, IR, p. 90).

[118] Robert Musil, Nachlassblatt VII/10/74:8-18 (KA; cfr. Robert Musil, IR, p. 91).

[119] Così viene tradotta la parola Schwelle (Robert Musil, IR, p. 91).

[120] Robert Musil, Nachlassblatt VII/10/73:9 (KA).

[121] Robert Musil, Die Nation als Ideal und Wirklichkeit, GW VIII, p. 1060.

[122] Nel geistiger Rausch del redentore riecheggia quel berauschendes Gefühl che aveva ac­compagnato Musil alla guerra e nella guerra, almeno all’inizio: «Im «berauschende(n) Ge­fühl» von 1914 findet eine Ich – Auflösung statt, die den Einzelnen in ein «überpersönli­ches Geschehen» einordnet und gerade erfahren werden kann. Der Unterschied zum Auf­satz von 1914 besteht jedoch darin, daß es sich um die Beschreibung eines Erlebnisses handelt, das nun nicht mehr geteilt wird; darauf verweist insbesondere der letzte Satz, der den Umstand «späterer Besinnung» betont. Das einstige Gemeinschaftsgefühl ist nach 1918 unerreichbar geworden, wie auch eine Tagebuchnotiz Musils aus der Nachkriegszeit unmißverständlich festhält: «Ich kann nicht Brüder sagen, mir kommt statt dessen immer Schieber über die Lippen»» (P. Zöchbauer, Der Krieg in den Essays und Tagebüchern Robert Musils, cit., p. 50).

[123] Robert Musil, Der deutsche Mensch als Symptom, Nachlassblatt VII/11/61:10-3 (KA; cfr. Robert Musil, L’uomo tedesco come sintomo, cit., p. 100).

[124] Fine maggio – agosto 1915.

[125] Cfr. Alessandro Fontanari – Massimo Libardi (a cura di), Musil en Bernstol, cit., pp. 45-6.

[126] Ibidem, p. 46.

[127] Micaela Latini, «Il ricordo è un dispositivo scadente». Robert Musil e la scrittura della guerra, cit., p. 38.

[128] Cfr. Robert Musil, Diari I, cit., p. 517. Da Die Nation als Ideal und Wirklichkeit: «Dieser individualistische Separationsgeist übersieht aber noch eines: jenes bekannte Sommerer­lebnis im Jahre 1914, den sogenannten Aufschwung zur großen Zeit, und ich meine das durchaus nicht nur ironisch. Im Gegenteil, was man anfangs stammelte und später zur Phrase entarten ließ, daß der Krieg ein seltsames, dem religiösen verwandtes Erlebnis ge­wesen sei, kennzeichnet unzweifelhaft eine Tatsache; Entartung beweist nichts gegen den ursprünglichen Charakter. Es ist zu einer Phrase gemacht worden, in der üblichen Weise eben dadurch, daß man es ein religiöses Erlebnis nannte und ihm damit eine archaistische Maske gab, statt zu fragen, was da eigentlich an einen doch längst entschlafenen Vorstel­lungs- und Gefühlsbereich so heftig seltsam poche: dennoch läßt sich nicht leugnen, daß die Menschheit zu jener Zeit (und natürlich alle Völker in der gleichen Weise) von etwas Irrationalem, Unvernünftigem, aber Ungeheurem berührt worden ist, das fremd, nicht von der gewohnten Erde, war und deshalb, noch bevor die eigentlichen Kriegsenttäuschungen kamen, einfach weil es sich bei seiner atmosphärisch unbestimmten Natur nicht fassen und halten ließ, schon als eine Halluzination oder ein Gespenst erklärt wurde» (Robert Musil, Die Nation als Ideal und Wirklichkeit, GW VIII, p. 1060).

[129] Alessandro Fontanari – Massimo Libardi (a cura di), Musil en Bernstol, cit., p. 47.

[130] «Man wußte nicht mehr: war Kampf oder herrschte schon Ewigkeit» (Robert Musil, Die Maus, GW VII, p. 489).

[131] Cfr. Robert Musil, La guerra parallela, cit., p. 222.

[132] «Der Versuch einer solchen Ordnung, deren Schaffung nötig sei, muß nach Musils Auffassung allerdings einen Zustand der Liebe und Güte berücksichtigen, der im Leben eines jeden Menschen den Gegensatz zu seinem gewöhnlichen Agieren in einer Welt von Ich-Sucht und Gewalt geprägten Welt bildet. Musil nennt ihn den «anderen Zustand»» (Paul Zöchbauer, Der Krieg in den Essays und Tagebüchern Robert Musils, cit., p. 65).

[133] Cfr. Robert Musil, IR, pp. 187-8.

[134] Robert Musil, Heft 21/67:30-3 (KA; Robert Musil, IR, p. 187).

[135] Da Grenzerlebnisse: «Da wurden die Augen der Seele aufgetan» (Robert Musil, Nach­lassblatt II/1/1:46 [KA]).

[136] Robert Musil, Nachlassblatt VII/8/169:8 (KA; cfr. Robert Musil, IR, p. 188).

[137] Ibidem.

[138] Robert Musil, Heft I/23-24 (KA; cfr. Robert Musil, Diari I, cit., p. 478).

[139] Vedi nota n. 94.

[140] Robert Musil, Nachlassblatt IV/2/346:10-8 (KA; cfr. Robert Musil, Narra un soldato e altre prose, tr. it. di C. Ciardi e E. Krammer, Pistoia, Via del Vento 2012, p. 12).

[141] Robert Musil, La guerra parallela, cit., p. 208.

[142] Robert Musil, Nachlassblatt VII/8/169:11-13 (KA; cfr. Robert Musil, IR, p. 188).

[143] Robert Musil, Nachlassblätter VII/8/169:14-19; VII/8/170:2-6 (KA; cfr. Robert Mu­sil, IR, p. 188).

[144] Con questa risata cerca forse lei stessa di riempire il vuoto che è in lei, incapace com’è di seguire Anders nei suoi ragionamenti, ma non fa altro che amplificarlo.

[145] Massimo Salgaro scrive: «L’altro stato è tout court caratterizzato da una partecipazione totale dell’individuo – vale a dire sia razionale che emotiva – e da uno stato di fusione con il suo ambiente (cfr. Massimo Salgaro, «L’altro stato» dell’infanzia William Stern nella ricezione di Robert Musil, cit., p. 260).

[146] Nell’onda è implicito anche il riferimento allo spazio del mare. Nel Nachlass Musil usa per due volte la parola Wellenberg, in una di queste due citazioni essa è cancellata, ma è interessante notare che è inserita in una pagina in cui l’autore parla di due modi di vivere la realtà: uno di questi è la partecipazione mistica (cfr. Robert Musil, Nachlassblatt V/6/17 (KA).

[147] Cfr. Robert Musil, Nachlassblatt II/1/1 (KA).

[148] Ma anche per la storia sadomasochistica delle due amanti, per la crisi creativa di Clarisse e Walther che è anche procreativa e per l’inconcludente e opportunistico cerchio dell’Azione Patriottica, nuclei narrativi che qui non abbiamo trattato.

[149] Da Das Hilflose Europa oder Reise vom Hundertsten Ins Tausendste: «Sie ist eine Zeit der Erfüllung, und Erfüllungen sind immer Enttäuschungen; es fehlt ihr an Sehnsucht, an et­was, das sie noch nicht kann, während es ihr am Herz nagt» (Robert Musil, Das Hilflose Europa oder Reise vom Hundertsten Ins Tausendste, GW VIII, p. 1088; cfr. Robert Musil, L’Eu­ropa abbandonata a se stessa, cit., p. 122).

[150] Robert Musil, Nachlassblatt I/1/3:75-7 (KA).