Rosa Coppola

(Napoli)

«Der Konjunktiv hat sein Hauptlager in Österreich aufgestellt»
Echi austriaci nella raccolta “die alarmbereiten” di Kathrin Röggla

[«The subjunctive has set up its main camp in Austria»
Austrian echoes in the collection “die alarmbereiten” by Kathrin Röggla]

abstract. The aim of this paper is to investigate the influence of Austrian Sprachskepsis on the poetics of the contemporary writer Kathrin Röggla, focusing especially on the use of the subjunctive as a legacy of the poet Ernst Jandl. The comparison between his poem Aus der Fremde – Sprechoper in 7 Szenen (1980) and die alarmbereiten (2010), one of Röggla’s most recent works, emphasizes how Röggla consciously continues the Austrian tradition that sees in Sprachkritik a fundamental tool of social criticism.

Il rovescio del quotidiano: uso e valore del congiuntivo nella poetica di Kathrin Röggla

Tra le diverse traiettorie che attraversano il panorama della letteratura contemporanea di lingua tedesca, la parabola di Kathrin Röggla (Salisburgo, 1971) si offre come pregevole esempio di estetica militante, tramite cui l’autrice prova a ripensare il rapporto tra movente politico e sperimentazione formale nella complessa quadratura storica del presente. Nata in Austria, trapiantata a Berlino, Röggla ha sviluppato nel corso degli ultimi vent’anni una poetica che ibrida le tradizioni letterarie dei due paesi, avvalendosi di una cifra estetica estremamente riconoscibile, fondata su una lettura della crisi del contemporaneo come crisi del linguaggio.

Sin dal 1995, anno in cui viene pubblicata niemand lacht rückwärts[1], la sua prima raccolta di prose, l’autrice attraversa generi espressivi differenti, quali la prosa, il teatro e la radio, documentando puntualmente le differenti stazioni che conducono all’odierno regime tecnocratico attraverso l’esercizio rigoroso, seppur programmaticamente discontinuo, di precisi dispositivi formali: il montaggio e il discorso indiretto.

Questa modalità di riscrittura del quotidiano lascia evincere la profonda immersione della scrittrice nelle dinamiche del capitalismo digitale, elemento che desta tutt’oggi un forte interesse nella critica. Visto l’ampio spettro di argomenti trattati nel dibattito accademico, l’opera di Röggla risulta infatti ampiamente “canonizzata” in diversi formati: nel 2016 è rientrata nel novero dei «Neue Realismen»[2] in gioco sulla scena contemporanea di lingua tedesca, nel 2017 le viene dedicato un volume monografico presso la celebre collana «Text + Kritik»[3] e, non da ultimo, nel 2019 è stata pubblicata una particolare edizione delle sue Bamberger Poetikvorlesungen, corredate da una raccolta di saggi critici[4]. Questi contributi si pongono come le stazioni più recenti di un dibattito apertosi nei primi anni 2000, in concomitanza con la pubblicazione di really ground zero: 11 september und folgendes[5] (2001) e wir schlafen nicht[6] (2004). In questo contesto Christine Ivanovic intuisce sin da subito l’elevata stratificazione della scrittura röggliana, codificando l’autrice come una «Medienspezialistin»[7], definizione che condensa tanto l’intermedialità distintiva della sua produzione artistica, quanto l’oggetto delle sue riflessioni poetiche e poetologiche: i mezzi di comunicazione, visti come campo di riverbero del discorso sociale codificato.

La tensione politica che muove la scrittura di Röggla risiede proprio in quest’ultimo segmento, vale a dire nella puntuale osservazione dell’esercizio linguistico quotidiano e, di conseguenza, nella sua restituzione sperimentale sul piano estetico. Le strategie di rovesciamento del discorso, cuore pulsante del tentativo estetico di sovversione messo in atto dalla scrittrice, consistono principalmente in dinamiche di straniamento del materiale raccolto sul campo, ovvero nell’insieme dei dispositivi che Krauthausen definisce come tecnica del «konjunktivische[s] Interview»[8].

La sperimentazione sistematica sul discorso indiretto rappresenta quindi un vero e proprio marchio stilistico della scrittura di Kathrin Röggla, delineandosi come soluzione estetica privilegiata nella messa a nudo delle dinamiche che regolano la crisi del contemporaneo.

Tra le caratteristiche che rendono il discorso indiretto, e nello specifico il Konjunktiv I, strumento primario nella documentazione estetizzata del presente redatta dall’autrice, figura ciò che Siegfried Jäger definisce «[die] Beziehung zu einer vergangenen oder zukünftiger “Gegenwart”»[9], vale a dire l’istituzione di una referenza esterna al qui ed ora del dialogo che, per così dire, rimette in scena il momento in cui la frase citata è stata pronunciata originariamente. Nei suoi studi dedicati a questo modo verbale, Jäger intuisce già negli anni ’70 lo spiraglio che il congiuntivo apre a falsificazioni e distorsioni di senso[10], soprattutto nella trasmissione mediatica del discorso politico. In virtù di ciò egli afferma che il congiuntivo non afferisce alla sfera dell’oggettività: «[Der Konjunktiv] betrifft […] nicht die objektive Fakten»[11]. Nella poetica di Röggla, tale rarefazione prospettica rende questo modo verbale il principale canale di svelamento delle strutture che costituiscono il discorso neoliberista.

Inoltre, la distanza veicolata dal congiuntivo consente all’autrice di alienare le parole riportate dalla propria fonte, dando così maggiore rilevanza all’esercizio del linguaggio, piuttosto che ai suoi interpreti, i quali, in questa quadratura si configurano come mere funzioni linguistiche. In altre parole, questi assumono i labili contorni di «Sprechgattungen»[12], contenitori espressivi in cui, secondo Bachtin, il parlante “versa” – con i dovuti adattamenti – la propria intenzione comunicativa, uniformandola a moduli espressivi preesistenti:

Des Weiteren wird die Sprechabsicht des Sprechers in all ihrer Individualität und Subjektivität auf die ausgewählte Gattung angewendet und an sie angepasst, sie fügt sich in eine bestimmte Gattungsform und entwickelt sich in deren Rahmen. […] Selbst wo wir ganz frei und ungezwungen plaudern, gießen wir unsere Rede in bestimmte Gattungsformen, welche bisweilen klischee- und schablonenhaft, dann wieder eher elastisch plastisch und schöpferisch sind (auch die Alltagskommunikation verfügt über schöpferische Gattungen).[13]

In questo modo Röggla travalica l’esperienza documentaria raccolta sul campo, astraendo con il congiuntivo i singoli generi del discorso all’interno di figure collettive che fungono da sineddoche per le categorie sociali dei contesti analizzati. Di conseguenza, l’estetica militante espressa dalla scrittrice è orientata a sovvertire la percezione dell’unica grande voce del sistema, che nei testi appare disseminata nella frammentaria rievocazione di interpreti differenti.

Se da un punto di vista teorico Röggla costruisce questa idea della lingua attingendo al canone filosofico della decostruzione[14], da un punto di vista estetico si rivolge direttamente alle proprie radici austriache, donando una nuova forma alla tradizione della Sprachskepsis.

Le radici nella Sprachskepsis austriaca: il congiuntivo di Ernst Jandl

Con Sprachskepsis si fa riferimento ad una crisi del linguaggio codificata già nel 1902 da Hugo von Hofmannsthal nel Chandos-Brief[15] e riletta filosoficamente da Ludwig Wittgenstein nelle Philosophische Untersuchungen[16] (1958). Qui Wittgenstein abiura l’ordinamento logico del linguaggio ideale analizzato nel Tractatus logico-philosophicus[17](1921), opponendovi il concetto di Sprachspiele, giochi linguistici che costruiscono il mondo dell’individuo, ormai incapace di comunicare: «Das Wort ‘Sprachspiel’ soll hier hervorheben, dass das Sprechen der Sprache ein Teil ist einer Tätigkeit, oder einer Lebensform»[18]. Pertanto l’atto linguistico diventa una Handlung, ovvero una prassi attraverso cui l’individuo rappresenta se stesso: «es [das Wort] ist nun Mittel der Darstellung»[19]. Ai fini di questo studio è importante sottolineare che, nel fornire esempi sul funzionamento dei suddetti Sprachspiele, Wittgenstein utilizza il congiuntivo come forma di discorso indiretto[20], scelta che rafforza la sua tesi sull’arbitrarietà del segno linguistico. In tal senso, la sua opera si pone come sostrato filosofico su cui poggia quello che, in questa sede, si vuole definire un sentire “austriaco” della lingua, declinato secondo forme e motivi differenti dagli interpreti dell’avanguardia nel secondo Novecento, da cui Röggla trae ispirazione per modellare la propria lingua letteraria.

La prima tra questi a costituire un importante modello per la scrittrice, è sicuramente Elfriede Jelinek. Del resto, la vicinanza tra le due «Sprachverschieberin[nen]»[21] del panorama letterario attuale è stata sottolineata in più momenti dalla critica, fino a suggerire un rapporto di vera e propria filiazione artistica tra le scrittrici[22]. Dalla ricchezza di immagini elaborate nei numerosi studi in merito, emerge però sotto una luce particolare la suggestione di Szczepaniak, che, sottolineando il vivo interesse di entrambe per l’ordinamento sociale contemporaneo, le ritrae «in Mediengewittern»[23]. Tale definizione incarna l’attitudine che Röggla mutua da Jelinek nel censire le questioni più urgenti dell’attualità, seguendo la spinta di quest’ultima a denunciare la mistificazione ideologica su cui si fonda l’esercizio del potere contemporaneo. In quest’ottica entrambe le autrici si pongono come differenti espressioni di un «medien- und sprachkritische[r] Realismus»[24] in cui la sperimentazione intermediale restituisce la circolazione viziata del linguaggio quotidiano.

Tuttavia, nell’orientare il proprio sguardo sul mondo contemporaneo, Kathrin Röggla non tralascia un altro segmento espressivo della Skepsis, quello legato all’uso del congiuntivo, che risulta non ugualmente approfondito dalla critica.

Gran parte delle Poetikvorlesungen[25] tenute dall’autrice a Zurigo nel 2016 sono però dedicate proprio all’estrinsecazione di questi rapporti. Nel corso del suo intervento, orientato a riflettere sulle possibilità di rappresentare un presente in affanno verso il futuro, Röggla non manca infatti di legare la propria genealogia estetica all’impiego sistematico del congiuntivo, che identifica come lascito di un’eredità nazionale: «der Konjunktiv hat sein Hauptlager in Österreich aufgestellt»[26]. L’approccio filologico della Vorlesung, secondo cui l’autrice legge in rapporto di continuità il Möglichkeitssinn della scrittura di Musil, e lo Sprachwitz fondativo della poetica di Jandl, non viene utilizzato da Röggla unicamente per rivendicare il proprio posto all’interno della tradizione letteraria austriaca, quanto piuttosto per storicizzare determinate scritture nate in reazione alle crisi del ventesimo e del ventunesimo secolo. In questo modo contestualizza il proprio lavoro in relazione alla crisi del contemporaneo, legandolo da un punto di vista letterario all’uso del congiuntivo:

Wo ist das Hier und Jetzt des Sprechers, fragt sich der Konjunktivhörende. Man beginnt es zu suchen und wird mit dem nächsten Konjunktivsatz wieder von ihm abgerückt. Eine Nichtstelle, ein inexistenter und doch hoch aufgeladener Raum. So ein Konjunktiv kam auch in meinem Schreiben nicht aus dem Nichts, geerbt habe ich nicht nur von Musil, sondern noch viel deutlicher von einem anderen Österreicher (der Konjunktiv hat sein Hauptlager in Österreich aufgestellt, das wissen wir heute), nämlich Ernst Jandl. “Aus der Fremde” heißt das Stück, nein, die Sprechoper, die der österreichische Schriftsteller 1980 in reinem Konjunktiv verfasst hat. […] Die Frage, wer noch handelt, erhält im Konjunktiv ein neues Licht. Er geht der ständigen Verschiebung der Handlung nach, die wir in der öffentlichen Rede erleben.[27]

Röggla qui legge la «Verschiebung der Handlung» generata dal congiuntivo, ovvero lo slittamento prospettico nella rappresentazione del quotidiano, come aspetto caratteristico della tradizione letteraria austriaca. Non a caso, gli scrittori citati traducono gli scenari di crisi che vivono nella prospettiva “sfocata” data da questo modo verbale: Musil rappresenta la crisi dell’età moderna creando un personaggio, Ulrich di Der Mann ohne Eigenschaften, che vive nella dimensione «Potentialis»[28] del congiuntivo; Jandl invece, per reagire alla crisi esistenziale del secondo Novecento, sviluppa un linguaggio lirico basato su di un «Wille zur Unsicherheit»[29]. Pertanto l’inserimento in una tale genealogia comporta per Röggla una necessaria rilettura della funzione del congiuntivo, che in quest’ottica si codifica come prospettiva storicamente adatta a tradurre la crisi sul piano estetico. In questo contesto, il richiamo ad Ernst Jandl, figura centrale nell’avanguardia lirica del secondo Novecento, funge da traccia per poter contestualizzare questo tipo di operazione.

Nel corso della Vorlesung, Röggla enuclea le caratteristiche del congiuntivo, enfatizzandone la capacità di separare livelli e piani della narrazione:

Der Konjunktiv zerschneidet den Bühnenraum, bzw. fügt er sozusagen eine fünfte Wand ein, eine externe Sprecherposition, eine Art Mehrzeitigkeit des performativen Sprechens. Er ist eine Spaltmaschine. Zwischen dem sprechenden Subjekt und dem Subjekt der Sätze, zwischen dem “Hier und Jetzt”, dem “Eben noch” und dem “jetzt gerade”, dem “Hier und dort”, dem Sprecher und dem Sprechenden.[30]

L’evocazione di una distanza critica e, al contempo, di meccanismi di frattura nella continuità espressiva della narrazione tradisce un’attenta lettura da parte dell’autrice del poeta che ha rappresentato il linguaggio «unter großem Druck»[31]. Jandl, infatti, reinventa il linguaggio poetico, deformando il quotidiano in giochi linguistici volti a dislocare il valore referenziale della parola secondo principi sonori e visivi, come testimoniano le celebri raccolte laut und luise[32] (1966) e der künstliche baum[33] (1970). Questo tipo di sperimentazione non è da considerarsi un puro esercizio di stile, quanto piuttosto come il cardine della Gesellschaftkritik espressa dal poeta che, nei fatti, si manifesta come una Sprachkritik. Secondo Jandl, del resto, lo scopo della sperimentazione linguistica è proprio quello di mostrare la distanza che intercorre tra la parola e il mondo: «Dinge aus Sprachen zu erzeugen, die zu den Dingen, wie man sich kennt, ihre eigene Distanz haben. Der Wille zur Unsicherheit [ist] also ein Merkmal der sogenannte experimentelle Dich­tung»[34]. Haag e Wiecha definiscono, a ragion veduta, questa modalità di svelamento intrapresa dal poeta come una «Kritik versprachlichten Bewußt­seins»[35].

D’altronde, l’analogia tra Gesellschaftkritik e Sprachkritik figura come tratto distintivo di tutta la generazione di poeti e scrittori legata alla Zweite Republik. Schmidt-Dengler, nell’interrogarsi su «cosa ci sia di austriaco nella letteratura austriaca»[36], passa in rassegna diverse ipotesi riguardo la «politische Passivität»[37] imputata a questi autori, riscontrando però come la virtù politica della loro scrittura risieda nelle modalità attraverso cui questi rappresentano il quotidiano, piuttosto che nei temi trattati. In altre parole, la questione riguarda «wie Geschichte präsent wird»[38], laddove quel corsivo rimanda immediatamente all’esercizio linguistico che caratterizza questi interpreti del secondo Novecento. Nel fornire degli esempi di scritture che provano a fare i conti con la storia, Schmidt-Dengler menziona poi proprio Aus der Fremde: Sprechoper in 7 Szenen[39] (1980), opera che Röggla sceglie come maggiormente rappresentativa per la sua ricezione di Jandl, in quanto esempio di «reiner Konjuntiv»[40].

In questo dramma lirico, Jandl mette in scena tre figure stilizzate – er, sie ed er2 – che si confrontano in dialoghi al confine con il canto, «an der Grenze zum Singen» (AdF, 5), esprimendosi al Konjunktiv I. L’opera è incentrata sull’acuto stato di depressione di er, uno scrittore che, alienato dalla propria vita, non riesce più a scrivere. Jandl traduce qui il sentimento di distacco dal proprio essere, tipico della patologia depressiva, nello straniamento veicolato dal congiuntivo, tematizzando apertamente questa scelta all’interno della pièce. Nella quarta scena si trova infatti un momento metadiscorsivo in cui er e sie riflettono sulla funzione di questo modo verbale:

sie: außerordentlich diese
verwendung des konjunktivs
den sie selbst so liebe
er: außerdem alles
in der dritten
person
was einige
als sehr gekünstelt
empfinden würden
[…]
wobei konjunktiv ebenso
wie dritte person
ein gleiches erreichten
nämlich objektivierung
relativierung
und zerbrechen der illusion (AdF, 61-62)

L’esasperazione di un’atmosfera artificiale, «gekünstelt» nel testo, è quindi orientata alla rappresentazione oggettivata dell’eventualità comunicativa del linguaggio. Tale obiettivo si raggiunge grazie all’impiego radicale del congiuntivo che, come si legge nell’opera, attiva contemporaneamente processi di «objektivierung» e «relativierung» della parola, volti a decostruire la realtà. «[Z]erbrechen der illusion» significa dunque per Jandl mettere in scena il puro, quanto vano, esercizio del linguaggio. Questo aspetto viene formulato chiaramente al termine della sequenza metadiscorsiva qui citata, quando la figura er afferma: «der konjunktiv nun / bewirke / daß dieses erzählen // nicht ein erzählen / von etwas / geschehenem sei // sondern daß es das erzählen / von etwas / erzähltem sei» (AdF, 63-64). Del resto, nella vita di questo er non figura alcun «geschehen», poiché trascorre le sue giornate bevendo, fumando e assumendo antidepressivi, in attesa delle fugaci visite della figura sie, di cui è molto innamorato. Pertanto costui vive nel distacco proprio del congiuntivo e non può esprimersi altrimenti.

Tuttavia, la stagnazione emotiva e artistica in cui si trova il protagonista – «ein morast» (AdF 16,102) – non figura come reazione avulsa dalla realtà circostante, quanto piuttosto come il frutto della condizione di isolamento che egli si è imposto per via dell’ordinamento sociale austriaco. Al termine della scena compaiono infatti accenni concreti ai meccanismi di rimozione e censura vigenti in Austria che chiarificano la posizione di outsider assunta dal protagonista:

er: im übrigen
wisse er
einen dreck
man solle ihn mal
eine stunde lang
österreichische geschichte erzählen lassen
in australien
sei das möglich
es sei ein alptraum
[…]
geschichtshaß
gründlichst empfangen
habe er zur nazizeit
geschichtsverlangen
kenne er
auch heute noch nicht (AdF, 58-59)

La storia nazionale appare spogliata di ogni patina piccolo-borghese, rivelando la propria essenza di «dreck», un ammasso di sporcizia che non trova spazio nel discorso ufficiale. Qui traspare a piccole dosi la consueta ironia dissacrante che caratterizza la scrittura di Jandl, giacché il protagonista, facendo leva sul classico equivoco fondato tra i sostantivi austria e australia, nomina quest’ultima come meta ideale in cui poter finalmente narrare un’altra versione della storia nazionale: la propria.

Pertanto, la depressione in cui versa la figura er denuncia il rapporto dissidente di Jandl con la società austriaca. Il dislocamento del congiuntivo, oltre a rappresentare il distacco di questo individuo dalla propria vita, serve quindi a “raffreddare” l’impeto del sentimento di protesta proprio per amplificare maggiormente l’espressione di dissenso da parte del poeta.

Bisogna quindi leggere sotto questa luce l’immagine della «Spaltmaschine» evocata da Röggla, che apprende da questa pièce la forza dirompente del Konjunktiv I. Jandl diventa quindi il modello da cui impara a modulare la lingua per poter ricostruire in vitro le dinamiche di auto-narrazione dell’individuo, mettendone a nudo le discrasie con il mondo interno ed esterno.

Esercizi di un sentire austriaco: la raccolta die alarmbereiten (2010)

La raccolta di prose die alarmbereiten[41] figura come una delle ultime pubblicazioni di Kathrin Röggla che prosegue ostinata la propria ricerca sul mondo contemporaneo, indagando il presente da postazioni differenti. In questo caso, si tratta di un presente in stato di allarme, vale a dire il presente dello Stato di Eccezione, paradigma imprescindibile in tutta l’opera di Röggla[42]. La raccolta consta di sette racconti, basati su temi ricorrenti nella poetica della scrittrice, quali la precarizzazione del quotidiano e l’induzione mediatica del panico, che nel complesso costituiscono un collage di scorci prospettici sulla crisi che attraversa il contemporaneo.

A differenza dei lavori precedenti, dedicati all’estrinsecazione di dinamiche che nel concreto hanno modificato il volto della società attuale, ovvero gli attentati terroristici del 2001 e la “svolta” digitale nel mercato del lavoro, in quest’opera Röggla mette in scena il rapporto di latenza tra l’immaginazione della catastrofe e il suo arrivo reale. Al centro della raccolta si trovano quindi previsioni future e proiezioni apocalittiche, in altre parole, stati di agitazione mentale.

Questo taglio prospettico porta l’autrice ad un ulteriore approfondimento dei meccanismi comunicativi dell’individuo, in quanto è nella dimensione discorsiva che lo stato di allarme si diffonde in maniera virale. Pertanto è proprio con die alarmbereiten che Röggla centra l’obiettivo ricercato lungo tutta la sua produzione artistica, fuoriuscendo da singoli contesti rappresentativi del presente per analizzare la prima stazione entro cui si compie l’esercizio del potere contemporaneo: la mente umana. Questa operazione non può avere luogo dall’analisi di un Milieu specifico, come nel caso delle opere precedenti, quanto piuttosto dalla somma di diversi contesti che, nonostante differenze geografiche e sociali, si ritrova a pensare secondo un unico schema mentale. Anche Rutka sottolinea questo aspetto, identificando l’oggetto della raccolta in un «medial gesteuerte[r], gesellschaftliche[r] Vorgang»[43]. Non a caso, gli attori delle singole prose risultano riuniti già nel titolo come alarmbereite, immagine che descrive un modo di essere, una dinamica sociale. La raccolta si compone dunque di una partitura di voci in cui speculazioni e teorie del complotto si confondono con il cosiddetto “parere degli esperti”, rappresentando la vaghezza di possibili scenari sempre aperti in cui si concretizza puntualmente la minaccia che l’eccezione diventi una regola. In tal senso, il racconto di questi singolari – e al contempo collettivi – Ausnahmezustände può avvenire unicamente nella dislocazione propria del congiuntivo.

Nella prosa die ansprechbare la relazione tra linguaggio e stato di allarme emerge in maniera particolarmente nitida. Il racconto presenta un dialogo sghembo tra due istanze stilizzate, ich e sie, che discutono dei preoccupanti sviluppi climatici durante una telefonata notturna.

L’azione narrativa si apre in medias res con l’irruzione istantanea dello stato di allarme mentale a cui si faceva accenno in precedenza:

ich solle erstmal luft holen. also erstmal luft holen, bevor ich weiterredete. man könne mich gar nicht verstehen. man verstehe nicht, was ich sagen wolle. also erstmal einatmen und ausatmen, ja? das ausat­men, habe sie sich sagen lassen, das vergesse man so leicht. dabei sei das ausatmen noch wichtiger als das einatmen, warum, wisse sie auch nicht. vielleicht weil verbrauchte luft schädlicher sei als gar keine luft, wobei sie sich das nicht vorstellen könne, ihr sei eine verbrauchte luft stets lieber gewesen als gar keine, weil man selbst aus verbrauchter luft noch etwas sauerstoff rauskriegen könne. (ab, 29)

Il ritmo incessante della prosa replica quello di un attacco di panico in cui immagini e pensieri si alternano in maniera convulsa. In questo caleidoscopio immaginativo la questione del cambiamento climatico viene tematizzata tramite l’inserimento di costruzioni discorsive che rappresentano la voce propagata dai media: l’istanza ich, per provare a calmare la crisi respiratoria a cui è in preda, enuncia diverse ipotesi sull’inquinamento aereo in cui risuona il lessico programmatico e, al contempo, estremamente vago dei servizi giornalistici. L’apparente minacciosità di queste informazioni viene però prontamente messa in dubbio dal congiuntivo (cfr. «verbrauchte luft [sei] schädlicher als gar keine luft, […] weil man selbst aus verbrauchter luft noch etwas sauerstoff rauskriegen könne»). Röggla qui rappresenta la dinamica tautologica dello stato di allarme attuale tramite un procedimento orientato al paradosso, segnalando l’impossibilità dell’istanza ich di fuoriuscire da questo schema mentale per mettere in luce il processo di assimilazione passiva del discorso mediatico.

In una tale concitazione, la situazione dialogica viene introdotta in maniera ambigua dall’enunciato «also erstmal einatmen und ausatmen, ja?», leggibile sia come domanda retorica, sia come ripetizione da parte dell’istanza ich delle parole della sua interlocutrice telefonica. Sin da queste brevi righe risulta quindi piuttosto evidente lo slittamento prospettico proprio del congiuntivo su cui si fonda tutta la prosa, nonché l’intera raccolta.

La configurazione del dialogo tra le due istanze in die ansprechbare si prefigura poi come vetta della sperimentazione sul discorso indiretto condotta da Röggla nella sua produzione in prosa. Infatti, se in wir schlafen nicht (2004) l’autrice traduce l’alienazione lavorativa di matrice neoliberista alternando il discorso diretto a quello indiretto nel formato del dialogo teatrale, in questo racconto è proprio l’io, figura peraltro volutamente assente nell’opera precedente, a mostrarsi nella dimensione distanziata del Konjunktiv I e a farsi tramite del discorso altrui. Nello sviluppo della prosa questa particolare configurazione del dialogo emerge nel momento in cui la “conversazione” tra le due istanze si accende:

was solle dieser themenwechsel? was heiße, es gehe nicht um mich, sondern um sie? ob ich ihr drohen wolle? und nein, sie laufe jetzt nicht auf die straße hinaus, sie begebe sich überhaupt nicht mehr gerne nach draußen, und schon gar nicht nachts. sie bleibe lieber hier am telefon. wieso sie unbedingt rauslaufen solle? […]

ha, sie wisse, was ich gleich sagen werde! ich solle jetzt bloß nicht mit dem gesunden menschenverstand kommen, so nach dem motto: «wenn du siehst, dass das haus in dem du sitzt, brennt, läufst du doch auch raus!» nein, wenn sie ihr haus brennen sehe, laufe sie eben nicht mehr raus. sie bleibe drinnen, sie warte ab, ob es wirklich brenne. (ab, 51)

L’immaginazione di scenari in emergenza continua a fare da sfondo a questo botta e risposta mediato dall’istanza ich, fino a sostituirsi completamente alla percezione della realtà. A questo punto della prosa, il sentimento di derealizzazione veicolato dal congiuntivo è divenuto pervasivo a tal punto, che l’istanza sie, ormai accecata dalle sue stesse fantasie apocalittiche, pur di veder realizzata l’attesa catastrofe ignora ogni istinto di sopravvivenza, restando nel suo appartamento in fiamme.

Da un punto di vista formale, Röggla traduce tale condizione di distanza dal proprio vissuto nel singolare assetto del dialogo, giacché la restituzione estetica dell’esperienza reale presenta un doppio riverbero: la voce di sie riecheggia in quella di ich che, a sua volta, viene mediata dal congiuntivo. A tal riguardo, Krauthausen parla infatti di una «szenische Rede»[44] ripiegata su stessa, giacché risulta impossibile distinguere le parti del dialogo che si riflettono simultaneamente nell’unica istanza parlante[45]. In altre parole, l’io occupa un posto vuoto nella conversazione, è contemporaneamente specchio e riflesso del suo interlocutore. Questo fattore determina una caratterizzazione asettica delle due istanze che finiscono col in rappresentare il linguaggio in sé, piuttosto che un parlante.

In questa prosa, il valore di Sprechgattungen delle figure create da Röggla assume quindi carattere radicale, poiché esse smettono di simboleggiare categorie sociali sul piano discorsivo, diventando la pura trasposizione letteraria dei generi del discorso in cui, secondo Bachtin, si “versa” il pensiero. Questo approfondimento mirato alle strutture percettive del reale figura al congiuntivo per esemplificare la prospettiva offuscata dello stare perennemente sulla soglia di una catastrofe eventuale e di non saper più distinguere la realtà dall’immaginazione. Anche Krauthausen sottolinea questo aspetto, leggendo la scelta di utilizzare radicalmente il congiuntivo come sintesi estetica del lavoro compiuto da Röggla sullo Stato di Eccezione: «der Ausnahmefall des Konjunktivs [geriert sich] als einzige “Normalität”. Vor diesem Hintergrund der Grammatik gilt daher, dass in die ansprechbare das Sprechen selbst sich immer schon im Ausnahmezustand befindet»[46].

Lo stato di emergenza del linguaggio riflette quindi la postazione alienata da cui oggi si percepisce la realtà. Pertanto il congiuntivo in questo caso non serve unicamente a denunciare le modalità con cui il panico penetra nella mente umana, quanto piuttosto a codificare la stazione più recente in cui si trova l’individuo prodotto dalla società tecnocratica. Osservando in prospettiva cronologica l’opera di Röggla, si noterà come l’impiego di questo modo verbale raggiunga una forma definita nella rappresentazione del post 9/11, in concomitanza con quello che Morgenroth definisce l’inizio di una «globale Fernsehgesellschaft»[47], e si interromperà nel 2016 con Nachtsendungen, ultima raccolta pubblicata sinora dall’autrice, che fa qui ritorno all’indicativo. Ciò lascia intuire che con die alarmbereiten il lavoro sul congiuntivo giunga al vertice del perfezionamento ed è proprio per questo motivo che l’impronta di Jandl risulta qui piuttosto nitida.

Ritornando all’uso e alla funzione che il poeta dà a questo modo verbale nella sua Sprechoper, sono evidenti già ad un primo sguardo le affinità che legano le due partiture. La caratterizzazione dei personaggi come istanze discorsive, spesso veicolate da pronomi, figura come primo punto di contatto fra le opere in questione. L’aspetto più interessante risiede però nella configurazione del dialogo da parte dei due autori, giacché Jandl sperimenta su questo formato rendendolo una «Wechselrede in Form des Echos»[48]. L’innesto del congiuntivo amplifica l’eco isolata dalla figura er negli incontri con sie ed er2, consentendo al poeta di denunciare l’ininterrotto regime di censura ideologica in Austria. Röggla qui supera in un certo senso il proprio maestro, duplicando l’eco del dialogo nel riverbero di una sola istanza.

In die ansprechbare, infatti, il congiuntivo porta ad una dimensione estrema la condizione alienata in cui versano le voci protagoniste. Entrambe risultano incapaci di prendere realmente parte alla comunicazione dialogica che, in questa quadratura, simboleggia il primo livello di contatto con il mondo. Nöllegen, a riguardo, parla di una «kommunikative Unerreichbarkeit»[49], sottolineando come il nucleo centrale della prosa, ovvero la speculazione su scenari futuri formulata secondo “il parere degli esperti”, consista principalmente – come, del resto, in tutta l’opera di Röggla –, in un problema di comunicazione. La scrittrice ritrae dunque l’isolamento sociale da questa prospettiva, rappresentando l’individuo contemporaneo racchiuso in una vera e propria bolla, attorniato unicamente da dispositivi elettrodomestici e voci mediali. Il congiuntivo traduce su un piano estetico questa prospettiva di vita, fondata esattamente su quella dimensione in differita descritta da Jäger[50].

A riprova di ciò basta volgere rapidamente lo sguardo alla conclusione della prosa, che, come accennato in precedenza, termina con l’arrivo della catastrofe a lungo invocata. Tale evento modifica la configurazione stilistica su cui si è snodato l’intero racconto poiché al congiuntivo si sostituisce l’indicativo:

wie? ich werde ihr doch nicht sagen, dass es jetzt aus sei. dass sie jeden moment keine luft mehr bekommen werde, weil gleich keine luft mehr um sie sei. […] ich werde ihr doch nicht sagen, dass sie angekommen sei an einem ort, an dem plusquamperfekt und futur 2 zusammenflössen, das werde ich doch nicht sagen, und dass das mein letzter satz gewesen sei. (ab, 52-53)

La prospettiva di totale alienazione dal reale, espressa sin qui dai Konjunktiv I, viene interrotta da un accadimento effettivo, segnalato dall’indicativo, modo verbale deputato all’espressione della realtà. In questa prospettiva la «szenische Rede» modulata fino a questo momento si scioglie e le voci delle due protagoniste si collocano in due postazioni opposte. L’istanza sie, che mai era giunta a parlare in prima persona, soccombe a causa di un incidente domestico generato dall’incendio improvviso di un cavo elettrico. Bisogna sottolineare come la natura fatale di questo incidente derivi dalla dissociazione della vittima, così assorta nelle speculazioni telefoniche, ovvero persa in un vissuto “al congiuntivo”, da non credere alla realtà circostante. D’altra parte, la fuoriuscita dal limbo immaginativo del Konjunktiv I avviene per l’istanza ich in tutti altri toni, poiché in questa circostanza assume le vesti di chi resta a guardare la realtà da una prospettiva linguistica vicina alla profezia. Nel momento unico e irripetibile della catastrofe, questa assume il tono perentorio degli esperti tanto a lungo nominati nei dialoghi precedenti. In linea con la valenza altamente simbolica conferita al congiuntivo, la minaccia costituita da questi pareri si esprime nel carattere ineluttabile dell’indicativo futuro.

Bisogna a questo punto aggiungere che in die alarmbereiten l’impiego radicale del congiuntivo, appreso da Jandl, si riflette anche in un lavoro sui formati narrativi che esprimono la medesima rarefazione prospettica. Tra questi figura il Protokoll, modulo che Röggla utilizza nella prosa die zuseher.

Al centro del racconto si trova il rapporto di attrazione voyeuristica dalla catastrofe, ambientato presso l’Hotel Safitel di Los Angeles, dove gli impiegati di un’agenzia per il «desastertourismus», gli zuseher del titolo, tengono un convegno sulle tecniche di previsione e pianificazione di nuove strategie di vendita. Nel corso della prosa questi si esercitano ad immaginare possibili calamità mentre osservano un parcheggio popolato da gente comune, definita «panikeinkäufer» (ab, 8), al fine di poter capitalizzare un caso di emergenza futura. L’impiego di questo sostantivo designa immediatamente il mercato della paura come contesto frequentato dai protagonisti poiché mette in relazione il sentimento del panico, indotto dalla narrazione mediatica del quotidiano, con le dinamiche economiche che hanno come stazione intermedia proprio il parcheggio, in quanto luogo di sosta tra un acquisto e l’altro. Oltre a questo gruppo figura il personaggio del protokollführer che redige il verbale dell’incontro.

L’azione narrativa comincia con la segnalazione dello smarrimento del Protokoll redatto nella prima seduta, probabilmente sottratto al gruppo da paul kirchstätter, responsabile del team, anch’egli sparito[51]. Il furto del verbale introduce l’utilizzo di questo modello all’interno del testo e giustifica l’inizio dell’azione dalla seconda seduta.

Nel dispiegarsi della prosa, Röggla caratterizza immediatamente il verbale come formato legato al congiuntivo, lasciando intravedere lo sguardo esterno del protokollführer nella riscrittura in differita delle parole di gerd pregler, CEO della geosick, divenuto leader del gruppo dopo la scomparsa di kirch­stätter. La funzione simbolica di questo modello narrativo viene invece esemplificata nella rievocazione della quarta seduta del seminario, in cui appare evidente il suo potere performativo nel processo di rimessa in scena del reale:

4. sitzung: selber ort, dienstag 24.9., 8.45 uhr, anwwesende: gerd pregler, marko keglevic sowie der protokollführer.

«so reden sie nicht», habe frau strebitz gesagt, «so reden keine sonder­ermittler, keine sonderbeauftragten und auch kein sondereinsatzkommando», habe sie gleich fachmännisch festgestellt. […] «was soll’s», habe er ihr geantwortet, «uns bleiben nur diese hier» doch sie habe nur die luft eingesogen und gesagt: «du verstehst nicht, was ich meine». dann habe sie einen augenblick geschwiegen, einen augenblick, in dem er tatsächlich nicht gewusst habe, was sie meine. […] in dem augenblick sei er einfach nur wütend gewesen. da habe man sich endlich rausbegeben, da habe man sich runter auf die straße begeben und sei auch glatt auf sowas wie ein team gestoßen, und sie haue einfach ab. […] wie? einfach gegangen?, habe auch er sich gefragt, wie das möglich sein könne. (ab, 22-23)

La quarta e ultima seduta vede l’abbandono del gruppo da parte di berit strebitz, direttrice del settore sviluppo nell’azienda mur-mur-chemie (ab, 7). La discussione tra strebitz e pregler è riportata in un dialogo ibrido che oscilla fra la rievocazione in tempo reale dell’incontro, data dal discorso diretto, e la sua ratifica scritta. A margine del battibecco fra i due si trovano infatti le aggiunte del protokollführer, che riporta al congiuntivo le loro azioni fino poi a cancellare totalmente la presenza della donna dalla seduta, facendola figurare come assente (cfr. «anwesende: gerd pregler, marko keglevic sowie der protokollführer»). I tre livelli del racconto, vale a dire le didascalie protocollate, il discorso diretto e il discorso indiretto, si contraddicono dunque, delegando al protokollführer il massimo potere nella riscrittura della realtà che, nel dettato ufficiale, si sostituisce all’accadimento poiché lo sovrascrive. Anche Lewandowski solleva la facoltà di poter intervenire nella progressiva ratifica di un «Gesprochen Werden»[52] degli altri personaggi da parte di questa terza istanza, rintracciandone il raggio di azione nella trascrizione dell’oralità, momento in cui il già detto viene naturalmente sottoposto a meccanismi di manipolazione[53].

Pertanto, in die zuseher Röggla declina il motivo centrale della raccolta – lo stato di agitazione mentale – da un’angolazione atta a mostrare i processi di mistificazione del reale. In questa quadratura, il verbale risulta il modello maggiormente adatto alla rappresentazione di una tale dinamica poiché si colloca tra la realtà e la finzione. Nei loro studi riguardanti la funzione culturale del Protokoll, Niehaus e Schmidt-Hannisa sottolineano infatti come la narrazione protocollata si distingua dalle altre per una manifesta ambivalenza nella restituzione degli eventi[54]; in questo senso il formato del Protokoll riflette le caratteristiche che Jäger rintracciava nel congiuntivo: da un lato la relazione con una temporalità differente dal presente, dall’altra la predisposizione alla manipolazione dei contenuti veicolati da questo modo verbale.

Questa prospettiva di mistificazione del vissuto nella ratifica scritta si rovescia però nella nota finale, in cui – come per die ansprechbare – una catastrofe naturale si abbatte sul parcheggio studiato dai protagonisti. Qui il protokollführer, che nel corso della prosa ha diretto una messinscena del discorso fondata sull’osservazione passiva del reale, deposita il verbale e fuoriesce dal gruppo degli zuseher. Abbandonato il suo ruolo sociale, questi agisce consapevolmente ai danni dell’azienda prestando aiuto ai «panikeinkäufer» in difficoltà. Tale rivolgimento risulta possibile proprio grazie all’ istituzione di uno Stato di Eccezione concreto, non più accumulazione di immaginazioni votata all’arricchimento dei mercati, ma «ein schwarz ohne alles» (ab, 26), ovvero pura anomia[55].

L’impiego del Protokoll da parte di Röggla non si può certo ascrivere direttamente all’influsso di Jandl sulla sua poetica. Tuttavia, si può avanzare l’ipotesi che esplorando una dimensione linguistica proveniente «aus der Fremde», la scrittrice sia giunta a rintracciare in un questo modello narrativo un corrispettivo adeguato al Konjunktiv I. Non appare una coincidenza, del resto, che Jandl, insieme ad altri illustri esponenti dell’avanguardia austriaca del secondo Novecento, abbia preso parte ad una rivista nata in risposta alla censura vigente in Austria, intitolata proprio «Protokolle». Il dato interessante che qui si riscontra è quindi l’attitudine al «protokollieren»[56] sviluppata dagli interpreti di questa tradizione, intesa come modalità di registrare la realtà per restituirla in una prospettiva critica.

In definitiva è proprio quest’ultimo l’aspetto centrale che Röggla eredita dagli scrittori della Sprachskepsis: l’attitudine a “deformare” realtà in crisi grazie al virtuosismo linguistico. Il sentire austriaco della lingua, a cui si faceva accenno in precedenza, prende corpo nell’equivalenza tra Gesellschaftkritik e Sprachkritik, trovando ampio riscontro in uso congiuntivo del linguaggio. L’impiego di questo modo verbale e dei modelli narrativi ad esso connessi non risulta interessante unicamente per approfondire l’impronta di Jandl sulla scrittura di Röggla, documentata peraltro dall’autrice stessa, quanto piuttosto per osservare la reale funzione che il congiuntivo assume nei diversi tentativi di rappresentare la realtà messi in atto dai due scrittori.

L’osservazione ravvicinata di Aus der Fremde e die alarmbereiten lascia infatti trasparire come l’impiego del congiuntivo sia funzionale alla creazione di figure incapaci di esprimersi a parole proprie, espediente che concentra l’attenzione sul linguaggio in sé, in quanto sfera in cui si depositano i cambiamenti sociali. Jandl, infatti, costruisce la propria opera sulla lingua alienata di un individuo isolatosi volutamente dal proprio contesto per denunciare l’ordinamento piccolo-borghese della società austriaca; Röggla lascia invece risuonare la crisi della verità nell’era delle fake news mettendo in scena le strutture comunicative del discorso contemporaneo in istanze più simili a degli altoparlanti che a degli esseri viventi. In quest’ottica il Konjunktiv I figura quindi come strumento utile a censire con grande immediatezza lo stadio della società alle soglie e nel mezzo dell’età contemporanea poiché, nel solco della teoria dei giochi linguistici, è il linguaggio che costruisce il mondo e in questo modo verbale tale assunto trova pieno compimento. Riprendendo quindi l’interrogativo che Schmidt-Dengler si poneva nel 1984, ciò che la letteratura austriaca – incarnata in questo caso da Jandl e Röggla – ha di austriaco non riguarda unicamente la questione di “come” la Storia sia presente, ma anche, più strettamente, di “dove” questa prenda corpo. Si tratta in entrambi i casi della lingua che da un lato registra, ripresenta e sovverte le dinamiche di costruzione della società e che, dall’altro, crea la Storia stessa.

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[1] K. Röggla, niemand lacht rückwärts, Fischer Verlag, Frankfurt a.M. 1995.

[2] T. Nusser, «Realismus beginnt eigentlich immer, und das von allen Seiten, er ist eine permanente Aufforderung» Über Kathrin Rögglas Texte, in S. Fauth, R. Parr (Hg.), Neue Realismen in der Gegenwartsliteratur, Wilhelm Fink, Padeborn 2016, pp. 213-225.

[3] I. Balint et. alii (Hg.), Kathrin Röggla, edition text+kritik, München 2017.

[4] F. Marx, J. Schöll (Hg.), Literatur im Ausnahmezustand. Beiträge zum Werk Kathrin Rögglas, Könighausen & Neumann, Würzburg 2019.

[5] K. Röggla, really ground zero: 11 september und folgendes, Fischer Verlag, Frankfurt a.M. 2001.

[6] K. Röggla, wir schlafen nicht, Fischer Verlag, Frankfurt a.M. 2004.

[7] C. Ivanovic, Bewegliche Katastrophe, stagnierende Bilder – Mediale Verschiebungen in Kathrin Rögglas really ground zero, in «Kultur & Gespenster» N.2, 2006, pp. 108-117, qui p. 109.

[8] K. Krauthausen, Gespräche mit Untoten. Das konjunktivische Interview in Kathrin Rögglas Roman wir schlafen nicht, in «Kultur & Gespenster» N.2, 2006, pp. 118-135, qui p. 121.

[9] S. Jäger, Zu Gebrauch und Leistung des Konjunktiv in der deutschen Sprache der Gegenwart, in «Colloquia Germanica» N. 4, 1970, pp. 268-288, qui p. 276.

[10] Cfr. «Verfälschungen und Verdrehungen sind dabei Tür und Tor geöffnet, was leicht festzustellen ist, wenn man die große Rede der Politiker mit dem vergleicht, was manche Zeitungen berichten». Ibidem.

[11] Ivi, p. 281.

[12] M. Bachtin, Sprechgattungen, hrsg. von R. Grübel, R. Lachmann, S. Sasse, Matthes & Seitz, Berlin 2017.

[13] Ivi, p. 31.

[14] Paradigmi teorici centrali nell’opera di Röggla risultano essere Michel Foucault, Gilles Deleuze e Guy Debord alla cui ricezione l’autrice dedica ampio spazio nella sua produzione saggistica. L’approfondimento di questi rapporti non potrà essere sviluppato in questa sede per ragioni di brevità, pertanto si rimanda al saggio in cui questi aspetti vengono maggiormente messi a fuoco. Cfr. K. Röggla Stottern und Stolpern. Strategie einer literarischen Gesprächführung (2007), in ead., besser wäre: keine. Essays und Theater, Fischer Verlag, Frankfurt a. M. 2013, pp. 307-332.

[15] H. von Hofmannstahl, Ein Brief, in Hugo von Hofmannsthal: Sämtliche Werke XXXI. Erfundene Gespräche und Briefe, hrsg. von E. Ritter, Fischer Verlag, Frankfurt a. M 1991, pp. 45-55.

[16] L. Wittgenstein, Philosophische Untersuchungen, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1971.

[17] L. Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1991.

[18] L. Wittgenstein, Philosophische Untersuchungen, cit., p. 19.

[19] Ivi, p. 40.

[20] Cfr. «also meint der, der sagt, der Besen stehe in der Ecke, eigentlich: der Stiel sei dort und die Bürste, und der Stiel stecke in der Bürste?». Ivi, p. 45.

[21] E. Kormann, Jelineks Tochter und das Medienspiel. Zu Kathrin Rögglas wir schlafen nicht, in I. Nagelschmidt, L. Müller-Dannhausen (Hg.), Zwischen Inszenierung und Botschaft: zur Literatur deutschsprachiger Autorinnen ab Ende des 20. Jahrhunderts, Frank&Timme, Berlin 2006, pp. 229-245 qui p. 239.

[22] Ivi.

[23] M. Szczepaniak, Elfriede Jelinek und Kathrin Röggla «in Mediengewittern», in J. Drynda, M. Wimmer (Hg.), Neue Stimmen aus Österreich: 11 Einblicke in die Literatur der Jahrtausendwende, Peter Lang, Frankfurt a. M. 2013, pp. 25-35.

[24] W. von Bernstoff, Die Macht der Bilder. Terror statt Toleranz. Theaterstücke von Kathrin Röggla, Elfriede Jelinek, Aly Jalaly, in R. Weierhausen (Hg.), Aufgeklärte Zeiten? Religiöse Toleranz und Literatur, Erich Schmidt Verlag, Berlin 2011, pp. 157-174, qui p. 161.

[25] Cfr. K. Röggla, Zürich I – Zukunft als literarische Ressource, LINK [06.03.2020].

[26] Ivi.

[27] Ivi.

[28] Cfr. R. Musil, Der Mann ohne Eigenschaften, in Gesammelte Werke in Einzelausgabe, hrsg. von Adolf Frisé, Rowohlt, Hamburg 1957, pp. 18-21.

[29] E. Jandl, Voraussetzungen Beispiele und Ziele einer poetischen Arbeitsweise, In «Protokolle 70/2», Wien/München 1970, p. 34.

[30] K. Röggla, Zürich I, cit.

[31] E. Jandl, Das Öffnen und Schließen des Mundes. Frankfurter Poetik-Vorlesungen, Luchterhand, Darmstadt/Neuwied 1985, p. 128.

[32] E. Jandl, laut und luise, Walter, Olten 1960.

[33] E. Jandl, der künstliche baum, Luchterhand, Darmstadt/Neuwied 1976.

[34] E. Jandl, Voraussetzungen, cit., p. 28.

[35] I. Haag, E. Wiecha, Konversation auf Abwegen – zu Ernst Jandl Bühnensatire Die Humanisten, in «Modern Austrian Literature» vol. 15 N. 1, 1982, pp. 115-126, qui p. 120.

[36] W. Schmidt-Dengler, Geschichten gegen die Geschichte. Gibt es das Österreichische in der österreichischen Literatur?, in «Modern Austrian Literature» vol. 17 N. 3, 1984, pp. 149-157.

[37] Ivi, p. 151.

[38] Ivi, p. 154.

[39] E. Jandl, Aus der Fremde – Sprechoper in 7 Szenen, Luchterhand, Darmstadt/Neuwied 1980. D’ora in avanti Adf.

[40] K. Röggla, Zürich I, cit.

[41] K. Röggla, die alarmbereiten, Fischer Verlag, Frankfurt a.M. 2010. D’ora in avanti ab.

[42] La riflessione sullo Stato di Eccezione compare per la prima volta nelle ultime pagine di really ground zero, in cui Röggla fa riferimento ad una conferenza tenuta da Giorgio Agamben, filosofo che ha dedicato ampio spazio alla trattazione di questo argomento, all’indomani degli attentati. Cfr. K. Röggla, really ground zero, cit., p. 105ss; G. Agamben, Stato di Eccezione, Bollati & Boringhieri, Milano 2003.

[43] A. Rutka, Zeitgenössische Gesellschaft und ihre Ängste. Zur sprachlichen Re-Inszenierung des Katastrophischen in Kathrin Rögglas Prosaband die alarmbereiten, in «Kategorien und Konzepte» N.139, 2014, pp. 99-112, qui p. 110.

[44] K. Krauthausen, Wette auf die Wirklichkeit. Erzählkalkül in die ansprechbare und Der Wiedereintritt in die Geschichte I von Kathrin Röggla, in Literatur im Ausnahmezustand, cit., pp. 157-184, qui p. 164.

[45] Cfr. «Zwar ist das  ‘ich’, mit seinen früheren Reden über drohende Katastrophen der Hauptgegenstand der Aussagen dieses Gegenübers. Aber das ‘ich’ spricht an keiner Stelle im eigenen Namen und ist als erlebende Figur ausgeschaltet. In der Erzählung hat dieses  ‘ich’ vor allem eine Funktion: Es transportiert die Rede ihres Gegenübers und damit deren Augenperspektive auf das ‘ich’». Ibidem.

[46] Ivi, p. 168.

[47] C.Morgenroth, Erinnerungspolitik und Gegenwartliteratur, Schmidt Verlag, Berlin 2014, p. 201.

[48] I. Haag, E. Wiecha, op. cit., p. 117.

[49] S. Nöllegen. Futur Zwei. Diskurse der Zukunftfähigkeit im Werk Kathrin Rögglas, in Kathrin Röggla, cit., pp. 256-278, qui p. 270.

[50] S. Jäger, op. cit., p. 276.

[51] Si noti a tal proposito l’analogia nella trama di die zuseher con l’opera teatrale di Maeterlinck I ciechi, che si apre con la morte della guida di un gruppo di ciechi del bosco i quali, ormai smarriti, riflettono sull’esistenza attorniati da minacce che non possono osservare. Oltre alla trama anche il gioco fra i titoli sembrerebbe legare le due opere, giacché nel racconto di Röggla viene posta l’attenzione sull’attività dello stare a guardare, mentre in quella di Maeterlinck il focus è sulla cecità, quale espediente utile ad un rivolgimento della prospettiva.

[52] S. Lewandowski, Wi(e)der eine Grammatik der Ausnahme. Kathrin Rögglas die alarmbereiten, in Kathrin Röggla, cit. pp. 54-72, qui p. 62.

[53] Cfr. «Das Gesprochen Werden […] sprachlich womöglich anders eingefärbt und […] abgewandelt wird». Ibidem.

[54] Cfr. «Einerseits kann es Wahrheit beanspruchen […]. Andererseits wird ein Gültigkeitsanspruch ableitbar aus der Fiktion einer vollständigen, selektionslosen oder zumindest vorurteilsfreien Abbildung». M. Niehaus, H. W. Schmidt-Hannisa, Textsorte Protokoll. Ein Aufriß, In id., Das Protokoll. Kulturelle Funktionen einer Textsorte, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 2005, pp. 7-26, qui p. 10.

[55] Cfr. «Lo stato di eccezione non è una dittatura ma uno spazio vuoto del diritto, una zona di anomia in cui tutte le determinazioni giuridiche – e, innanzi tutto, la stessa distinzione fra pubblico e privato, sono disattivate». G. Agamben, op. cit., p. 66.

[56] Si legge infatti nella premessa di Wolfang Hackl alla fondazione della rivista: «es sollte  eine Zeitschrift werden, die protokollierte. Dieses Wort, protokollieren, war von Anfang an da». W. Hackl, Kein Bollwerk der alten Garde – keine Experimentierbude. Wort in der Zeit 1955-1965. Eine österreichische Literaturzeitschrift, in «Innsbrücker Beiträge zur Kulturwissenschaft» N. 35., 1988, p. 126.