Chiara Conterno

(Bologna)

Intrecci di fiabe russe e tedesche in «Spaltkopf» di Julya Rabinowich

[Intertwinings of Russian and German fairy tales in Julya Rabinowich’s «Spaltkopf»]

abstract. This article aims at providing an analysis as well as an interpretation of the novel Spaltkopf (2011) by the Russian-Austrian writer Julya Rabinowich, read through the lens of current theories on cultural transfer. Within this context it scrutinizes the references to Russian and German tales occurring throughout the novel. This analysis endeavours to establish how the osmotic synergy of the two cultural heritages, which are represented both through a new medium – the novel Spaltkopf – and via their original forms influenced by the visual-pictorial dimension, can be considered a valuable seismograph recording the processes of German-Russian cultural transfer.

Dalla metà degli anni Ottanta del secolo passato ad occuparsi delle dimensioni comunicative e mediali dei rapporti interculturali sono, tra gli altri, gli studi sul transfert. Oggetti della Kulturtransferforschung (ricerca sul transfert culturale), i cui rappresentanti più noti sono Michel Espagne, Michael Werner e Hans-Jürgen Lüsebrink, sono il rapporto delle culture di accoglienza con elementi di culture estranee così come l’indagine delle istanze mediatrici attive nel transfert. Per rappresentare tali processi Espagne e Werner sono ricorsi all’immagine di una «rete strutturata» che non contempla «né chiusure né la preminenza di un centro»[1], in quanto il transfert culturale esamina le zone grigie dei processi di contaminazione transculturale e cerca di rendere giustizia alla complessità, processualità e reciprocità dei rapporti di scambio. Si tratta di fenomeni in cui circolano artefatti culturali – concettuali ed estetici, ma anche materiali e quotidiani – e per cui è decisiva una concezione permeabile dei confini tra comunità linguistico-culturali.

Per loro intrinseca natura i processi di transfert non dovrebbero essere definiti con termini come «omogeneità», «purezza», «permanenza», bensì ricorrendo a lemmi come «scambio», «adattamento», «contaminazione», «meticciato», «ibridismo»[2]. Animato da un «atteggiamento fieramente analitico e storico», il transfert culturale «relativizza le rivendicazioni dominatrici» e si definisce come un «approccio critico» e non come una «disciplina di legittimazione». Basandosi su una metodologia empirica, rappresenta un «procedimento di lavoro in progress»[3] e costituisce uno strumento adatto a scandagliare la contemporaneità.

All’interno di questo contesto, il presente lavoro esamina i riferimenti alle fiabe russe e tedesche nel romanzo Spaltkopf di Julya Rabinowich[4]. Scopo dello studio è vedere come la sinergia osmotica dei due patrimoni fiabesco-culturali, riproposti in un nuovo medium – il romanzo Spaltkopf – e in forme originalissime che risentono della dimensione visuale-pittorica, si riveli un prezioso sismografo per cogliere i processi di transfert culturale russo-tedesco.

Nata nel 1970 a San Pietroburgo (allora Leningrado) in una famiglia di ebrei russi, nel 1977, a causa del dilagante antisemitismo, Rabinowich emigra a Vienna con la famiglia. Cresce in un ambiente stimolante dal punto di vista artistico, in quanto alcuni familiari dipingono e cercano di incanalarla nella stessa strada. Comprendendo che la pittura non è la sua unica vocazione artistica, Rabinowich si cimenta con la recitazione, ma senza grandi successi. A offrirle un nuovo e più efficace medium con cui esprimersi è la lingua tedesca, un campo, in cui, tra l’altro, non ha confronti in casa e si sente quindi più libera. Dal 1993 al 1996 studia Traduzione e Interpretariato all’Università di Vienna; dal 1998 al 2006 ritorna ad occuparsi dell’arte del dipingere, frequentando i corsi di pittura e Filosofia all’Università viennese per le Arti Applicate. Dal 2006 al 2011 lavora come traduttrice simultanea durante sedute di psichiatria e psicoterapia con profughi di diversa provenienza. Vive nella capitale austriaca dove coltiva la sua «Doppelbegabung»[5] svolgendo le attività di autrice, drammaturga e pittrice.

Sul fronte letterario si ricordano i drammi, tra cui Nach der Grenze (2007), Romeo ± Julia (2008), Orpheus im Nestroyhof (2008), Stück ohne Juden (2010), la produzione giornalistica per Falter e Der Standard e, in particolare, le forme narrative brevi e lunghe. Oltre al succitato Spaltkopf, pubblicato in prima battuta nel 2008 e insignito del rinomato Rauriser Literaturpreis 2009[6], si contano la sua seconda edizione uscita, con consistenti modifiche, nel 2011, nonché i testi Herznovelle (2011), Die Erdfresserin (2012), Krötenliebe (2016) e Dazwischen: Ich (2016).

Il titolo del primo romanzo[7] è un neologismo, costituito da spalten e Kopf – dove Kopf significa testa, capo e spalten fendere, spezzare, dividere –, che può essere tradotto con Testa divisa o Testa bifida. Non si tratta solo di un neologismo, ma anche di una figura inventata dall’autrice e che, in realtà, trae origine dalla sua attività pittorica: l’elaborato presentato da Rabinowich al termine del percorso di studi artistici (2006) consisteva, difatti, in sei grandi dipinti ad olio di colore rosso e con inserzioni testuali sul tema dello Spaltkopf[8]. Siamo quindi di fronte ad un esempio di «wechselseitige Erhellung der Künste» (1917), la reciproca illuminazione delle arti, di walzeliana memoria[9].

In 180 pagine Spaltkopf racconta la storia di una famiglia di ebrei russi che alla fine degli anni ’70 lascia San Pietroburgo e si trasferisce in Austria. Centro del romanzo è l’io narrante Mischka, la figlia, che con i suoi sette anni, vive in modo traumatico l’emigrazione. Crede di andare in vacanza in Lituania e invece si trova catapultata a Vienna, dove deve confrontarsi non solo con una nuova lingua, ma anche con un’altra cultura e con il passato, a lungo occultato. A ciò si aggiungono l’insicurezza e il disorientamento dovuti alle trasformazioni psico-fisiche dell’adolescenza, descritte con un’intensità e un’attenzione quasi empatiche. Pertanto, Mischka è gespalten, divisa, tra il presente in Occidente e il passato in Oriente nonché tra infanzia e maturità. L’intero conflitto identitario è sussunto nel titolo, Spaltkopft, che diventa il fil rouge del testo[10].

Nella creazione dello Spaltkopf letterario Rabinowich si ispira principalmente a due fonti: da un lato le esperienze in ambito psicoterapeutico durante l’attività di traduttrice simultanea per i profughi, dall’altro le Jedermann-Gestalten di Boris Rabinovich. Se con il primo riferimento richiama i traumi rimossi dei pazienti che, emergendo inconsciamente durante le sedute, ne provocano grottesche deformazioni di espressioni e voce, con la seconda indicazione l’autrice si rifà alle opere realizzate dal padre[11], per le quali, nel 2013, organizza una mostra intitolata meeting jedermann. Rabinovich revised presso il Museo Ebraico di Vienna[12]. La figura guida del testo è quindi il risultato della convergenza di diverse arti o meglio è un essere transmediale che attraversa media artistici differenti caricandosi via via di valenze supplementari[13].

Come osserva Silke Schwaiger, mentre il titolo usato dal padre riprende lo Jedermann di Hugo von Hofmannsthal, quello adottato dalla figlia per la mostra sottende una beffa politica: a differenza del famoso dramma hofmannsthaliano, messo in scena annualmente al cospetto di un ampio pubblico, lo Jedermann paterno viene esposto per la prima volta dopo molto tempo[14]. Oltre a questo riferimento letterario, la critica ha individuato un’altra possibile fonte d’ispirazione, ossia l’Odradek di Franz Kafka. Come Spaltkoft, anche quest’ultimo non si lascia definire facilmente e simboleggia l’Unheimlich – il perturbante, lo sconosciuto e il misterioso[15].

Il ruolo svolto da Spaltkopf può, per alcuni aspetti, essere accostato a quello di Herztier nell’omonimo romanzo di Herta Müller[16]. In italiano il meccanismo non funziona perché il titolo del testo mülleriano è stato tradotto con Il paese delle prugne verdi che, pur riprendendo un altro motivo costitutivo del libro, non rende giustizia alla metafora di Herztier – l’animale del cuore che determina l’animo, il carattere e l’indole di ogni persona, elementi che, soprattutto nelle dittature, rischiano di essere repressi e azzittiti. Nell’opera di Rabinowich Spaltkopf è un protagonista sui generis: è il personaggio principale di una fiaba raccontata all’io narrante da piccola: una creatura fantastica, una grossa testa fluttuante che si appoggia sopra gli uomini e poi li dissangua, una sorta di vampiro che si nutre dei pensieri e sentimenti altrui e viene nominato per intimorire i bambini. Vola e l’unica cosa di cui necessita per muoversi è l’energia umana[17]. Attento, insensibile, minaccioso, può essere messo fuori gioco soltanto se lo si vede.

Un’altra analogia con Herztier consiste nel fatto che in entrambe le opere i personaggi sui generis sono legati alla nonna. Nel libro di Müller è costei a introdurlo nel romanzo; nel testo di Rabinowich, ad un certo punto Mischka diventa lo Spaltkopf della nonna e si fa portavoce dei suoi pensieri e sentimenti: «Ora non è più sola. / Io, il suo Spaltkopf, la seguirò, prenderò il suo dolore, la sua gioia e il suo desiderio, attenta continuerò a diventare grande»[18]. Dal rapporto triangolare tra Mischka, Spaltkopf e la nonna si evince il significato della creatura fantastica che rappresenta il meccanismo della repressione, sostanzialmente in due modi. Da un lato Spaltkopf è lo strumento usato per intimidire i bimbi, dall’altro lato, simboleggia i problemi irrisolti e i sogni irrealizzati della nonna, alcuni dei quali vengono incarnati, superati o realizzati dalla nipote. In particolare viene repressa l’identità ebraica che Mischka apprende solo progressivamente e di cui diventa pienamente consapevole grazie alle riflessioni della creatura fiabesca.

Nella prima parte del testo si riscontrano varie somiglianze con la vita privata dell’autrice: in effetti, Spaltkopf si sviluppa su una forte base autobiografica e può essere ascritto al genere dell’autofiction[19]. Questo fattore ci aiuta a comprendere come mai lo Spaltkopf di Rabinowich assuma prima sembianze grafiche – i disegni realizzati come elaborato finale del corso di studi – e solo in un secondo momento una forma narrativa – il romanzo in questione: come osserva Aleida Assmann, le immagini appaiono alla memoria soprattutto laddove è problematica la rielaborazione verbale e, quindi, soprattutto nella rivisitazione dei traumi. In tal sento, mentre la scrittura può essere intesa come diretta emanazione dello spirito, l’immagine assurge a riflesso diretto dell’inconscio[20]. La creazione grafica dello Spaltkopf ha avviato il processo di rielaborazione del passato, sollecitato dall’esperienza migratoria dell’autrice. Del resto, alcune esperienze, quali l’emigrazione o la Diaspora, favoriscono l’analisi autobiografica: esse destabilizzano, scompigliano e moltiplicano le domande su origine, stato e scopo della propria storia, interrogativi a cui si riesce in parte a rispondere soltanto fermandosi, guardandosi allo specchio e raccontando di sé[21].

In Spaltkopf l’esperienza della migrazione non è solo narrata, ma è rintracciabile nella compresenza di fiabe di diversi contesti culturali così come nei loro intrecci[22]. Come anticipato, il presente studio si concentra su quelle russe e tedesche, per ovvie ragioni di spazio, ma la ricerca potrebbe ampliarsi a tutto il panorama europeo. Per quanto riguarda la tradizione tedesca, spicca il repertorio dei Fratelli Grimm. A Hänsel e Gretel viene fatto riferimento in più occasioni, ad esempio quando Mischka, ancora a San Pietroburgo, fa visita a una vicina, Musja, una «prostituta illegale», solita ad accogliere i bambini con molti dolcetti[23]. Oppure quando, come riporta la voce dello Spaltkopf, durante una gita a una villa immersa nel verde, alla ragazza vengono in mente i colombi arrostiti nella pensione dei profughi. Il percorso verso il luogo dell’esecuzione, la cucina, compiuto seguendo piume e penne di un verde metallico, viene paragonato alla passeggiata nel bosco di Hänsel e Gretel[24]. Di fronte a tale crudeltà alla giovane protagonista appare incomprensibile il mondo degli adulti, pronti a sacrificare animali così belli.

Si incontra poi La lepre e il riccio[25], fiaba a cui Mischka ricorre per descrivere il rapporto tra il padre Lev e suo fratello minore Nathanel che per tutta la vita lo rincorre. Calzante è il riferimento a Raperonzolo, con cui Mischka si paragona perché durante l’adolescenza le viene proibito uscire di casa. Paradossalmente, la tanto agognata libertà per cui erano scappati dalla Russia, le viene tolta in Austria con l’inizio della pubertà, motivo per cui si adira con i genitori:

Furente sto davanti allo specchio e sento la chiave scricchiolare nella serratura della cameretta. A Raperonzolo andava meglio che a me. Odio questi peli che spuntano sotto le mie ascelle, ciascuno di loro deve pagarla. Per colpa loro vengo rinchiusa. La peluria scura al mio inguine è un prodromo del mio fallimento. Sarei dovuta diventare un potente, un successore al trono, un principe![26]

Cappuccetto Rosso viene nominata quando Mischka ricorda gli anni dell’infanzia: «Vago tra il mondo della mia infanzia, il mondo della civiltà progredita, e il proletariato che mi circonda, mi sono lasciata far deviare come Cappuccetto Rosso. Vivace sbatte il contenuto del mio cestino»[27]. Come nel caso di Hänsel e Gretel si constata un esempio di cammino deviante rispetto ai percorsi prestabiliti; analogamente all’episodio di Raperonzolo costituisce lo spunto per riflettere sulla crescita della protagonista. Biancaneve compare in riferimento alla cugina Anastasija, una ballerina dal fisico sinuoso e agile, nei confronti della quale Mischka prova invidia e disappunto, motivo per cui riferisce che sia stata formata in una fucina di quadri russa[28]. Un’ulteriore allusione a Biancaneve avviene quando Mischka e un’amica parlano delle madri, paragonate alla crudele matrigna. Mentre l’amica lotta ancora con la cattiva regina per la vittoria, Mischka se «l’è svignata da tempo nel bosco del suo sovrappeso», dove spera nell’aiuto del cacciatore[29]. Se da un lato il riferimento alla fiaba rimanda ancora una volta al processo di emancipazione dalla famiglia durante la pubertà, dall’altro attribuisce, qui come altrove, ai protagonisti del romanzo, e in particolare a quelli femminili, profondità psicologica e multidimensionalità.

Mentre quelle finora ricordate appartengono al repertorio dei Grimm, Il cuore di pietra, fiaba originaria della Foresta Nera, viene raccolta da Wilhelm Hauff in un almanacco. Appresa in una scuola viennese, Mischka se ne serve per paragonare al protagonista della fiaba la freddezza dell’insegnante che viene, tuttavia, successivamente, rivalutata per l’efficacia del suo metodo[30]. Da questa vicenda emerge la voce dell’autrice che, intervistata da Wiebke Sieber, racconta di aver letto Il cuore di pietra da bimba in Austria. Delle fiabe dei Grimm, invece, non si sarebbe interessata, ma se ne sarebbe intenzionalmente servita per la stesura di Spaltkopf[31], rivelazione che permette di cogliere le strategie sottese al loro utilizzo nel testo.

Sollecitata dall’intervistatrice Rabinowich riflette sul ruolo di due personaggi del patrimonio fiabesco russo presenti nel romanzo: Baba Yaga e Kostschej[32]. Mentre quest’ultimo è sempre connotato negativamente, l’altra possiede diverse identità[33]. Oltre a queste due figure, su ci si soffermerà più avanti, in Spaltkopf si contano altri riferimenti al patrimonio culturale russo. Al popolare Ivan lo scemo, apparentemente meno savio dei fratelli, Rabinowich attinge in apertura di capitolo per introdurre la nascita della sorella[34], nata con disabilità mentali, e che, nonostante il mutismo, o forse proprio per questo, sarà l’unica a poter percepire da sé lo Spaltkopf.

Un’altra figura tipica del folklore russo è la Snegurochka, la ragazza di neve[35], che, tra l’altro, sta alla base non solo di una commedia ottocentesca di Aleksandr Ostrovskij, ma anche di una famosissima opera lirica di Nikolaj Rimskij-Korsakov. La ripresa di questa storia serve per raccontare di una serata di eccessi durante il primo concerto a cui Mischka assiste. Cercando l’agognata libertà tra musica, alcol e droga, come una seconda snegurochka si sente male, a fatica esce dalla massa – che si diverte entusiasta – e viene soccorsa dal fidanzato Franz, un altro episodio che rimanda al contrasto tra «vulnerabilità» e «desiderio di libertà»[36] insito nel processo di crescita della protagonista e reso verbalmente, ad esempio dall’anglismo «No risk, no fun»[37].

Frequentemente compare la Baba Yaga, personaggio tipico del folklore russo che vola servendosi di un paiolo e di un mestolo come timone e cammina sulle paludi con la sua casetta su zampe di pollo[38]. Figura ambivalente, talvolta è rappresentata come una vecchia orrenda, mentre altre volte assume le sembianze di una donna bella e servizievole. Fuori dubbio è che si tratti di una signora potente[39]. Mischka ne parla non solo quando rimembra le storie che le venivano narrate da piccola, ma se ne serve, sempre in contrapposizione ai percorsi prestabiliti dal mondo d’origine, anche per descrivere il suo sviluppo psico-fisico e sociale, fino ad identificarvisi: «Volevo essere una ninfa. Però sono diventata soltanto una Baba Yaga»[40] oppure

Getto tutto alla rinfusa, in una pentola senza fondo: sessualità, istinto, paura, tutto cuoce da solo a fuoco lento, mentre io come Baba Yaga rimescolo nel mio paiolo. Sono come una casetta su zampe di gallina che gira e si volta, quando la si chiama.[41]

L’identificazione con il personaggio fiabesco viene avvalorata dal fidanzato che la chiama «Baba Yaga Girl»[42], donde il titolo dell’ultimo capitolo del romanzo. Modello di libertà femminile e archetipo matriarcale, diversamente da Biancaneve, Baba Yaga permette a Mischka di sfuggire e opporsi a schemi patriarcali precostituiti[43]. In questo senso Mischka le si paragona anche quando racconta del secondo matrimonio dell’ex-marito: «Ucciderei volentieri il bel Franz, così come il nascituro una settimana fa. Una Baba Yaga può farlo. Da lei questo ce lo si può addirittura aspettare»[44]. Infine, Mischka si imbatte in una Baba Yaga calata nel contesto austriaco: ogni anno la sua famiglia cerca di «reintrepretare» in Carinzia il consueto soggiorno nella dacia russa, descritta ricorrendo all’immagine dell’abitazione del personaggio fiabesco. Il corrispettivo viene trovato in una pensione nei pressi del Wörthersee, gestita da una signora con un occhio solo, esperta di meteorologia, incarnazione austriaca della Baba Yaga[45].

Questi ultimi esempi introducono l’avvenuto contagio delle due tradizioni culturali: in Austria Mischka si identifica con Baba Yaga e viene dagli altri riconosciuta in tale ruolo. Parallelamente, applica categorie tipiche del patrimonio fiabesco russo per definire realtà austriache. Baba Yaga stessa è quindi sottoposta ad un processo di traslazione da est a ovest[46] con successivo riadattamento. Vi sono alcuni passi del testo in cui il transfert culturale tra i due sistemi culturali è ancora più evidente. Esemplare è, ad esempio, la definizione data dalla protagonista all’esperienza migratoria:

L’emigrazione è un processo lungo e difficile, che inizia in modo contraddittorio, cioè improvviso, come lo scoppio di una malattia o la ge­nerazione di un figlio. L’emigrante parte, per avventurarsi nel mondo come Gianni e si ritrova in una fiaba completamente diversa. Spesso, all’inizio delle fiabe russe il potente e maligno Kostschej pretende che gli venga esaudito un desiderio.[47]

Il primo è il personaggio de La fortuna di Gianni, ragazzino che si avventura nel mondo con una pepita d’oro grossa come una testa. Credendo di fare affari la baratta con un cavallo, il cavallo con un maiale, il maiale con una mucca, la mucca con un’oca, l’oca con una cote e una semplice pietra di campo. Ogni volta crede di agire bene perché gli viene detto che sta facendo affari. Poi, mentre beve a un pozzo, gli cadono le pietre, si sente alleggerito e torna felice a casa. Kostschey è, invece, un personaggio del patrimonio culturale russo di colore bianco, raffigurato con un teschio o completamente calvo. È una figura maligna che tiene prigioniero qualcuno, spesso una principessa, per liberare la quale il re solitamente incarica un eroe, impresa non semplice perché Kostschey ha tagliato la sua anima in piccoli pezzi che devono essere trovati e distrutti prima di affrontarlo, altrimenti diventa immortale[48]. Sul piano contenutistico, questo brano ripropone l’atteggiamento ribelle di Mischka verso il volere della famiglia e la devianza rispetto ai percorsi prestabiliti: a differenza di Gianni, la ragazza non torna felice a casa dai genitori, ma si avventura in un contesto fiabesco molto più pericoloso, dietro a cui riecheggia il succitato moto «No risk, no fun»[49].

Nell’economia complessiva del romanzo, inoltre, coinvolgendo elementi culturali russi e tedeschi, l’episodio mostra l’avvenuto transfert tra cultura russa e tedesca, processo da cui deriva un prodotto ibrido ove convivono diverse tradizioni, in dialogo tra loro. Sulla stessa linea si pone la vicenda del soggiorno di Mischka presso il castello Greinburg, dove vengono rappresentati alcuni drammi per cui suo padre disegna le scenografie:

Questo desta in me sentimenti del tutto ambivalenti. La letteratura russa sente la necessità di prendere le distanze da racconti positivi su principi e principesse di ogni tipo. La maggior parte delle volte vengono descritti come noiosi e maligni, sono senza colore, un triste risultato di endogamia invereconda, moralmente instabili e malaticci.

Così, come ex membri del governo, malvisti politicamente, vengono semplicemente ritoccati dalle foto, scompaiono anche certe figure della classica letteratura per l’infanzia e vengono sostituite da nuove. I musicanti di Brema sono una comune girovaga di animali musicanti, il cui capo umano riesce a convincere la ragazza di più alto rango del posto ad andarsene nei boschi con la sua compagnia di attività di agitazione politica e propaganda. Il gatto con gli stivali è molto amato e viene pubblicato con grande tiratura perché è il primo che riesce ad ingannare la classe al governo e mette fuori gioco l’unico intellettuale della storia.[50]

In questo brano l’intreccio tra tradizione orientale e occidentale raggiunge l’apice in quanto principi della cultura e tradizione russa vengono innestati sul folklore germanico. I due sistemi culturali non sono più nettamente distinti, ma mostrano un alto grado di convergenza e contaminazione. Il transfert viene potenziato dal fatto che Rabinowich lo realizza narrativamente ricorrendo al genere letterario che per eccellenza può essere inteso come transculturale. Nella ricerca sulla fiaba, difatti, a partire dai Fratelli Grimm, esistono tre tesi che intendono giustificare la comparsa sincronica e diacronica di tematiche, motivi e strutture narrative in diversi spazi culturali. Se si considerano le fiabe come un «bene migratorio» ossia «in movimento»[51] che si diffonde oltre i confini nazionali o statali e viene adattato e modificato, si può affermare che le fiabe oggi non possono essere ricondotte ad un univoco luogo originario. Esiste poi la tesi secondo cui motivi, figure e temi simili siano riconducibili all’eredità comune di una «tribù»[52] originariamente unitaria. La terza tesi, invece, sostiene che tematiche universalmente simili siano riconducibili a caratteristiche, sentimenti, comportamenti, atteggiamenti comuni a tutto il genere umano[53]. Pertanto, nella loro ricezione, le fiabe possiedono sia elementi di differenziazione culturale che aspetti unificatori e integranti e, soprattutto nell’ultimo caso, portano alla luce elementi comuni al di là di attribuzioni nazionali, religiose, etniche o culturali[54].

In realtà, in Spaltkopf i fenomeni di ibridazione vengono anticipati dalla prima pagina del primo capitolo, dove la madre di Mischka, incinta, sfoglia un libro di fiabe russe soffermandosi sulla Signora del monte di rame, figura non comune come quelle succitate e appartenente ad una fiaba originaria degli Urali, successivamente inserita da Pavel Bazhov nel volume Lo scrigno di malachite (1939)[55]. Seduta al tavolo del trucco, la madre di Mischka guarda la donna di color verde malachite[56], rappresentata sulla pagina aperta, e si augura di avere una figlia con una pelle bianca come la neve e una bocca rossa come il sangue, implicito riferimento a Biancaneve, suffragato dalla presenza dello specchio[57], sebbene in Rabinowich sia la madre e non la matrigna a farne uso. Il prototipo della fiaba tedesca si sovrappone quindi ad un esempio particolare di figura folklorica russa:

Quando mia madre era incinta di me, spesso sedeva al suo tavolino per il trucco, guardava a lungo lo specchio e si immaginava la sua bimba. Davanti a lei si trovava un libro. Un materiale logoro, sopra cui era impresso in lettere dorate «Fiabe russe». La sua mano, piccola ed elegante, si posa su una pagina aperta sotto al titolo «Signora del Monte di Rame». Ci sono molte storie su di lei, tutte iniziano con lettere solennemente grandi e ricche di arabeschi. Cirillico. Sull’altra pagina un’illustrazione dietro a un foglio di carta frusciante. Attraverso il velo opaco si possono solo intuire i colori. L’immagine mostra una donna con una lunga treccia nera che si appoggia ad una parete di malachite. Il suo vestito, i suoi occhi, attenti e severi, la pietra marezzata, la collana di malachite attorno al collo pallido: Tutto è dello stesso colore. Sprofonda in un mare di verde, vi si scioglie dentro. Mia madre la guarda e si augura una ragazza con la pelle bianca come la neve e la bocca rossa come il sangue.[58]

A posteriori, si deduce che nel corso della narrazione si compie quello che era stato preannunciato in principio: il destino della protagonista nonché il transfert culturale russo-tedesco sono in un certo senso anticipati nell’avvio del romanzo. A sostegno di questa interpretazione va un altro brano in cui Mischka rimembra il gioco di ruoli svolto con la nonna Ada, ancora a San Pietroburgo, durante il quale le due donne assumono alternativamente le sembianze di personaggi della letteratura e del folklore orientale o occidentale, finché la ragazza si identifica con Cappuccetto Rosso che devia dal percorso prestabilito (cfr. supra)[59]. Tale gioco si concretizza figurativamente nella camera di Mischka a Vienna: mentre nella tappezzeria appaiono elfi, fate e tutta la raccolta dei Grimm, le mensole sfoggiano Dostojewski e Tolkien, indice del fatto che il mondo di Mischka è situabile in un frammezzo culturale-letterario reso in maniera transmediale.

Dal punto di vista narratologico, queste osservazioni richiamano alla mente la teoria esposta da Mircea Eliade ne Il mito dell’eterno ritorno. Partendo da un’analisi delle società primitive e del loro rapporto con i riti e appoggiandosi al ciclo lunare, Eliade sostiene che in ogni momento tutto ricomincia dall’inizio e che il passato non è che la prefigurazione del futuro. Oltre che negli ultimi esempi presentati, un meccanismo simile viene usato da Rabinowich nel prologo del testo, costituito da quattro «lezioni» non ordinate cronologicamente – come del resto funzionano i ricordi nella nostra mente[60]. La prima lezione porta il sottotitolo «Chi viene trasferito ora, ci rimarrà a lungo. Leggerà, camminerà, scriverà lunghe lettere»[61], una non tanto cifrata ripresa della poesia Herbsttag, Giorno d’autunno, di Rainer Maria Rilke:

Chi non ha casa adesso, non l’avrà.
Chi è solo a lungo solo dovrà stare,
leggere nelle veglie, e lunghi fogli
scrivere, e incerto sulle vie tornare
dove nell’aria fluttuano le foglie.[62]

Tra le modifiche apportate da Rabinowich spicca la sostituzione di «kein Haus hat» / «non ha casa» con «verrückt wird» che letteralmente può significare sia «viene trasferito» che «diventa pazzo». Se da un lato l’espressione tedesca rimanda al movimento, ossia al trasferimento dalla Russia all’Austria, dall’altro rinvia alla destabilizzazione e al trauma connessi alla dislocazione ed esemplificati dal percorso di Mischka[63].

Ecco, nuove somiglianze con Herztier di Herta Müller. Anche lì, il prologo contiene in nuce i rimandi a quanto succederà nel corso del testo, in un certo senso lo anticipa in maniera liofilizzata, tramite allusioni decifrabili a posteriori. Non è un caso che questo processo sia rintracciabile in esempi di scritture dell’io, in romanzi con forti riferimenti autobiografici: il tentativo di mettere insieme i frammenti fa parte della ricostruzione autobiografica. Considerata a posteriori, del resto, l’evoluzione della propria storia presenta momenti chiarificatori o premonitori del proprio destino, processo che nel caso di Herta Müller e soprattutto di Julya Rabinowich si carica di un valore aggiunto dovuto all’arricchimento della prospettiva transculturale.

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Rainer Maria Rilke, Poesie. Con due prose dai quaderni di Malte Laurids Brigge e versioni da H. Hesse e G. Trakl. Traduzione di Giame Pintor, Einaudi, Torino 1955.

Jörg Robert, Einführung in die Intermedialität, WGB, Darmstadt 2014.

Silke Schwaiger, Baba Yaga, Schneewittchen und Spaltkopf: Märchenhafte und fantastische Elemente als literarische Stilmittel in Julya Rabinowichs Roman Spaltkopf, in Alman Dili ve Edebiyati DergisiStudien zur deutschen Sprache und Literatur, XXX, II, 2013, pp. 147-163.

Sandra Vlasta, «Abgebissen, nicht abgerissen» – Identitätsverhandlungen auf der Reise in Julya Rabinowichs Roman Spaltkopf (2008), in Renata Cornejo, Sławomir Piontek, Izabela Sellmer, Sandra Vlasta (a cura di), Wie viele Sprachen spricht die Literatur? Deutschsprachige Gegenwartsliteratur aus Mittel- und Osteuropa, Praesens Verlag, Wien 2014, pp. 207-218.

Weertje Willms, «Wenn ich die Wahl zwischen zwei Stühlen habe, nehme ich das Nagelbrett». Die Familie in literarischen Texten russischen MigrantInnen und ihrer Nachfahren, in Michaela Holdenried e Weertje Willms (a cura di), Die interkulturelle Familie. Literatur- uns sozialwissenschaftliche Perspektiven, Transcript, Bielefeld 2012, pp. 121-141.

Dominik Zink, Interkulturells Gedächtnis. Ost-westlich Transfers bei Saša Stanišić, Nino Haratischwili, Julya Rabinowich, Richard Wagner, Aglaja Veteranyi und Herta Müller, Königshausen & Neumann, Würzburg 2017, pp. 250-256.

Sitografia

http://www.julya-rabinowich.com/Startseite.html



[1] Si veda a questo proposito il recente studio di Stefano Ferraris, Il transfert italiano di Johann Joachim Winckelmann (1755-1786), in Maurizio Pirro, «La meravigliosa densità del sapere». Cultura tedesca in Italia fra Settecento e Novecento, Ledizioni, Milano 2018, pp. 13-28, p. 14.

[2] Ivi, p. 16. Ferraris riprende qui lo studio di Peter Burke, Ibridismo, scambio, traduzione culturale. Riflessioni sulla globalizzazione della cultura in una prospettiva storica, trad. di Alessandro Arcangeli, QuiEdit, Verona 2009, pp. 29-33.

[3] Ferraris, Il transfert italiano di Johann Joachim Winckelmann (1755-1786), pp. 16-17.

[4] Per suggerimenti e consigli riguardo agli aspetti della cultura e letteratura russa si ringrazia vivamente il collega e amico Manuel Boschiero.

[5] Diana Battisti, Segreti e bugie: viaggio nella scrittura di Julya Rabinowich, in LEA, IV, 2015, pp. 3-23, p. 9. LINK [consultato il 9.4.2020]

[6] Tra gli altri riconoscimenti si menzionano i premi Schreiben zwischen den Kulturen (2003), l’Elias-Canetti-Stipendium der Stadt Wien, ricevuto ben 3 volte, nonché due premi per la letteratura per l’infanzia nel 2017 per il romanzo Dazwischen: Ich: Oldenburger Kinder- und Jugendbuchpreis e Österreichischer Kinder- und Jugendbuchpreis.

[7] Nel presente lavoro si considera la seconda edizione: Julya Rabinowich, Spaltkopf, Deuticke, Wien 2011. La prima edizione, del 2008, era uscita per edition exil a Vienna.

[8] Julia Kospach, Julya Rabinowich ist auf dem Weg zur fixen Größe in Österreichs Literaturszene, 9 febbraio 2011, in trend: LINK [consultato il 1.2.2019]. Per avere un’idea di queste opere si veda il sito dell’autrice: LINK.

[9] Cfr. Oskar Walzel, Wechselselitige Erhellung der Künste: ein Beitrag zur Würdigung kunstgeschichtlicher Begriffe, Reuther & Reichard, Berlin 1917.

[10] Sul rapporto tra trauma e letteratura in Spaltkopf si veda Chiara Conterno, Traumi multipli. Zwischenstationen di Vladimir Vertlib e Spaltkopf di Julya Rabinowich, in LEA, II, 2013, pp. 269-283 (cfr. LINK).

[11] Come si osserva, il padre ricorre a una lieve variante del cognome per distinguere il suo alter ego artistico.

[12] Julya Rabinowich, Formwandlungen. Spiegelgeflechte. Shape Shifting. Mirror Encounters, in Danielle Spera (a cura di), meeting jedermann: rabinovich revised. Katalog zur Ausstellung, Jüdisches Museum, Wien 2013, pp. 10-11.

[13] Riflessioni su medialità, intermedialità e transmedialità sono offerte da Jörg Robert, Einführung in die Intermedialität, WGB, Darmstadt 2014, pp. 74-77.

[14] Silke Schwaiger, Baba Yaga, Schneewittchen und Spaltkopf: Märchenhafte und fantastische Elemente als literarische Stilmittel in Julya Rabinowichs Roman Spaltkopf, in Alman Dili ve Edebiyati DergisiStudien zur deutschen Sprache und Literatur, XXX, II, 2013, pp. 147-163, p. 150.

[15] Cfr. ivi, p. 146. Secondo Madlen Kazmierczak la figura di Spaltkopf ricorda anche il Dibbuk della cultura ebraica, a cui, tra l’altro, Mischka stessa si paragona quando sta per entrare sulla pista da ballo (cfr. Rabinowich, Spaltkopf, cit., p. 140). In grado di possedere gli esseri viventi, questo essere maligno sarebbe lo spirito disincarnato di un defunto a cui è stato vietato l’ingresso al mondo dei morti. Sovente appare sotto sembianze maschili e si impossessa delle donne aggraffiandone l’anima analogamente allo Spaltkopf che infila i suoi uncini nell’anima della sua preda (ivi, p. 95). Cfr. Madlen Kazmierczak, Fremde Frauen. Zur Figur der Migrantin aus (post)sozialistischen Ländern in der deutschsprachigen Gegenwartsliteratur, Erich Schmidt Verlag, Berlin 2016, p. 189.

[16] Herta Müller, Herztier, Fischer, Frankfurt a. M. 2009.

[17] Rabinowich, Spaltkopf, cit., pp. 21-22.

[18] Salvo diversamente specificato tutte le traduzioni dal tedesco sono dell’autrice del saggio. «Jetzt ist sie nie mehr allein. / Ich, ihr Spaltkopf, werde ihr folgen, werde ihr ihren Schmerz nehmen, ihre Freude und ihr Begehren, werde aufmerksam größer und größer wachsen» (ivi, p. 171). Come si nota da questo passo, nel testo la voce dello Spaltkopf si distingue graficamente attraverso il ricorso al corsivo.

[19] Cfr. Chiara Conterno, Spaltkopf di Julya Rabinowich: un romanzo tra fiabe e realtà, in Andrea Gullotta e Francesca Lazzarin (a cura di), Scritture dell’io. Percorsi autobiografici della letteratura europea contemporanea, I libri di Emil, Bologna 2011, pp. 117-130. Sul rapporto tra il romanzo e la sua biografia si veda Julya Rabinowich, «Seitenschritt weg aus dem Realen». Der Reiz der Literatur, in Brigitte Schwens-Harrant (a cura di), Ankommen. Gespräche mit Dimitré Dinev, Anna Kim, Radek Knapp, Julya Rabinowich, Michael Stavarič, styria premium, Wien 2014, pp. 53-85, p. 67.

[20] Aleida Assmann, Erinnerungsräume: Formen und Wandlungen des kulturellen Gedächtnisses, Beck, München 1999, p. 220.

[21] Questo fenomeno è confermato anche da molti altri autori con un passato emigratorio, uno tra tutti Vladimir Vertlib (1966), scrittore ebreo russo emigrato in Austria. Sul rapporto tra scrittura e analisi autobiografica si veda Duccio Demetrio, Raccontarsi. L’autobiografia come cura di sé, Cortina, Milano 1996.

[22] Le fiabe rappresentano un ipotesto talmente produttivo che Silke Schwaiger, considerate le rivisitazioni apportate da Rabinowich al patrimonio fiabesco, arriva a ricondurre il romanzo al genere della fiaba d’autore. Schwaiger, Baba Yaga, Schneewittchen und Spaltkopf: Märchenhafte und fantastische Elemente als literarische Stilmittel in Julya Rabinowichs Roman Spaltkopf, cit., p. 142.

[23] Rabinowich, Spaltkopf, cit., pp. 27-28.

[24] Ivi, pp. 70-71.

[25] Ivi, p. 19.

[26] «Ich stehe wütend vor dem Spiegel und höre den Schlüssel im Schloss des Kinderzimmers knirschen. Rapunzel hatte es besser als ich. Ich hasse die Haare, die unter meinen Achseln sprießen, jedes einzelne muss büßen. Ihretwegen werde ich eingemauert. Der dunkle Flaum an meiner Scham ist ein Vorbote meines Versagens. Ein Machthaber hätte ich werden sollen, ein Thronfolger, ein Prinz!» (ivi, p. 81).

[27] «Ich irre zwischen meiner Kinderwelt, der Welt der Hochkultur und dem mich umgebenden Proletariat umher, ich habe mich wie das Rotkäppchen vom Weg abbringen lassen. Munter klappert der Inhalt meines Körbchens» (ivi, p. 47).

[28] Ivi, p. 78.

[29] «[…] habe ich mich schon lange in den Wald meines Übergewichts verdrückt» (ivi, p. 87).

[30] Ivi, p. 51.

[31] Julya Rabinowich, «ich probiere gern möglichkeiten von mir in meinen büchern aus». Im Gespräch mit Wiebke Sievers, in Wiebke Sievers, Holger Englerth e Silke Schwaiger (a cura di), ich zeig dir, wo die krebse überwintern. Gespräche mit zugewanderten schriftstellerinnen und schriftstellern, edition exil, Wien 2017, pp. 125-147, pp. 135-136. In un’intervista rilasciata al quotidiano Der Standard Rabinowich riferisce inoltre che i suoi primi contatti con la lingua tedesca sono avvenuti attraverso la lettura delle fiabe di E.T.A. Hoffmann, ad esempio Il vaso d’oro. cfr. Julya Rabinowich, «Dann hätten wir bald viele Würstelstand-Literaten», 19 novembre 2008, LINK [consultato il 24 gennaio 2019]. Sul ruolo del folklore e del fantastico per la formazione dell’autrice si veda anche: Rabinowich, «Seitenschritt weg aus dem Realen». Der Reiz der Literatur, cit., pp. 68-69.

[32] Rabinowich rivela poi che da bimba leggeva sì fiabe russe, senza tuttavia, per lo meno consciamente, attribuirvi molta importanza. A interessarla e influenzarla sarebbe stato soprattutto Hans Christian Andersen – si pensi, ad esempio, al riferimento alla Regina delle nevi (Rabinowich, Spaltkopf, cit., p. 56); cfr. Rabinowich, «ich probiere gern möglichkeiten von mir in meinen büchern aus». Im Gespräch mit Wiebke Sievers, cit., p. 136.

[33] Ivi, pp. 136-137.

[34] Rabinowich, Spaltkopf, cit., p. 100.

[35] Una coppia di contadini senza figli costruisce una ragazza di neve sul campo. Il giorno seguente la ragazza prende vita e si reca dai contadini che la considerano e trattano come figlia. Durante una festa in paese la giovane gioca con gli amici, salta sul fuoco e a contatto con il calore si scioglie; ivi, pp. 137-138.

[36] Ivi, p. 137.

[37] Ivi, p. 138.

[38] Ivi, p. 21 e p. 25.

[39] Rabinowich, «ich probiere gern möglichkeiten von mir in meinen büchern aus». Im Gespräch mit Wiebke Sievers, cit., p. 136.

[40] «Ich wollte eine Nixe sein. Es ist sich aber nur eine Baba Yaga ausgegangen», Rabinowich, Spaltkopf, cit., p. 181.

[41] «Ich werfe alles durcheinander und in einen bodenlosen Topf: Sexualität, Trieb, Angst, alles köchelt vor sich hin, während ich als Baba Yaga in meinem Kessel rühre. Ich bin mir selbst eine Hütte auf Hühnerbeinen, die sich dreht und wendet, wenn man sie ruft» (ivi, p. 133).

[42] Ivi, p. 137.

[43] Rabinowich, «ich probiere gern möglichkeiten von mir in meinen büchern aus». Im Gespräch mit Wiebke Sievers, cit., pp. 136-137. Per una lettura gender del testo si veda Kazmierczak, Fremde Frauen. Zur Figur der Migrantin aus (post)sozialistischen Ländern in der deutschsprachigen Gegenwartsliteratur, cit., pp. 163-200.

[44] «Ich würde den schönen Franz gerne töten, so wie das Ungeborene vor einer Woche. Eine Baba Yaga darf das. Man kann es sogar von ihr erwarten» (Rabinowich, Spaltkopf, cit., p. 181).

[45] Ivi, p. 122.

[46] Su questo punto si veda anche Sandra Vlasta, «Abgebissen, nicht abgerissen» – Identitätsverhandlungen auf der Reise in Julya Rabinowichs Roman Spaltkopf (2008), in Renata Cornejo, Sławomir Piontek, Izabela Sellmer, Sandra Vlasta (a cura di), Wie viele Sprachen spricht die Literatur? Deutschsprachige Gegenwartsliteratur aus Mittel- und Osteuropa, Praesens Verlag, Wien 2014, pp. 207-218.

[47] «Die Emigration ist ein langwieriger Prozess, der widersprüchlich, nämlich abrupt, beginnt, wie der Ausbruch einer Krankheit oder die Zeugung eines Kindes. Der Emigrant bricht auf, als Hans im Glück in die Welt zu ziehen, und landet in einem ganz anderen Märchen. Oft verlangt am Beginn russischer Märchen der mächtige böse Kostschej, dass ihm ein Wunsch erfüllt werde» (Rabinowich, Spaltkopf, cit., p. 45).

[48] Rabinowich, «ich probiere gern möglichkeiten von mir in meinen büchern aus». Im Gespräch mit Wiebke Sievers, cit., p. 136.

[49] Considerata in questa chiave di lettura, la ripresa di La fortuna di Gianni, sebbene in maniera più cifrata, torna in un altro passo del testo, ovvero quando Mischka, quattordicenne, rovina il vestito della madre e nel ricordare il misfatto e i sentimenti ad esso correlati si serve della fiaba (Rabinowich, Spaltkopf, cit., pp. 90-91).

[50] «Das weckt durchaus ambivalente Gefühle in mir. Die russische Literatur ist angewiesen, von positiver Berichterstattung über Prinzen und Königstöchter aller Art Abstand zu nehmen. Meist werden sie als Langeweiler und Bösewichter beschrieben, sind farblos, ein trauriges Ergebnis schamloser Inzucht, moralisch instabil und kränklich. So, wie politisch missliebige Exregierungsmitglieder einfach von Fotos retuschiert werden, verschwinden auch gewisse Figuren der klassischen Kinderliteratur und werden durch neue ersetzt. Die Bremer Stadtmusikanten sind eine umherstreunende Kommune musizierender Tiere, deren menschlicher Anführer die ortansässige höhere Tochter dazu überreden kann, mit seiner Agitproptruppe in die Wälder abzuhauen. Der gestiefelte Kater ist sehr beliebt und in hoher Auflage verlegt, weil er es erstens fertig bringt, die herrschende Klasse auszutricksen und obendrein den einzigen Intellektuellen der Geschichte ausschaltet» (ivi, p. 119).

[51] Hermann Bausinger, Formen der Volkspoesie, Schmidt, Berlin 1980, p. 32.

[52] Ibid.

[53] Max Lüthi, Märchen, Metzler, Stuttgart 2004, p. 64 e p. 68. Cfr. anche Bausinger, Formen der Volkspoesie, cit., p. 32.

[54] Cfr. Kazmierczak, Fremde Frauen. Zur Figur der Migrantin aus (post)sozialistischen Ländern in der deutschsprachigen Gegenwartsliteratur, cit., pp. 189-190.

[55] Rabinowich, Spaltkopf, cit., p. 15.

[56] In un altro passo Rabinowich racconta che la misteriosa signora dagli occhi verdi si può trasformare in lucertola e regala pietre preziose ai buoni, mentre stritola i cattivi tra i massi delle sue montagne (cfr. ivi, p. 25).

[57] Lo specchio è un simbolo ricorrente e talvolta viene ricollegato ad Alice nel paese delle meraviglie. Non essendo possibile sviluppare in questa sede tale tema si rimanda a Dominik Zink, Interkulturells Gedächtnis. Ost-westlich Transfers bei Saša Stanišić, Nino Haratischwili, Julya Rabinowich, Richard Wagner, Aglaja Veteranyi und Herta Müller, Königshausen & Neumann, Würzburg 2017, pp. 250-256. Sull’importanza di Alice per l’autrice si veda Julya Rabinowich, «Seitenschritt weg aus dem Realen». Der Reiz der Literatur, cit., p. 59.

[58] «Als meine Mutter mit mir schwanger war, saß sie oft vor ihrem Schminktischchen, sah lange in den Spiegel und stellte sich ihr Kind vor. Vor ihr lag ein Buch. Ein abgegriffener Stoff, darauf eingestanzt in goldenen Lettern «Russische Märchen». Ihre Hand, klein und elegant, ruht auf einer aufgeschlagenen Seite unterhalb der Überschrift «Herrin des Kupferbergs». Es gibt viele Geschichten von ihr, alle eröffnet mit feierlich großen Schnörkelbuchstaben. Kyrillisch. Auf der anderen Seite eine Illustration hinter einem knisternden Blatt Schonpapier. Durch den matten Schleier lassen sich die Farben nur erahnen. Das Bild zeigt eine Frau mit langem schwarzem Zopf, die sich an eine Malachitwand lehnt. Ihr Kleid, ihre Augen, die aufmerksam und streng wirken, der gemaserte Stein, das Malachitkollier um den blassen Hals: Alles ist farbident. Sie versinkt in einem Meer von Grün, löst sich darin auf. Meine Mutter blickt sie an und wünscht sich ein Mädchen, mit einer Haut so weiß wie Schnee und einem Mund rot wie Blut» (Rabinowich, Spaltkopf, cit., p. 15).

[59] Ivi, pp. 46-47.

[60] Cfr. Weertje Willms, «Wenn ich die Wahl zwischen zwei Stühlen habe, nehme ich das Nagelbrett». Die Familie in literarischen Texten russischen MigrantInnen und ihrer Nachfahren, in Michaela Holdenried e Weertje Willms (a cura di), Die interkulturelle Familie. Literatur- uns sozialwissenschaftliche Perspektiven, Transcript, Bielefeld 2012, pp. 121-141.

[61] «Wer jetzt verrückt wird, wird es lange bleiben. Wird lesen, wandern, lange Briefe schreiben» (Rabinowich, Spaltkopf, cit., p. 10).

[62] Rainer Maria Rilke, Poesie. Con due prose dai quaderni di Malte Laurids Brigge e versioni da H. Hesse e G. Trakl. Traduzione di Giame Pintor, Einaudi, Torino 1955, p. 19; «Wer jetzt kein Haus hat, baut sich keines mehr. / Wer jetzt allein ist, wird es lange bleiben, / wird wachen, lesen, lange Briefe schreiben / und wird in den Alleen hin und her / unruhig wandern, wenn die Blätter treiben» (ivi, p. 18).

[63] Cfr. anche Zink, Interkulturells Gedächtnis. Ost-westlich Transfers bei Saša Stanišić, Nino Haratischwili, Julya Rabinowich, Richard Wagner, Aglaja Veteranyi und Herta Müller, cit., pp. 260-261.