Erminio Morenghi

(Parma)

Lo Ungeziefer della «Verwandlung» di Kafka nel processo di una
nichilistica liberazione dallo Spießertum familiare. Alcune riflessioni

[The Ungeziefer of Kafka’s «Verwandlung» in the process
of a nihilistic release from the philistinism of the family. Some considerations
]

abstract. This paper problematizes the etymology of the word “Ungeziefer” in Franz Kafka’s Verwandlung, connecting it to the Jewish tradition and Egyptian mythology as well as to the anti-Semitism that flourished from the Renaissance to the early twentieth century in the German and Central European area. Gregor Samsa’s desire for freedom and emancipation embodies a monstrous and tragical metamorphosis, which gives the opportunity to free the protagonist, albeit in a humiliating and nihilistic way, from the yoke of philistinism in the family, paradoxically freeing also his relatives from a stagnant existential condition. Kafka’s “Ungeziefer” thus becomes a symbol of growth, transformation and rebirth.

Gli approcci ermeneutici alla Verwandlung (1915)[1] che ha reso celebre, accanto a Der Prozess, Das Schloß e alla raccolta di racconti, lo scrittore praghese di lingua tedesca Franz Kafka, hanno problematizzato alcuni aspetti peculiari dell’opera, partendo da diverse chiavi di lettura, da quella teologica a quella esistenzialista, da quella psicoanalitica a quella simbolista, da quella nichilistica a quella sociologica. La Sekundärliteratur sulla Verwandlung si arricchisce ogni anno, confermando a pieno il carattere molteplice della scrittura kafkiana che è da annoverarsi tra le esperienze più significative e incisive dell’intera letteratura mondiale. Ma ciò che in questo contributo si intende sottolineare è l’afflato emancipatorio e catartico che permea l’opera in questione e nella fattispecie la trasformazione del commesso viaggiatore Gregor Samsa, il protagonista, in un ungeheueres Ungeziefer, vale a dire, seguendo le diverse lezioni traduttive italiane, «in un immenso insetto»[2], «in un enorme insetto immondo»[3], «in un insetto mostruoso»[4], «in un insetto gigantesco»[5], «in un enorme insetto»[6], «in un immane insetto»[7] che suscita repellenza e disgusto. Kafka non esplicita in apertura dell’opera di che specie di insetto si tratti o meglio a quale famiglia o ordine appartenga, rimane l’indeterminatezza del termine, su cui il lettore o l’esegeta può avanzare le più disparate ipotesi interpretative[8].

Il Wortfeld del vocabolo tedesco Ungeziefer e di quello ebraico Aròb ad esso connesso è ampio in termini semantico-lessicali ed ermeneutici. Dal Bibel-Lexikon relativo alla quarta piaga d’Egitto si evince che «die Bedeutung des hebräischen Wortes Aròb ist etwas unklar. Es gibt ein Insekt, das unglaublich zerstörisch ist und innerhalb von kurzer Zeit das Holz des Hauses ruiniert. Ohne Zweifel könnte auch die gewöhnliche Fliege von Ägypten gemeint sein. Sie ist zerstörend, verdirbt sehr schnell das Essen und greift ständig den Körper an. Eine Sache, durch die diese Plage charakterisiert wird, ist, dass diese Insekten nicht in das Land Gosen gesandt wurden, wo die Israeliten lebten»[9]. Partendo quindi dalla tradizione veterotestamentaria dell’Esodo («Darauf sprach der Herr zu Mose: Steh früh auf, tritt vor Pharao, wenn er an den Fluss hinuntergeht, und sag zu ihm: So spricht Jahwe: Lass mein Volk ziehen, damit sie mich verehren können. Denn wenn du mein Volk nicht ziehen lässt, lasse ich Ungeziefer auf dich los, auf deine Diener, dein Volk und deine Häuser. Die Häuser in Ägypten werden voll Ungeziefer sein; es wird sogar den Boden, auf dem sie stehen, bedecken»[10]) gli Ungeziefer (in ebraico Aròb) designano le Hundsfliegen, le Stechfliegen, le Bremsen (mosche cavalline, delle stalle o tafani[11]) tradotte con «mosconi» secondo la versione accreditata della C.E.I[12] o, secondo la Bibbia ebraica, con «miscuglio di animali dannosi»[13] o addirittura con «mischia d’insetti»[14], se si sposa l’esito traduttivo dell’edizione Diodati. Si tratta comunque di insetti ematofagi, invertebrati, appartenenti all’ordine dei ditteri, che aggrediscono i mammiferi, anche se va precisato che Samuel Oedmann nei suoi Vermischte Sammlungen aus der Naturkunde zur Erklärung der heiligen Schrift identifica l’Aròb con la blatta orientalis che manda a male vestiari, pelli e masserizie, ma non s’attacca agli uomini[15]. L’Aròb indica quindi quel gruppo di animali (locuste, mosche velenose, pidocchi, bruchi, rane) che, con il peccato originale, cessano di esercitare il loro ruolo positivo tra gli uomini, diventando nocivi, ma di cui lo spirito di Dio si serve per i suoi giudizi e ammonimenti[16]. Dio manda l’Aròb (Ungeziefer), in terra d’Egitto, affinché Faraone si ravveda e lasci libero il popolo ebreo in cattività. L’Aròb è quindi lo strumento salvifico dello spirito di Dio che disgrega chi non entra nel suo soffio e non sussiste davanti a lui, cioè lo spirito dell’“egiziano”, ma struttura lo spirito dell’“ebreo” in terra di Gosen, dove l’“ebreo” pone la propria dimora»[17].

La differenziazione tra il popolo eletto, gli ebrei, e gli egiziani sta proprio nella capacità di sopportare la pervasività dello Spirito di Dio, attraverso le piaghe, la cui centralità se non viene riconosciuta e accettata si trasforma in una forza disgregante, in un vero e proprio flagello.

Nel testo masoretico-ebraico[18] associati all’Aròb si fanno strada i concetti di «distinzione» e di «separazione» tra ebrei e non ebrei, tra puri e impuri, tra ciò che Dio riconosce come sua creatura e ciò che ritiene immondo[19], concetti che pervadono la religione e l’etica ebraiche.

Lo Ungeziefer funge perciò da spartiacque di due distinte dimensioni religiose ed esistenziali (quella degli ebrei in cattività e quella degli egiziani dominatori). Dio offre a questi ultimi l’occasione per riscattarsi attraverso la piaga degli Ungeziefer, degli insetti immondi e impuri. Pertanto «il prezzo del riscatto è appunto il non-sacrificabile, l’animale impuro»[20] visibile attestazione della collera e del rifiuto di Dio.

Interessante è notare, a questo punto, come il vocabolo Aròb getti «molte luci, la prima delle quali, il verbo “oscurarsi”, illumina un’omonimia perfetta; la seconda è Ereb composto dalle medesime lettere-energie di Aròb»[21]. L’Ereb designa la sera, ossia «quel momento della Genesi, in cui ogni cosa si oscura, in rapporto al giorno precedente, ma dove tutto ha inizio poiché introduce nella notte, matrice d’un giorno nuovo»[22]. Infatti è dal tempo della sera, dalle tenebre, dal buio, dal regno dell’Adamah (madre delle profondità) che nasce la luce, concetti questi che avremo modo di riprendere più avanti nel rilievo interpretativo della Verwandlung kafkiana.

L’associazione delle Hundsfliegen con gli Ungeziefer rimanda poi al secondo segmento della parola Beel-zebul (in greco βεελζεβουλ) nelle sue varianti Baal-sebub (divinità fenicio-cananea, il dio di Ekron), Baal-gebul, che designa satana, il principe dei demoni, lo Herr der Fliegen (signore delle mosche), lo Herr des Mists (il signore dello sterco)[23]. Nel contesto neotestamentario lo stesso Gesù, mentre scaccia un demonio che aveva reso muto un uomo, viene accusato dai Farisei di scacciarlo non per mezzo del dito di Dio, ma di Beelzebul. La valenza immonda, impura, nociva, velenosa dello Ungeziefer assume gradatamente una connotazione diabolica, satanica che culmina nello Herr der Fliegen, Satana per l’appunto. In proposito Johann Salomo Semler nel suo Versuch einer biblischen Dämonologie.Untersuchung der Lehre der heil. Schrift vom Teufel und seiner Macht associa lo Ungeziefer alla sfera del demoniaco, del malvagio, dello straordinario: «In Galiläa war viel Wasser, und daher auch viel Ungeziefer. Über dasselbe setzen sie einen Herren, und diesen Fűrsten der Fliegen schrieben die Juden alles Böse und Ausserordentliche in Galiläa zu»[24].

Lo Ungeziefer, in area romana, e precisamente secondo la Vulgata di San Girolamo, designa bestiolae molestae, omne genus muscarum, muscae diversi generi, quindi tutti i tipi di mosche che suscitano fastidio.

In area germanica il termine zebar documentato in antico alto tedesco e connesso a tīber dell’antico inglese e a tīvurr dell’antico nordico designa animali, in maggior parte pecore e capre, adatti ad essere sacrificati agli dei (Opfertiere)[25]. Il contrario di tale vocabolo viene reso in medio alto tedesco con l’uso del prefisso un-, diventando così ungezibere o ungezibele che indica un gruppo di animali impuri, immondi, che non si possono perciò sacrificare[26].

* * *

In questo contesto interpretativo della Verwandlung è utile riprendere le riflessioni del celebre entomologo Vladimir Nabokov che, citando il passo, in cui la donna di servizio apostrofa con toni apparentemente confidenziali Gregor con «Komm mal herüber, alter Mistkäfer!» o «Seht mal den alten Mistkäfer!»[27], arriva a identificare lo Ungeziefer kafkiano non con uno scarafaggio, bensì con uno “scarabeo sacro”, vale a dire con un coleottero, una valutazione già condivisa anche dallo scrittore italiano Primo Levi[28]. Occorre però precisare che Nabokov giunge a questa conclusione, osservando la conformazione dell’insetto descritto da Kafka:

Er lag aus einem panzerartig harten Rücken und sah, wenn er den Kopf ein wenig hob, seinen gewölbten, braunen, von bogenförmigen Versteifungen geteilten Bauch, auf dessen Höhe sich die Bettdecke, zum gänzlichen Niedergleiten bereit, kaum noch erhalten konnte.[29]

Si tratta di un coleottero che presenta il ventre e la schiena convesse, di colore bruno, appartenente al tipo degli Arthropoda, dotato di ali, antenne e di una robusta mandibola che «usa per girare la chiave nella serratura»[30].

Quest’ultimo, a differenza dello scarafaggio (Blatta) che appartiene alla famiglia dei Blattoidei, vive una metamorfosi completa partendo dal bruco ed evolve rapidamente sino allo stadio adulto come succede nelle farfalle. Suscita una certa curiosità il fatto che le traduzioni italiane più accreditate della Verwandlung rendono il termine tedesco con “scarafaggio” (R. Paoli, G. Schiavoni, L. Coppé, H. Furst), con “scarafone” o “bacherozzo” (A. Rho, H. Furst), con “piattola” (E. Ganni) o “blatta” (G. Schiavoni), rese traduttive, queste, citate anche in ambito critico che avrebbero dovuto riferirsi al vocabolo tedesco Küchenschabe o Hausschabe e non a Mistkäfer che designa in verità lo “scarabeo stercorario” dalle curiose peculiarità.

L’analisi entomologica di Nabokov ci riconduce al valore sacrale che lo scarabeo assumeva presso gli antichi Egizi. Il nome egizio dello scarabeo è kheper (si noti il rimando etimologico a Käfer del tedesco moderno) e tale termine significa tra l’altro «crescere, divenire, trasformarsi». Tale insetto straordinario ha la caratteristica di far rotolare il proprio seme, misto ad altro materiale, davanti a sé formando una sfera, che sospinge con le zampe posteriori, imitando così il percorso del sole[31]. Si tratta quindi dello Scarabeus sacer egizio associato al dio del sole nascente Khepri che appartiene alla specie degli scarabei stercorari (Mistkäfer), i quali si nutrono di sterco, facendone delle pallottole che poi trascinano sul suolo al fine di creare nei loro nascon-digli una riserva di cibo o come materiale per proteggere le uova. Come il sole levante crea il nuovo giorno, così lo scarabeo plasma quotidianamente una pallottola di sterco.

Si impone, a questo segno, un breve excursus sull’uso del termine Ungeziefer all’interno della spirale di forte intolleranza antisemita, antigiudaica, che ha contraddistinto buona parte della classe dominante e della cultura germanica moderne, prescindendo dai pogrom medievali, e precisamente a partire dalla celebre operetta Contra Judaeos di Lutero sino ad arrivare alle teorie razziali hitleriane che si sono nutrite degli apporti teorici dell’antisemitismo europeo tra Ottocento e Novecento[32], del vitalismo e dell’occultismo razziale ariosofico[33]. Di marca fortemente antisemita è il giudizio espresso da Ernst Moritz Arndt nel 1814 sugli ebrei da lui paragonati a degli Ungeziefer, i quali minacciano l’essere germanico unitamente ai Francesi nonché quello di Joachim Hundt-Radwsky che, invocando una sana igiene della razza germanica, afferma la necessità di un totale sterminio degli ebrei («die völlige Ausrottung der Juden»)[34]. Dal canto suo, il re di Prussia Federico Guglielmo I (regnante dal 1698 al 1740) riprende, rivolgendosi agli ebrei, una celebre affermazione del suo antenato il principe elettore del Brandeburgo Joachim II (1505-1571)[35] raccolta dal suo cancelliere: «Die Israeliten sind ein gefährliches Ungeziefer». Per non tacere di Herder che, in riferi-mento alla venalità, alla cupidigia degli usurai ebrei, paragonò la comunità israelita ai «Pontinische Sümpfe» citando l’antico proverbio «wo ein Aas liegt, da sammeln sich die Adler und wo Fäulnis ist, hecken Insekte und Würmer»[36] e del giudizio feroce del Kaiser Guglielmo II che, dal suo esilio olandese, ebbe a dire: «Kein Deutscher darf ruhen, bis diese Parasiten von deutschem Boden vertilgt und ausgerottet sind. Dieser Giftpilz an der deut­schen Eiche»[37]. Gli attributi di Ungeziefer, Schändlinge, Parasiten, Giftpilze, Bazillen, Pest[38] usati per connotare la condizione esistenziale e sociale degli ebrei, hanno pervaso la storia della cultura e del pensiero filosofico tedesco e mitteleuropeo. I loro destinatari, secolarmente avvezzi a un crudele linciaggio morale, hanno dovuto necessariamente convivere con un antisemitismo più o meno ingiurioso a seconda delle diverse compagini territoriali europee (i toni più accesi si sono avuti soprattutto nell’Est europeo e in particolar modo in Polonia). La Praga ebraica di Kafka è stata un tutt’uno con la Praga tedesca. Come scrive Giuliano Baioni, lo scrittore «educato in scuole tedesche frequentate si può dire esclusivamente dai figli della borghesia ebraica del centro di Praga […], non ha mai conosciuto, né nell’infanzia né nella giovinezza, l’antisemitismo tedesco»[39]. Non è che l’antisemi-tismo non sia esistito a Praga, tutt’altro. Era presente infatti un antisemitismo di matrice slava assai violento che, nel dicembre 1897, causò sommosse che portarono al saccheggio dei negozi dei commercianti ebrei. Kafka era allora quattordicenne. Queste manifestazioni violente dell’antisemitismo dei nazionalisti cechi di fatto rinsaldarono sempre di più l’identità culturale ebraica praghese alla lingua e alla cultura tedesche: «la Praga ebraica conosciuta dallo scrittore era in qual che modo una sorta di idillio ebraico-tedesco che non conosceva minimamente le tensioni della capitale austriaca, culla dell’antisemitismo più virulento»[40]. Kafka diverrà la voce letteraria più eloquente della cosiddetta crisi valoriale insita nella westjüdische Zeit.

A riprova dell’uso da parte degli ebrei del termine Ungeziefer derivato dalla tradizione biblica[41] e dalla cultura germanica antica e moderna nonché dalla sua integrazione trivializzata nella Umgangssprache, vale, senza alcuna reticenza, il celebre passo del Brief an den Vater (1919), in cui lo scrittore imputa al padre una grande severità nel giudicare l’attore jiddish Jitzhak Löwy che ritiene pernicioso per la sua crescita e che apostrofa brutalmente con l’espressione Ungeziefer[42] oppure nei confronti degli altri compagni, che associa al celebre proverbio «wer mit den Hunden zu Bett geht, steht mit Flöhen auf»[43]. Nella spirale denigratoria, beffardamente umiliante e avvilente, in cui il padre avviluppa il figlio e le sue relazioni amicali, emerge l’accezione di Ungeziefer dalla ampia portata semantica (insetto schifoso, pulce, cimice, parassita, buonannulla, perdigiorno, colui che si stacca dalla realtà concreta della vita seguendo vaneggiamenti poetici e teatrali), con un recupero in modo più o meno consapevole dell’etimo ebraico di Aròb che esprime, tra l’altro, come si è già precisato, un miscuglio di insetti (Ungeziefer) e quindi, per traslazione, la mescolanza di ebrei e non ebrei, una metafora etimologica che esprime il senso di purezza, di non contaminazione tipica della religione ebraica, un” espressione figurata che purtroppo si ritorcerà storicamente contro chi l’ha coniata[44]. I nazisti useranno infatti la parola Ungeziefer per designare ebrei, slavi, zingari, ossia coloro che appartengono alla cosiddetta categoria degli Untermenschen.

Nella Verwandlung, il rapporto sterile, avvilente con i famigliari, il senso di estraneità e di profonda incomprensione, la lacerazione interiore porta il commesso viaggiatore Gregor Samsa a ribaltare il suo ruolo sociale e privato. Egli si è fatto carico, suo malgrado, del sostentamento del padre, della madre e della sorella, dopo il tracollo finanziario dovuto al fallimento dell’azienda paterna («ich bin ja dem Herrn Chef so sehr verpflichtet, das wissen Sie doch recht gut. Andererseits habe ich die Sorge um meine Eltern und die Schwester»[45]). Deve necessariamente far fronte al pagamento dei debiti contratti dal padre, da un padre divenuto nel frattempo pingue e flemmatico in seguito alla perdita della propria autonomia economica:

Nun war aber der Vater ein zwar gesunder, aber alter Mann, der schon fünf Jahre nichts gearbeitet hatte und sich jedenfalls nicht viel zutrauen durfte; er hatte in diesen fünf Jahren, welche die ersten Ferien seines mühevollen und doch erfolglosen Lebens waren, viel Fett angesetzt und war dadurch recht schwerfällig geworden.[46]

Il senso di responsabilità che Gregor ha nei riguardi dei famigliari si acuisce con la sua improvvisa metamorfosi mattutina. Si risveglia infatti nelle sembianze di un gigantesco Ungeziefer[47], dopo aver trascorso una notte agitata da «aus unruhigen Träumen»[48]. La traduzione di Franco Fortini dell’in-cipit del racconto («Mentre un mattino Gregor Samsa si veniva svegliando da sogni agitati, nel suo letto si trovò mutato in un insetto mostruoso»[49]) mette bene in risalto lo sconcerto del protagonista di fronte all’improvvisa trasformazione mattutina che lo coglie del tutto impreparato e indifeso. Non sa se sia un sogno o se sia la realtà. Secondo Luigi Forte l’incipit dell’opera può ricordare, per certi versi, quello del romanzo giovanile di Dostoevskij, Il sosia: «Poco mancava alle otto del mattino, quando il consigliere titolare Jakòv Petrovic” Goljadkin si destò dopo un lungo sonno»[50]. Più oltre, nella scena del ballo, si incontra un passo importante ai fini del presente rilievo, da cui si può desumere che Kafka abbia letto di persona l’opera in questione: «Gli stava accanto più vicino di tutti un certo ufficiale, un giovane alto e bello, di fronte al quale il signor Goljadkin si sentì un autentico piccolo scarabeo»[51]. Una situazione pressoché simile si riscontra anche in un’altra celebre opera di Dostoevskij Memorie dal sottosuolo, in cui un ex-impiegato statale, in preda a un segreto desiderio di sofferenza, di auto-umiliazione, rimpiange di «non essere nemmeno riuscito a diventare un insetto»[52].

La condizione mostruosa, in cui Gregor Samsa si trova catapultato al risveglio, provoca nei genitori e nella sorella sgomento e paura. È l’incertezza del futuro economico che soprattutto li prostra («sie hatten sich in den langen Jahren die Überzeugung gebildet, daß Gregor in diesem Geschäft für sein Leben versorgt war»[53]). Ormai da tempo Gregor è diventato ai loro occhi l’unico baluardo contro le difficoltà economiche, a prescindere dai ritmi disumani, avvilenti e fagocitanti della sua vita lavorativa che, di fatto, lo privano di un margine sia pur minimo di benessere affettivo e ricreativo. È diventato ormai nient’altro che una macchina per fare soldi, seguendo una spietata e alienante logica del profitto. Il suo processo di sper-sonalizzazione che è in atto da anni, non rimorde minimamente la coscienza dei famigliari: «man nahm das Geld dankbar an»[54]. Nonostante le privazioni e i sacrifici, le elargizioni di denaro di Gregor, a beneficio dei famigliari, diventano scontate, tanto da risultare, con il passare del tempo, prive di «eine besondere Wärme»[55]. Forse l’unica che gli dimostra una certa devozione e gratitudine è la sorella, dotata musicalmente. Gregor nutre in segreto il sogno di poterla un giorno mandare al Conservatorio. Il padre, preoccupato delle sorti della famiglia, apre e chiude la cassaforte, dove tiene ancora custoditi, dopo il fallimento della sua azienda, alcuni documenti e un registro contabile. La famiglia dispone per fortuna di un piccolo capitale accantonato grazie ai guadagni di Gregor. I frutti bancari che ne derivano possono consentirle di tirare avanti un anno o due al massimo. A questo punto la tragica trasformazione di Gregor innesca nei famigliari il processo cogente di presa di coscienza delle reali difficoltà economiche che sono chiamati a fronteggiare («das Geld zum Leben aber mußte man verdienen»[56]).

I genitori e la sorella di Gregor hanno la netta sensazione di essere stati colpiti da una sciagura come non era mai successo prima di allora nella cerchia dei loro parenti e amici. Una profonda disperazione li assale impedendo loro, quasi paralizzandoli, di abbandonare il vecchio e grande appartamento divenuto troppo dispendioso. Reagiscono allo spettro della povertà come possono («Was die Welt von armen Leuten verlangt, erfüllten sie bis zum äußersten»[57]). Arriveranno persino ad affittare una stanza a dei pensionanti, provvedendo anche al loro vitto, pur di racimolare soldi. Tutto questo succede al di là della stanza divenuta, nel frattempo, una Abstellkammer, una sorta di prigione, dove lo Ungeziefer si spegne lentamente colpito a morte dalla mela scagliata violentemente dal padre che gli si è conficcata nella corazza. Egli origlia, cataloga e rielabora mentalmente tutto ciò che accade fuori dalla sua “tana”. È uno spettatore umanamente cosciente nelle vesti di un insetto mostruoso, repellente; è divenuto, suo malgrado, un parassita che grava sulle spalle della famiglia, quella famiglia che in precedenza ha così faticosamente sostenuto, privandosi del diritto sacrosanto di avere una vita affettiva tutta sua con il conseguente acuirsi di un profondo malessere dovuto alla mancata realizzazione delle sue aspirazioni individuali. L’unico simulacro di una tensione erotico-sentimentale rimasto nella sua stanza, che difende sino all’ultimo respiro con una postura copulativa, nonostante il tentativo di rimuoverlo da parte della madre e della sorella, è l’illustrazione di una signora seduta con un cappellino e un boa di pelliccia ritagliata da un giornale e messa in una bella cornice dorata:

da sah er an der im übrigen schon leeren Wand auffallend das Bild der in lauter Pelzwerk gekleideten Dame hängen, kroch eilends hinauf und preßte sich an das Glas, das ihn festhielt und seinem heißen Bauch wohltat. Dieses Bild wenigstens, das Gregor jetzt ganz versteckte, würde nun gewiß niemand wegnehmen.[58]

L’unica persona che è lucidamente consapevole della “reale” condizione di Gregor e che non gli dimostra disgusto, è la donna delle pulizie a ore, «diese alte Witwe, die in ihrem langen Leben mit Hilfe ihres starken Knochenbaues das Ärgste überstanden haben»[59]. All’inizio mentre riassetta la stanza che diventerà col passare del tempo uno sgabuzzino, gli si rivolge con appellativi del tipo «Komm mal herüber, alter Mistkäfer!» oppure «Seht mal den alten Mistkäfer!»[60]. Questi appellativi svelano di fatto al lettore la vera identità e il ruolo dello Ungeziefer che riesce a ribaltare il parassitismo (Schmarotzertum) familiare in una rinascita esistenziale degli stessi congiunti, ripristinando per certi versi quella bürgerliche Sekurität improvvisamente compromessa. Il padre diventa infatti usciere di banca, fiero della sua divisa che non abbandona mai anche quando è a casa, «als sei er immer zu seinem Dienste bereit und warte auch hier auf die Stimme des Vorgesetzten»[61]. La madre accetta un lavoro di cucitrice per un negozio di moda e la sorella trova un posto di commessa, studiando la sera stenografia e francese per migliorare la sua condizione lavorativa ed economica. Pur perdendo l’agio di un tempo garantito dal lavoro di Gregor, il nucleo familiare rinserra le fila per proteggersi solidalmente dalle difficoltà economiche subentrate in seguito alla metamorfosi del loro famigliare:

Wer hatte in dieser abgearbeiteten und übermüdeten Familie Zeit, sich um Gregor mehr zu kümmern, als unbedingt nötig war? Der Haushalt wurde immer mehr eingeschränkt; das Dienstmädchen wurde nun doch entlassen; eine riesige knochige Bedienerin mit weißem, den Kopf umflatterndem Haar kam des Morgens und des Abends, um die schwerste Arbeit zu leisten, alles andere besorgte die Mutter neben ihrer vielen Näharbeit. Es geschah sogar, daß verschiedene Familienschmuckstücke, welche früher die Mutter und die Schwester überglück­lich bei Unterhaltungen und Feierlichkeiten getragen hatten, verkauft wurden.[62]

Quest’evoluzione sarà resa possibile mediante la metamorfosi di Gregor da definirsi imperfetta rispetto ai canoni della tradizione classica, ovvero al sacrificio di Gregor-insetto (Familientier) che riuscirà finalmente a liberarsi, con la sua raccapricciante fine, dai gravami dello Spießertum familiare, evitando ai suoi congiunti di dar corso all’idea di sbarazzarsi definitivamente di lui, di sopprimerlo miseramente («wir müssen versuchen, es loszuwerden»[63]). La metamorfosi è, secondo Canetti, una dinamica fondamentale che ha segnato e segna profondamente la storia della civiltà umana, di cui lo scrittore ha la responsabilità di essere il custode[64]. Gregor, una volta entrato nella dimensione dell’animalità, la vive come l’unica via possibile per uscire da una situazione esistenziale insostenibile, schiacciato tra gli ingranaggi del potere familiare soverchiante. Viola Carofalo osserva in un suo recente e stimolante contributo kafkiano: «la malattia, proprio come l’animalità, si configura come vita quasi umana e si contrappone, in quanto tale, all’organizzazione e alla produttività, a ciò che è consueto, decoroso, ben accetto»[65].

* * *

La dimensione ripugnante dell’insetto, in cui il protagonista è calato, diviene quindi la negazione assoluta di tutto ciò che è funzionale, adempiente, utile e produttivo.

Dal canto suo, Nabokov sostiene acutamente che Gregor è un essere umano nella veste di insetto (Aròb-Ungeziefer), mentre i suoi famigliari sono insetti «in veste di persone»[66], «sono i suoi parassiti che lo sfruttano, lo corrodono dall’interno»[67]. L’essere diventato insetto rappresenta per Gregor il totale distacco dalla dimensione umana alienante e quindi dalle gerarchie e dalle logiche economiche e produttive[68] che tale status implica per poter così potenziare la lucida, e disincantata riflessione sulla sua mostruosa condizione di albergare in un corpo d’insetto. La trasformazione del protagonista è quindi legata a un processo di autonegazione, di oscuramento (Ereb) del proprio Io sociale e privato. Non si tratterebbe affatto, come giustamente precisa la traduttrice inglese Susan Bernofsky, di un’entità virtuale. Secondo Helmut Böttiger, «was Gregor Samsa erlebt, ist “kein Traum”, wie es einmal heißt. Es ist die normalerweise nicht sichtbare Kehrseite der Realität»[69]; la qual cosa suscita un grande sconcerto nel lettore, poiché è per lui difficile cogliere il grado di sofferenza e di disagio nonché la portata della deriva esistenziale che il protagonista è costretto a sperimentare. L’insetto kafkiano della Verwandlung – continua Böttiger – non è un’astrazione, non è un sim-bolo, è un’immagine irreale non spiegabile verbalmente, è il genuinamente letterario che si sottrae alla comune trattazione teorica.

La scrittura kafkiana ha il potere di scandagliare magistralmente il profondo delle realtà psichiche e mnestiche (Adamah), il vuoto esistenziale del protagonista. Non bisogna però scordare la valenza che lo Ungeziefer assume nel processo di desacralizzazione tipico dell’universo kafkiano, in cui il senso del Divino risulta remoto, forse nascosto. «L’insetto, come afferma Paolo di Sacco, porta nel suo corpo la piaga insanabile»[70] del percepirsi impuro, è «la visibile tumefazione di questa irrequietezza, del suo non sentirsi in sintonia col cosmo»[71]. Il tormento di Gregor derivato da un senso profondo di inettitudine, precarietà e alienazione esistenziale è quello di una «creatura abbandonata dal suo Dio, senza patria, né ruolo, e quindi senza identità»[72].

Il credo religioso e l’eredità dei padri sono ombre tra le ombre. L’animalità mostruosa è la manifestazione estrema della completa deriva dell’umano del protagonista in un crescendo sconcertante di sofferenza e di rassegnata sopportazione. Lo scrittore israeliano Abraham B. Yehoshua, interrogandosi sulla natura dell’insetto della Verwandlung kafkiana, afferma che «se [esso] viene interpretato esclusivamente come simbolo metaforico o allegorico, un simbolo generale di disumanizzazione, allora perdiamo […] qualcosa di importante in questo racconto, che, al di là di tutto ciò che riguarda l’insetto, tiene bene testa a un approccio realistico generale»[73]. Sul taglio concreto dato da Kafka al suo racconto, Yehoshua cita efficacemente il passo di una lettera che lo scrittore praghese indirizzò all’amico Yanok: «È un sogno terribile, è una concezione terribile. Il sogno svela la realtà, mentre l’idea ne è una risultanza. È la mostruosità della vita, la natura terrifica dell’arte»[74].

Riprendendo i concetti di Aròb (Ungeziefer) ed Ereb (tenebre) precedentemente citati, significativo è nella Verwandlung la dimensione del buio, not-turna per cosi dire, che avvolge Gregor nella sua stanza-ripostiglio («Was für ein stilles Leben die Familie noch führte», sagte sich Gregor und fühlte, während er starr vor sich ins Dunkle sah, einen großen Stolz darüber»[75]; «und wenn nun Gregor im Dunkel war»[76]). La sua stessa morte viene annunciata a piena voce nell’oscurità dalla donna a ore: «und rief mit lauter Stimme in das Dunkle hinein»[77]. Talvolta la porta rimane aperta per ricordare alla famiglia che Gregor esiste ancora. La metafora dell’oscuramento (Ereb) della precedente vita del protagonista (Aròb) vale non solo come una forma di estrema ribellione dell’individuo contro la sua condizione disumana e alienante, ma anche come estremo ammonimento verso i suoi famigliari, affinché colgano l’opportunità di dare un nuovo corso alla loro esistenza. A questo proposito è particolarmente interessante sottolineare quanto Kafka scrive nella lettera del 25 ottobre 1915 inviata all’editore Kurt Wolff, in cui, riferendosi all’illustrazione del frontespizio della Verwandlung, suggerisce due possibilità «i genitori e il procuratore davanti alla porta chiusa [la prima], o, meglio ancora, i genitori e la sorella nella stanza illuminata, mentre la porta che dà nella camera attigua, tutta buia, rimane aperta [la seconda]»[78].

Ferito a morte dal padre che gli scaglia una mela che ferisce gravemente la sua corazza, Gregor si lascia lentamente morire con la lucida autocoscienza della propria fine imminente che ricorda, secondo Paolo Di Sacco il Christus patiens, avviato alla crocifissione, una sorta di «piccolo Cristo»[79] laico, come ci ricorda Italo Alighiero Chiusano nel suo ultimo pezzo teatrale, uscito postumo, Consideratemi un sogno:

Den verfaulten Apfel in seinem Rücken und die entzündete Umgebung, die ganz von weichem Staub bedeckt waren, spürte er schon kaum. An seine Familie dachte er mit Rührung und Liebe zurück. Seine Meinung darüber, daß er verschwinden müsse, war womöglich noch entschiedener, als die seiner Schwester.[80]

La sorella ammette in modo espicito che «ein Zusammenleben von Menschen mit einem solchen Tier nicht möglich ist»[81]. Nella Verwandlung, Kafka fa ricorso alla situazione allucinata di Gregor, scaturita da sogni irrequieti, per esorcizzare quell’accusa di parassitismo che gli veniva mossa dal padre-padrone. A dire il vero già prima della metamorfosi Gregor si sentiva un Ungeziefer in un corpo d’uomo, una condizione, la sua, tutta interiore dettata dal sentirsi “diverso”, “estraneo”, “incompreso” che estrofletterà nell’acquisire le sembianze di un insetto dotato però di una coscienza umana. In lui si coagula quindi tutto il dramma di Kafka, con il rischio di «una preoccupante caduta verso l’equivoco della compromissione autobiografica»[82]. È bene ricordare che anche nel racconto Hochzeitsvorbereitungen auf dem Lande il protagonista Raban sceglie il letto come luogo di ripiegamento su se stesso, come fuga dalla realtà e pensa che manderà in campagna il suo corpo vestito scisso da quello vero che assume la forma di un gigantesco coleottero («ich habe, wie ich im Bett liege, die Gestalt eines großen Käfers, eines Hirschkäfers oder eines Maikäfers, glaube ich»[83].

Come scrive Giuliano Baioni, «Kafka nell’immagine del suo insetto rende visibile tutta l’abiezione dell’esistenza piccolo-borghese fondata sul parassitismo di rapporti squallidi, ambigui e mortificanti in cui l’unica forma possibile di chiarezza è l’autorità di un giudice che alimenta il proprio potere con l’energia che sottrae alla sua vittima»[84]. Grazie alla reificazione di se stesso («das Zeug von nebenan»[85]) e alla sua tragica e ignominiosa fine annunciata dalla irriverente e brutale donna delle pulizie («Sehen Sie nur mal an, es ist krepiert; da liegt es ganz und gar krepiert!»)[86], Gregor riuscirà di fatto a traghettare la sua famiglia verso una progettualità esistenziale aperta, verso nuove sfide future: «es fand sich, daß diese bei näherer Betrachtung durchaus nicht schlecht waren, denn aller drei Anstellungen waren, worüber sie einander eigentlich noch gar nicht ausgefragt hatten, überaus günstig und besonders für später vielversprechend»[87]. Consentirà loro di ritrovare in una nuova primavera («Es war schon am Ende März»[88]) il calore, la vivacità e il positivo della vita ben espressi dalla giovane sorella che durante una gita in campagna con i genitori esce per prima dalla vettura «und ihren Körper dehnte»[89]. Gregor divenuto uno scarabeo, secondo l’ipotesi interpretativa di Nabokov, offre tutto il suo abbrutimento, la sua reificazione creaturale, sull’altare della felicità familiare, a discapito della realizzazione di se stesso, recuperando in un certo senso la valenza sacrale che tale insetto aveva presso gli antichi Egizi, ossia quello di essere il simbolo del divenire e della rinascita[90]. Del resto il cognome stesso Samsa allude al termine buddista “samsara” (“scorrere insieme”) che designa il perenne ciclo di vita, morte e rinascita. Nel quarto degli Otto quaderni in ottavo, non a caso, lo scrittore annota «La catena delle generazioni non è la catena della tua più intima natura, eppure vi si ricollega per diversi rapporti. Quali? – Le generazioni muoiono come gli attimi della tua vita. – In che cosa consiste la differenza?»[91].

Die Verwandlung come fiaba tragica e funesta, come «eine Axt für das gefrorene Meer in uns»[92] esprime quindi pienamente il sacrificio estremo e paradossale di Gregor-Ungeziefer (il non-sacrificabile[93]) che si fa carico di tutta la negatività familiare per traghettarla verso una resurrezione. Il protagonista uscito dalla penna del geniale scrittore praghese potrebbe ricollegarsi, per certi aspetti, attraverso la sua metamorfosi in un ungeheueres Ungeziefer, al patrimonio simbolico-sapienzale dell’antico Medio Oriente, additando una possibilità di rinascita per i suoi cari (il cosiddetto organismo familiare) anche a costo dell’auto-umiliazione e del pieno annullamento di se stesso. La discesa nichilistica e autodistruttiva del protagonista negli abissi del creaturale, del mitologico, nel primordiale, obbliga di fatto i suoi famigliari a dare una nuova svolta alla loro esistenza, liberando nel contempo se stesso dalla spirale ammorbante dello Spießertum, in cui si sentiva irrimediabilmente avviluppato, letalmente paralizzato.

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[1] Il racconto viene pubblicato a Lipsia la prima volta nel 1915 dalla casa editrice di Kurt Wolff nella collana «Die weißen Blätter». La stesura risale al 1912 tra il mese di novembre e di dicembre, come si può desumere da due lettere indirizzate alla fidanzata Felice Bauer, e precisamente quelle datate 23 («È intitolato Metamorfosi, ti incuterebbe molta paura e forse ne faresti a meno, poiché paura ti devo fare purtroppo ogni giorno con le mie lettere» F. Kafka, Lettere a Felice 1912-1917, Arnoldo Mondadori editore, Milano, 1972, p. 82) e 24 novembre 1912 («Cara, che racconto eccezionalmente ripugnante è mai quello che metto di nuovo da parte per riavermi pensando a te! Ora è già arrivato un pezzo oltre la metà e io, in complesso non ne sono insoddisfatto, ma è nauseante oltre ogni limite» ivi, p. 83). – Sui rilievi interpretativi si vedano G. Baioni, Kafka. Romanzo e parabola, Feltrinelli, Milano, 1962; Th. W. Adorno, Appunti su Kafka, in Prismi. Saggi sulla critica della cultura, Einaudi, Torino, 1962; E. Canetti, Laltro processo, Longanesi, Milano, 1969; H. Binder, Kafka-Kommentar zu sämtlichen Erzählungen, Winkler, München, 1975; G. Massimo, Franz Kafka, La Nuova Italia, Firenze 1984; M. Blanchot, Da Kafka a Kafka, Feltrinelli, Milano, 1983; C. Magris, Lanello di Clarisse. Grande stile e nichilismo nella letteratura moderna, Einaudi, Torino, 1984; P. Citati, Kafka, Rizzoli, Milano, 1987; M. Freschi, Introduzione a Kafka, Laterza, Bari, 1993; AA. VV., Kafka, in «Humanitas», ed. Morcelliana, Brescia, 2000; H. Binder, Kafkas «Verwandlung». Entstehung, Deutung, Wirkung, Stroemfeld, Frankfurt am Main, 2004; R. Crumb, Kafka, Bollati Boringhieri, Torino, 2008; S. Kaul, Einführung in das Werk Franz Kaf­kas, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, Darmstadt, 2010; G. A. Goldschmidt, Meistens wohnt der den man sucht nebenan, S. Fischer Verlag, Frankfurt am Main, 2010; M. Schmitz-Emans, Kafka Franz: Epoche-Werk-Wirkung, C.H. Beck, München, 2010; M C. Colangelo, Una rotonda sul mare. Kafka allo specchio dei filosofi, Edizioni d’If, Napoli, 2014.

[2] Trad. it. di Henry Furst (Longanesi, 1965).

[3] Trad. it. di Rodolfo Paoli (Mondadori, 1970).

[4] Trad. it. di Anita Rho (Rizzoli, 1975) e di Franco Fortini (Einaudi,1986).

[5] Trad. it. di Luigi Coppé (Newton Compton editori, 1991).

[6] Trad. it. di Giulio Schiavoni (Rizzoli, 1995).

[7] Trad. it. di Enrico Ganni (Einaudi, 2008).

[8] Sui problemi legati alla traduzione delle opere kafkiane cfr. L. Borghese, Tradurre Kaf­ka, in Il viaggio della traduzione. Atti del Convegno, University Press, Firenze, 2006, pp. 341-351; F. Fortini, Due note su Kafka, in Un giorno o laltro, Quodlibet, Macerata, 2006.

[9] Citazione da Bibelwissenschaft.de. Sulla quarta piaga d’Egitto si veda anche La Santa Scrittura in volgare riscontrata nuovamente con gli originali ed illustrata con breve commento di Gregorio Ugdulena, vol I, Vecchio Testamento, Tipografia di Francesco Lao, Palermo, 1859, pp. 278-279 nonché il Grande commentario biblico, Parte I Il Vecchio testamento, Queriniana, Brescia, 1973. In quest’ultima opera alla voce «Quarta piaga: i tafani 8,16-28» si precisa che «questa piaga che noi ascriviamo a J, sembra un doppione della piaga precedente [quella delle zanzare]. Anche in questo caso la natura della piaga è un po’ dubbia: consisterebbe in mosche, tanto ordinarie in tutto il Medio Oriente, o in tafani» (p. 67).

[10] Die Bibel, Exodus, 8, 16-17, Herder Verlag, Freiburg-Basel-Wien, 2001, p. 61. È bene ricordare che nel Levitico 11, 20 «Ogni insetto alato che cammina su quattro zampe, è un abominio» per gli Ebrei (La Bibbia. Nuovissima versione dei testi originali, Edizioni Paoline, Torino, 1987, p. 141); la versione tedesca recita «Alle Kleintiere mit Flügeln und vier Füßen seien euch abscheulich» (Die Bibel, cit., p. 105).

[11] In proposito si consideri il versetto 45 del salmo 78 «Mandò in mezzo a loro tafani che li divorassero e rane che li molestassero» (La Bibbia. Nuovissima versione dei testi originali, cit., p. 861). La versione tedesca recita «Er schickte einen Schwarm von Fliegen, der fraß sie auf,/ein Heer von Fröschen, das vertilgte sie» (Die Bibel, cit., p. 652), mentre l’edizione Diodati «Ed havea mandato contr’a loro una mischia d’insetti, che gli mangiarono: e rane, che gli distrussero» (La Bibbia di Deodati, Il Vecchio Testamento vol. II, Salmi 78,45, Arnoldo Mondadori editore, Milano, 1999, p. 231). Da citare è anche il versetto 31 del salmo 105 nella versione italiana «Diede un comando e vennero le mosche, zanzare in tutto il territorio» (La Bibbia, cit., p. 888), in quella tedesca «Er gebot, da kamen Schwärme von Fliegen/ und von Stechmücken über das ganze Gebiet» (Die Bibel, cit., p. 666) e secondo l’edizione Diodati «Alla sua parola venne una mischia di insetti, e pidocchi in tutte le lor contrade» (La Bibbia di Deodati, Salmi 105, 31, cit., p. 275). Se si scorrono poi i Libri profetici, ci si imbatte in Geremia 46 nel versetto 20 relativo all’invasione dell’Egitto: «Giovenca bellissima è l’Egitto: un tafano del nord è giunto su di essa». (La Bibbia, cit., p. 1292) corrispondente alla versione tedesca «Eine stattliche Jungkuh ist Ägypten,/die Bremse von Norden stürzt sich auf sie.» (Die Bibel, cit., p. 915). L’edizione Deodati riporta invece «Egitto è una bellissima giovenca: ma dal Settentrione viene, viene lo scannamento» (La Bibbia di Deodati, Il Vecchio Testamento vol. I, Esodo VIII, 21-32, cit., p. 783).

[12] La Bibbia, cit., p. 85.

[13] «Così fece il Signore: un grandissimo miscuglio di animali dannosi penetrarono nella casa del Faraone e dei suoi servi; e tutto il territorio egiziano andava in distruzione per il miscuglio delle bestie» (Bibbia ebraica a cura di Rav Dario Disegni, Giuntina, Firenze, 1995, p. 104). Nella nota a corredo del testo biblico si afferma:«Difficile è determinare che cosa indichi esattamente il testo che usa una parola che significa mescolanza. Forse si tratta di scarabei [il corsivo è mio] così comuni in Egitto o varie specie d’insetti dannosi» (ibidem). Dal radicale Aròb deriva la parola che in ebraico designa «confusione», «mescolanza», parola che gli israeliti usavano per definire i non israeliti, gli impuri.

[14] La Bibbia di Deodati, Il Vecchio Testamento vol I, Esodo VIII, 21-32, Arnoldo Mondadori editore, Milano, 1999, p. 193-195.

[15] Citazione dall’opera succitata pubblicata a Rostock e Lipsia nel 1793 presso la Libreria Koppenschen, p. 89.

[16] Le dieci piaghe d’Egitto che equivalgono a dieci calamità (l’acqua cambiata in sangue, le rane, le zanzare, i mosconi, la mortalità del bestiame, le ulcere, la grandine, le cavallette, le tenebre e la morte dei primogeniti), sono il segno tangibile, la dimostrazione, della potenza di Dio. È in nome di quest’ultimo che Mosè chiede al Faraone di lasciare partire il popolo ebraico ridotto in schiavitù.

[17] S. Annick, LEgitto interiore o le dieci piaghe dellanima, ed. Servitium, Sotto il Monte, 2007, p. 77.

[18] Cfr. P. Di Sacco, Linsetto di Kafka tra metamorfosi e redenzione, in «Intersezioni», n. 2/98, Il Mulino, Bologna, 1998, p. 244. L’autore precisa in una nota che Masora o Masorah indica l’insieme delle osservazioni critiche sul testo originale del Vecchio Testamento che risale alla tradizione orale delle scuole rabbiniche e che appare nella versione scritta solo dopo la compilazione del Talmud a partire dal VI secolo.

[19] Cfr. R. Paoli, Introduzione a La metamorfosi. Racconto, Mondadori, 1970 pp. 31-33.

[20] P. Di Sacco, Linsetto di Kafka tra metamorfosi e redenzione, cit., p. 244.

[21] S. Annick, LEgitto interiore o le dieci piaghe dellanima, cit., p. 73.

[22] Ivi, p. 74.

[23] Cfr. G. Proja, Uomini, diavoli, esorcismi: la verità sul mondo occulto, Città nuova, Roma, 2002.

[24] Citazione dall’edizione hallense del 1776 uscita per i tipi di C. H. Hemmerde. Tratta dello Ungeziefer anche l’opera di Johann Jacob Schmidt, Biblischer Geographus oder vollständige Beschreibung aller in der heil. Schrift bennanten Länder und Städte, Verlegung des Waysenhauses bey G. B. Fromman, Züllichau, 1740, p. 73, pp. 404-537, p. 543.

[25] Tacito, nella sua Germania parlando dei sacrifici che i Germani tributavano agli dei, in particolare a Ercole e Marte scrive: «[Herculem et] Martem concessis animalibus placant» (Tacito, La Germania, Editori riuniti, Roma, 1983, p. 43).

[26] Cfr. Deutsches Wörterbuch von Jakob und Wilhelm Grimm, Bd. 24, Sp. 943 bis 950. È bene ricordare che il prefisso ge-+vocabolo esprime una quantità, un gruppo, un miscuglio di cose, animali ecc.

[27] V. Nabokov, Lezioni di letteratura, Garzanti, Milano, 1992, p. 300. I passi citati stanno in F. Kafka, La metamorfosi, introduzione di G. Baioni, ediz. bilingue, Rizzoli, Milano, 1975, p. 144 (d’ora in poi L. M.).

[28] Cfr. P. Levi, Conversazioni e interviste, a cura di M. Belpoliti, Einaudi, Torino, 1997, pp. 188 sgg.

[29] L. M. p. 52.

[30] V. Nabokov, Lezioni di letteratura, cit., p. 302.

[31] In proposito cfr. A. Russo Pavan, Divinità, simboli, rituali, magia, amuleti, invocazioni, ediz. Mediterranee, Roma, 2000; F. H. Nelson, Simboli di potere. Amuleti e talismani di tutto il mondo, Il Punto d’incontro, Vicenza, 2008; B. de Rachewiltz, Egitto magico religioso, Libritalia, Vibo Valenzia, 1997.

[32] Cfr. R. Pascal, Dal naturalismo allespressionismo. Letteratura e società in Austria e in Germania 1880-1918, Feltrinelli, Milano, 1977 (si veda in particolare il cap. IV «L’ebreo come straniero e come borghese», pp. 71-86).

[33] In merito illuminante è il volume di N. Godrick-Clarke Le radici occulte del nazismo, Sugarco edizioni, Carugo, 1992.

[34] A questo riguardo si veda l’impegnativo e stimolante studio di M. Ferrari Zumbini Die Wurzeln des Bösen: Gründerjahre des Antisemitismus: von der Bismackzeit zu Hitler, Vittorio Klostermann, Frankfurt am Main, 2003.

[35] Tale frase fu proferita la prima volta dal principe elettore Joachim II in riferimento all’avvelenatore del padre, l’ebreo Lippold, che fu condannato alla pena capitale nel 1573, e ripresa nel 1725 dal suo discendente che, essendo stato vittima di una truffa di 100.000 talleri da parte dell’usuraio ebreo Ephraim Veit, la riferì a uno dei suoi ministri. Si veda in proposito H. Schwenk, Der Wahnsinn hatte Methode. Das grausame Strafgericht gegen Münzmeister Lippold anno 1573, Edition Luisenstadt, Berlin, 1999.

[36] J. G. Herder, Adrastea, in Werke in zehn Bänden, Band 10, Deutscher Klassiker Verlag, Frankfurt am Main, 2000, p. 96.

[37] Tale frase fu pronunciata dal Kaiser nell’agosto del 1919, in esilio a Doon, alla presenza del feldmaresciallo August von Mackensen. Sulle linee-guida della politica tedesca di Guglielmo II si veda J.C.G. Röhl, Kaiser, Hof und Stadt: Wilhelm II. Und die deutsche Politik, C. H. Beck, München, 2002, p. 215.

[38] A questo riguardo si vedano P. L. Rose, German Question. Jewish Question. Revolutionary Anti-semitism from Kant to Wagner, Princeton University Press, Princeton, 1992; P. Bernardini, Ebrei e tolleranza in Germania attorno al 1800, in «I Castelli di Yale» Rivista di filosofia, V (5), Ferrara, 2002, pp. 111-128. Adolf Hitler afferma nel Mein Kampf (1924, p. 335): «Im Leben des Juden als Parasit im Körper anderer Nationen und Staaten liegt eine Eigenart begründet». Joseph Goebbels, dal canto suo, considererà gli ebrei come «Läusen der Menschheit». Assai stimolante è altresì il saggio di A. Bein, «Der jüdische Parasit». Bemerkungen zur Semantik der Judenfrage, in «Vierteljahrshefte für Zeitgeschichte», 2. Heft/April, 13. Jahrgang, 1965, pp. 121-149.

[39] G. Baioni, Kafka. Letteratura ed ebraismo, Einaudi, Torino, 1984, p. 9.

[40] Ibidem. Per una ricostruzione dell’ambiente natale di Kafka cfr. inoltre M. Brod, Franz Kafka, Eine Biographie, S. Fischer Verlag, Frankfurt am Main, 1954; K. Wagenbach, Franz Kafka. Eine Biographie seiner Jugend, Francke Verlag, Bern, 1958; A. M. Ripellino, Praga magica, Einaudi, Torino, 1973; M. Freschi, La Praga di Kafka: letteratura tedesca a Praga, Guida, Napoli, 1990; M. Brunazzi-A. M. Fubini, Ebraismo e cultura europea del ’900, Giuntina, Firenze, 1990; I. Schiffermüller, La Praga di Kafka, in AA.VV., Atlante della letteratura tedesca, Quodlibet, Macerata, 2009, pp. 342-354; H. Salfellner, Kafka und Prag, Vitalis Verlag, Praga, 2011; R. Stach, Kafka. Die frühen Jahre, S. Fischer Verlag, Frankfurt am Main, 2014; R. Stach, Kafka von Tag zu Tag, S. Fischer Verlag, Frankfurt am Main, 2018.

[41] Sulle letture bibliche di Kafka cfr. B. Rohde, Und blätterte ein wenig in der Bibel. Studien zu Franz Kafkas Bibellektüre und ihren Auswirkungen auf sein Werk, Verlag Königshausen & Neumann, Würzburg, 2002. Si tratta di un’analisi approfondita degli effetti che le letture bibliche di Kafka hanno avuto sulla sua opera. In riferimento alla sua biografia va ricordato che, nel 1912, durante il soggiorno nel sanatorio di Jungborn nello Harz, Kafka riceve in regalo da un amico una copia della Bibbia di Lutero che diventerà uno dei pilastri nella stesura delle sue opere così ricche di rimandi ai miti ebraici presenti in particolare nella Genesi (ad esempio il diluvio universale) e nell’Esodo, nonché quelli cristiani dei Vangeli (parabole) e delle lettere paoline. Nel contesto della cattività egizia del popolo ebreo e delle piaghe inflitte da Dio al Faraone e al popolo d’Egitto emerge il personaggio di Mosè che diventerà per il movimento sionista una figura-chiave in termini ideali, cui ispirarsi. Nel dicembre del 1913 Hugo Bergmann, compagno di liceo di Kafka, tiene una conferenza a Praga al Bar Kochba su «Mosè e il tempo presente», additando il personaggio biblico a modello delle future azioni sioniste. La sua condotta determinata e intransigente era dettata, secondo Bergmann, da «una inflessibile fedeltà alla legge morale che imponeva al popolo di Israele, al di là di ogni opportunistica conciliazione, le durissime vie di una scelta tra Dio e Baal» (G. Baioni, Kafka. Letteratura ed ebraismo, cit., p. 80). Kafka, pur apprezzando la portata argomentativa e l’afflato emancipatorio della conferenza, trova di non avere nulla a che fare con tutto questo. Accetta con composta rassegnazione il proprio modus vivendi con il vuoto interiore che comporta.

[42] Cfr. F. Kafka, Brief an den Vater, Hoepli, Milano, 1999, p. 19. In quest’opera il termine Ungeziefer viene tradotto da Anita Rho con l’espressione «insetto ripugnante» (F. Kafka, Lettera al padre, in Confessioni e diari, Arnoldo Mondadori editore, Milano, 1991, p. 646). Da ricordare è anche il passo ((«Und den Kampf des Ungeziefers, welches nicht nur sticht, sondern gleich auch zu seiner Lebenserhaltung das Blut saugt») relativo alla replica del genitore immaginata dal figlio, in cui ricorre ancora una volta il vocabolo Ungeziefer (Brief an den Vater, cit., p. 91).

[43] Il passo tratto dal Brief an den Vater recita «und wie so oft für Leute, die mir lieb waren, hattest Du automatisch das Sprichwort von den Hunden und Flöhen bei der Hand» (ibidem, p. 19). In merito si veda anche B. Sellinger, Die Unterdrückten als Anti-Helden: zum Widerstreit kultureller Traditionen in den Erzählwelten Kafkas, Peter Lang Verlag, Bern, 1982, p. 143.

[44] Interessante è ricordare che dopo l’uscita della Verwandlung i redattori di una rivista nazionalista tedesca useranno il termine Ungeziefer per designare i bohémiens di credo cosmopolita che vivevano e frequentavano il quartiere di Schwabing a Monaco, da dove partirà l’ascesa del Nazionalsocialismo.

[45] L.M., p. 82.

[46] Ivi, p. 108.

[47] In proposito si vedano R. H. Lawson, Ungeheures Ungeziefer in Kafkas Die Verwandlung», in «The German Quartely», vol. 33, N. 3, May, 1960, pp. 216-219; K.-H. Fingerhut, Die Funktion der Tierfiguren im Werke Franz Kafkas. Offene Erzählgerüste und Figurenspiele, H. Bouvier u. Co. Verlag, Bonn, 1969, p. 212. 262, 284 e segg.; F. Bermejo-Rubio,Truth and Lies Kafkas about Gregor Samsa. The Logic Underlying the two Conflicting Versions in Die Verwandlung, in «Deutsche Vierteljahrsschrift», 3/2013, pp. 419-479; B. Mai, «Die Verwandlung» di Kafka, unanalisi linguistica e narrativa, parte I, «Estetica, studi e ricerche», Il Mulino, Bologna, 1/2016.

[48] Ivi, p. 52.

[49] F. Kafka, Nella colonia penale e altri racconti, Einaudi, Torino, 1986, p. 59.

[50] Cit. in L. Forte, Introduzione a F. Kafka La metamorfosi, Einaudi, Torino, 2014, p. V.

[51] Ibidem. Il corsivo della parola scarabeo è mio.

[52] F. Dostoevskij, Memorie dal sottosuolo, Einaudi, Torino, 2005, p. 8.

[53] L.M., p. 84.

[54] Ivi, p. 106.

[55] Ibidem.

[56] L. M., p. 108.

[57] Ivi, p. 140.

[58] Ivi, p. 124.

[59] Ivi, p. 144.

[60] Ibidem.

[61] Ivi, p. 136.

[62] Ivi, p. 138.

[63] Ivi, p. 158.

[64] Cfr. E. Canetti, La missione dello scrittore, in La coscienza delle parole, Adelphi, Milano, 1984, pp. 387-391 e le Festschriften, Hüter der Verwandlung. Beiträge zum Werk von Elias Canetti, Hanser Verlag, München, 1985 e Canetti a cura di M. E. D’Agostini, Bulzoni editore, Parma, 1985.

[65] V. Carofalo, Malattia, animalità e resistenza: il «multiforme ingegno» di Franz Kafka, LINK 14.3.2018.

[66] V. Nabokov, Lezioni di letteratura, cit., p. 331.

[67] Ivi, p. 310.

[68] Cfr. W. Emrich, Franz Kafka, Athenäum-Verlag, Bonn, 1958.

[69] H. Böttiger, Kafkas befremdliches Insekt, Beitrag vom 26.5.2014, LINK.

[70] P. Di Sacco, Linsetto di Kafka tra metamorfosi e redenzione, cit., p. 245.

[71] Ibidem.

[72] Ibidem.

[73] A. B. Yehoshua, Kafka e il suo doppio (articolo apparso il 6 luglio 2007 nel Corriere della Sera), in «La rassegna stampa di Oblique», 2007, p. 19.

[74] Ibidem.

[75] L.M., p. 94.

[76] Ivi, p. 140.

[77] Ivi, p. 166.

[78] F. Kafka, Epistolario I, cit., p. 161. In proposito si vedano anche J. Dahm, Indiskrete Bilder. Die Sprachbilder aus Franz Kafkas «Verwandlung» in der Bildsprache der Illustration, Tenea-Verlag für Medien, Berlin, 2003 e il contributo di Karlheinz Fingerhut Perché Kafka non desiderava che Gregor Samsa venisse rappresentato graficamente (La metamorfosi) e perché il suo trapezista vuole esercitarsi unicamente su due trapezi (Primo dolore), in «Materiali di estetica», n. 4,2, Milano 2017, pp. 97.

[79] Si veda in proposito la nota critica di M. Beck, Kafka, luomo-insetto e il crocifisso, in «Letture», n. 524. Sul rapporto della scrittura kafkiana con l’animalità cfr. W. Benjamin, Franz Kafka. Per il decimo anniversario della sua morte, in Angelus Novus, Einaudi editore, Torino, 1962.

[80] L.M., p. 164.

[81] Ivi, p. 160.

[82] G. Baioni, Introduzione a Franz Kafka, La metamorfosi, cit., p. 19.

[83] F. Kafka, Hochzeitsvorbereitung auf dem Lande und andere Prosa aus dem Nachlass, Fischer Taschenbuch, Frankfurt am Main 1993, p. 5.

[84] G. Baioni, Introduzione a Franz Kafka, La metamorfosi, Rizzoli, Milano, 2014, p. 21.

[85] L. M., p. 172.

[86] Ivi, p. 166.

[87] Ivi, p. 174.

[88] Ivi, p. 168.

[89] Ivi, p, 174.

[90] Lo scarabeo come simbolo di trasformazione, di rinascita e di resurrezione era collegato al disco del sole (Khepri) che sorge dopo il trascorrere della notte. Il suo valore simbolico si estese dagli Egiziani ai Fenici, Cartaginesi, Greci, Etruschi e tra i primi cristiani. Sant’Agostino, nei suoi Soliloqui, definisce il Cristo come «il mio buon Scarabeo, non tanto perché è l’unico figlio di Dio, autore di se stesso, che ha rivestito la nostra specie umana mortale, ma perché si è arrotolato nel nostro fango da dove ha voluto nascere uomo» (citazione in P. Di Sacco, Linsetto di Kafka tra metamorfosi e redenzione, cit., p. 251 oppure, con qualche variante lessicale e ortografica «Quel mio buon Scarabeo, non solo perché sendo (sic!) l’Unigenito, l’autor di sé steso, ha vestita la specie di mortali, ma perché si è ravvolto in questa feccia nostra», in Lettera sopra uno scarabeo fenicio-egizio e più monumenti egiziani di Michele Lanci, dalla Stamperia di Francesco Fernandes, Napoli, 1826, p. 16).

[91] F. Kafka, Confessioni e diari, Arnoldo Mondadori editore, Milano, 1991, p. 744.

[92] F. Kafka, Briefe 1902-1924, Fischer Verlag, Frankfurt am Main, 1998, p. 27.

[93] Sottolinea quest’aspetto Markus Jansen, nella sua monografia Das Wissen vom Menschen. Franz Kafka und die Biopolitik, uscita nel 2012 presso il Verlag Königshausen & Neumann, in cui l’autore, sulla scorta delle teorie di Michel Foucault (La Volonté de savoir, 1976) e di Giorgio Agamben (Il potere sovrano e la nuda vita. Homo sacer, 2005), considera il protagonista della Metamorfosi kafkiana come una figura biopolitica, un parassita sociale, un Ungeziefermensch deviante dalla normale vita pubblica e privata e quindi per certi versi un homo sacer della tradizione latina, che, resosi colpevole di gravi misfatti verso la comunità di appartenenza o i propri famigliari, viene bandito. La condizione di sacertà acquisita non gli consente di comparire davanti a un tribunale, spetta solo agli dei giudicarlo e punirlo anche armando la mano di un comune mortale. Gregor verrà infatti ferito gravemente dal padre che aderirà ai dettami di una istanza superiore, la quale ha decretato sin dall’inizio del racconto la stessa tragica metamorfosi del figlio.