Ilaria Manenti

(Milano)

Männliche Macht e Weibliche Ohnmacht?
Declinazioni della sottomissione femminile in
Thomas Bernhard ed Elias Canetti

[Männliche Macht and Weibliche Ohnmacht?
Variations of feminine submission in the works of Thomas Bernhard and Elias Canetti]

abstract. Women play a specific and analogous role in the narrative of Elias Canetti and Thomas Bernhard. Such characters never appear as the only protagonists, but provide a counterpart to male figures, by whom they are often subjugated and marginalized. It is therefore the aim of this article to examine and compare the different ways in which the male characters of Canetti’s Die Blendung and Bernhard’s Das Kalkwerk and Ja dominate and exploit female figures, in an attempt to emphasize similarities and differences in the works of the two authors.

Numerosi studi su Thomas Bernhard si concentrano sull’analisi della tradizione filosofica e letteraria in cui le sue opere sono inscrivibili[1]. Nel panorama degli scrittori e pensatori a cui egli fa riferimento e da cui trae ispirazione, si annovera anche Elias Canetti. Nei romanzi di entrambi, l’ignoranza, l’ipocrisia e l’egoismo permeano i diversi strati sociali; i personaggi che li caratterizzano sono creazioni iperboliche ed esagerate, le cui azioni e ragionamenti risultano spesso talmente grotteschi da far ritenere che Canetti e Bernhard si siano presi gioco della tradizionale distinzione tra comico e tragico per smascherare gli atteggiamenti, le finzioni e le false certezze che hanno caratterizzato la società austriaca del Novecento.

Comparando la produzione narrativa bernhardiana con l’unico romanzo di Canetti, Die Blendung, è evidente che i punti di contatto individuabili sono molteplici. La rappresentazione dell’intellettuale antisociale, emarginato e unicamente dedito allo studio, una radicata misantropia – che si declina in un’evidente misoginia – e la difficoltà di comunicazione tra l’uomo di pensiero e il microcosmo dei personaggi della narrazione sono solo alcune delle caratteristiche che accomunano l’autore di Rustschuk e quello di Ohlsdorf. Tale somiglianza è riconosciuta da Canetti stesso, il quale vede nel collega un possibile successore letterario – un cosiddetto geistiger Sohn – opinione che esplicita ponendosi il seguente quesito: «Hat er mich so gut gelesen, dass er zu mir geworden ist? War er immer schon wie ich? Bin ich sein wahrer Vater, nämlich der, der ihn anerkannt, der ihm zu seinem Werk und seinem Ruhm verholfen hat an Stelle jenes anderen, der ihn verleugnete?»[2].

La rappresentazione della problematicità dei rapporti tra l’intellettuale e gli altri membri della società rappresenta la tematica che maggiormente accomuna la narrativa dei due autori, i cui protagonisti risultano talmente alienati dalla realtà e dediti alle proprie velleità spirituali da apparire incapaci di instaurare alcuna relazione positiva. Nonostante ciò, l’azione narrativa di numerose loro opere ha inizio dall’interazione o dal conflitto tra i protagonisti maschili e una figura femminile.

Le donne ricoprono infatti un ruolo peculiare e analogo nei romanzi dei due autori: mai protagoniste, esse fungono da controparte ai personaggi principali della narrazione. Per questo motivo, la trattazione critica di tali personaggi appare limitata, spesso datata e/o difficilmente reperibile.

Le donne descritte dai due autori sono in realtà sfaccettate, a volte ambigue e mai banali. La rappresentazione di tali personaggi mostra una chiara strutturazione dicotomica: essi si configurano tendenzialmente o come figure minacciose e spregiudicate seduttrici – basti pensare alla lasciva Therese del romanzo canettiano o alla locandiera odiata dal pittore Strauch nel bernhardiano Frost –, o come modelli femminili sottomessi e marginalizzati. Interessante è dunque esaminare e paragonare le diverse modalità con cui, nelle opere dei due autori, i personaggi maschili cercano di dominare e sfruttare le figure femminili, tentando di far affiorare eventuali somiglianze e differenze. Per fare ciò, è stata presa in considerazione una selezione di scritti dei due autori. In particolare, sono state scelte un’opera paradigmatica di Canetti – Die Blendung, suo testo più celebre nonché unico romanzo della sua traiettoria letteraria – e due opere di Bernhard – Das Kalkwerk e Ja – considerate significative dato il taglio critico dell’analisi.

Le immagini femminili predilette dai due autori racchiudono cliché culturali per cui la donna è considerata in modo stereotipato come madre, moglie, serva, prostituta o martire, la cui esistenza è sovente improntata a sostenere e soddisfare le fantasie, le carriere e i piaceri maschili. Spesso, inoltre, tali figure sono prive di evidenti qualità intellettuali – o, pur possedendole, esse non emergono nella narrazione poiché assoggettate all’ego maschile. A tal proposito, è interessante sottolineare che numerosi studiosi – tra cui Pankau, Pöder, Gößling, e Mittermayer[3] – considerano le rappresentazioni di genere proprie di Canetti e Bernhard fortemente condizionate dalle teorie di Otto Weininger[4]. Nel saggio Geschlecht und Charakter, il filosofo identifica infatti nell’uomo e nella donna i poli da cui si innerva una scala gerarchica naturale, la quale non ha unicamente base sociale, bensì anche ontologica: all’uomo corrisponde la spiritualità, l’essere, l’attività e la moralità, mentre alla donna la sensualità, il non-essere, la passività, il peccato e, soprattutto, la sessualità[5].

A tal proposito, Pankau[6] analizza le categorie rilevabili nell’opera di Weininger, sostenendo che esse abbiano chiaramente influenzato la caratterizzazione dei personaggi principali del romanzo canettiano. Interessanti sono inoltre le considerazioni di Tabah in merito alla trattazione delle figure femminili nelle opere di Bernhard, le quali, secondo la studiosa, affermano il binarismo codificato attraverso il genere teorizzato dal filosofo viennese:

Im Denksystem der Bernhardschen Protagonisten gilt der Geist «naturgemäß» als männlich und zentral, alles ihm Entgegengesetzte als weiblich, marginal, vernunftwidrig und daher gefährlich.[7]

Tale polarità è ulteriormente specificata da Tabah, che la declina in ulteriori categorie binarie quali Kultur/Natur, Subjekt/Objekt, Geist/Körper, Bewusstsein/Unbewusstes, Macht/Ohnmacht – il cui primo termine è sempre associato ai personaggi maschili, il secondo alle figure femminili[8].

Prendendo come cornice interpretativa di riferimento la prospettiva weiningeriana, la superiorità maschile sembrerebbe motivata e sottolineata dalle evidenti carenze intellettuali e morali della donna e funge da contrappunto positivo all’inferiorità femminile. Weininger sostiene, infatti: «Fehlt einem Wesen, wie dem echten Weibe, die begriffliche, so mangelt ihm deshalb notgedrungen gleichzeitig die urteilende Tätigkeit […]»[9]. Per il filosofo viennese, inoltre, le donne non sono fornite di una personalità chiaramente delineata e sono manchevoli di un’identità definita. A causa di ciò, sono incapaci di mettere in relazione i contenuti intellettuali e, dunque, non sono in grado di formulare giudizi e ragionamenti logici autonomi. Conseguentemente, le figure femminili non possono esercitare il proprio libero arbitrio in quanto costantemente determinate in modo eteronomo dal personaggio maschile a cui sono accostate[10]. Tale deduzione si avvicina all’interpretazione proposta da Bovenschen in merito alle teorie di genere di inizio Novecento:

Die Frau erscheint als das Undifferenzierte, Molluskenhafte, Vorindividuelle, durch Natur- und Gattungsgesetze Bestimmte, mit Maßstäben des bürgerlichen Alltagslebens gar nicht zu Erfassende. […] So wird die Frau mit dem metaphysisch verklärten Prinzip Natur in eins gesetzt; sie wird zugleich erhoben und erniedrigt, und zwar so hoch und so tief, daß sie in den gesellschaftlichen Lebenszusammenhängen keinen Platz mehr findet. […] Die weibliche «Natur» wird so einerseits zur Trägerin der ideellen männlichen Harmonie- und Einheitssehnsüchte stilisiert, andererseits schließt ihre Definition das Gebot der Unterwerfung und des Stillhaltens ein.[11]

La latente misoginia che sembrerebbe caratterizzare le opere di Bernhard e Canetti, però, non deve essere considerata necessariamente come una retrograda critica di genere. Secondo William Collins Donahue, Die Blendung è in realtà un’opera progressista che, anche attraverso l’utilizzo consapevole e pervasivo di descrizioni misogine, sottolinea criticamente i già citati cliché novecenteschi[12]. Similmente, Tabah evidenzia come le rappresentazioni negative delle donne nelle opere di Bernhard non mirino a screditare il genere femminile, ma anzi servano per esplicitare l’instabilità e la fragilità dei Geistesmenschen con cui si rapportano[13]. I tentativi dei protagonisti di proteggere la propria apparente superiorità possono infatti essere smascherati e decostruiti grazie all’analisi degli atteggiamenti – a tratti ridicoli e caricaturali – che essi manifestano nei confronti dei personaggi femminili, oggetto d’approfondimento, questo, del presente studio.

La strumentalizzazione femminile come mezzo di realizzazione della potenzialità maschile

L’azione narrativa di Die Blendung, Ja e Das Kalkwerk ha inizio dall’interazione o dal conflitto tra i Geistesmenschen e una donna. Considerando che gli intellettuali descritti dai due autori sono tipicamente solitari, schivi e infastiditi dal contatto con altre persone, è interessante cercare di capire la natura di queste relazioni eccezionali. Partendo dal presupposto che la misantropia di Peter Kien è palese e dichiarata sin dal principio della narrazione, quali sono le motivazioni che lo spingono a sposare Therese? A che pro il personaggio principale del racconto Ja cerca di avvicinarsi all’affascinante persiana appena giunta nel piccolo paese di montagna in cui risiede? Quali elementi si devono tenere in considerazione per interpretare l’abominevole relazione tra Benedikt Pfaff e la propria figlia? Come analizzare il rapporto che intercorre tra i coniugi Konrad, protagonisti di Das Kalkwerk?

Un primo passo per rispondere a tali quesiti è riconoscere che in tutte le opere citate avviene un processo di strumentalizzazione dei personaggi femminili. In Die Blendung, ancor prima che emerga il carattere violento e l’irrecuperabile ottusità di Therese, la donna risiede per otto anni presso la Ehrlichstraße 24 senza che Kien la consideri altro che una cameriera, inferiore perché non istruita e per questo non degna di attenzioni. Con il passar del tempo, però, il coinvolgimento del sinologo nei suoi confronti muta al punto che i due convolano a nozze. Dato che le relazioni tra la maggior parte dei personaggi del romanzo si fondano sostanzialmente sulla volontà di dominio e sulla logica del profitto[14], non sorprende che il matrimonio tra i due non si basi su un sincero affetto, ma su un iniziale tentativo da parte del sinologo di assoggettare la governante sfruttandola come guardiana della sua biblioteca, tentando di educarla e avvicinandola alla lettura di uno dei suoi volumi[15].

Sebbene i comportamenti e le riflessioni di Therese ne svelino la limitatezza umana e cognitiva, Kien estrapola dalle parole e dagli atteggiamenti della donna solo ciò che è disposto a sentire e accettare, rendendola così mera proiezione dei propri interessi e desideri[16]. Esempio di ciò è l’episodio in cui la governante scaccia malamente il piccolo Franz Metzger, reo di aver disturbato l’intellettuale. Nel capitolo iniziale del romanzo, l’incontro casuale di Kien con il bambino risveglia nello studioso degli «erzieherische Gefühle»[17], a cui egli però non può dare seguito; cercare di educare una giovane mente non solo sarebbe in contraddizione con la sua convinzione che l’insegnamento sia un compito da affidare a persone mediocri, ma minaccerebbe anche la sua tranquillità e la sua biblioteca. Per porre rimedio alla momentanea debolezza di Kien – che aveva invitato il giovane a fargli visita – interviene proprio Therese, a cui il sinologo ordina di scacciarlo. Subito dopo, la donna intavola un discorso incoerente e stizzito attraverso cui esprime il proprio odio verso i bambini e la loro lacunosa istruzione. Kien interpreta erroneamente tale atteggiamento come sintomatico di una radicata sete di sapere personale, arrivando a pensare:

Diese ungebildete Person legte so viel Wert aufs Lernen. Sie hatte einen guten Kern in sich. […] Auf andre ihres Standes hatten die Bücher nicht abgefärbt. Sie war empfänglicher, vielleicht sehnte sie sich nach Bildung (DB 90).

L’errata interpretazione delle parole della donna è seguita da una serie di equivoci e malintesi (in parte inscenati da lei stessa), che fanno sì che il sinologo la percepisca come perfetta proiezione delle proprie velleità intellettuali. Conseguentemente, egli decide di premiarla sposandola, azione che, secondo Kristie Foell, rappresenta «a parody of the classic fairy-tale ending for women who serve their male masters well»[18].

Nel momento stesso in cui prende tale decisione, tuttavia, Kien rivela al lettore le proprie reali motivazioni:

Ich werde sie heiraten! Sie ist das beste Mittel, um meine Bibliothek in Ordnung zu halten. Bei einem Brand kann ich mich auf sie verlassen. Hätte ich eine Person nach meinen Plänen konstruiert, sie wäre nicht so zweckmäßig ausgefallen (DB 104).

La reale base del rinnovato rapporto tra i due risulta dunque evidente: il bisogno pratico dell’intellettuale di trovare una custode ancor più affidabile per i propri libri, ruolo che viene affidato a Therese in quanto, a causa del radicale distacco dalla realtà vissuto da Kien dovuto ad anni di volontario isolamento e degli inganni orchestrati dalla donna, essa appare al sinologo come la figura adatta a soddisfare le proprie esigenze.

La chiave interpretativa che identifica nel contatto tra intellettuale e figura femminile un principio di strumentalizzazione e proiezione personale può essere applicata anche al racconto Ja, che secondo Von Hofe e Pfaff inaugura una nuova fase della narrativa bernhardiana: «Erstmals in Bernhards Panoptikum ichbesessener Figuren entdeckt sich die Dimension des Anderen als eines notwendigen Mittlers»[19].

Il narratore in prima persona del racconto, uno studioso di scienze naturali che si occupa di anticorpi[20], sostiene di essere rinchiuso in una prigione lavorativa ed esistenziale e che l’apatia che lo accompagna da tempo lo getti costantemente in uno stato di terribile autocritica. Preso dalla disperazione dovuta a mesi di solitudine, cerca conforto nell’agente immobiliare Moritz, grazie al quale incontra una donna persiana e il suo compagno, un ingegnere svizzero. Grazie all’evolversi delle interazioni con essa, il narratore viene salvato dai suoi pensieri suicidi e dal progressivo isolamento che lo tormenta.

È indubbio che il testo presenti numerose affermazioni inizialmente positive del narratore riguardo alla protagonista femminile, che arriva persino a definire una sua pari a livello intellettuale – posizione che in seguito però ritratterà. Come quella tra Kien e Therese, anche la relazione tra i due protagonisti bernhardiani non è inizialmente improntata allo scontro e alla mortificazione. Il narratore si identifica anzi con la donna persiana e utilizza la sua immagine come base per ricostruire la propria personalità; grazie alle loro somiglianze e agli interessi comuni – la musica e la filosofia su tutti – la persiana ha un effetto rigenerante sullo scienziato, incredulo di aver trovato in una figura femminile la propria apparente salvezza:

[…] ich selbst hatte […] auf einmal in der Lebensgefährtin des Schweizers, wie sich sehr bald herausgestellt hatte, einer aus Shiraz gebürtigen Perserin, einen mich durch und durch regenerierenden Menschen und also durch und durch regenerierenden Geh- und Denk- und also Gesprächs- und Philosophierpartner, wie ich ihn schon jahrelang nicht mehr gehabt hatte und wie ich ihn am allerwenigsten in einer Frau vermutet hätte.[21]

La natura della relazione tra i due diventa particolarmente esplicita nel corso della narrazione. Quasi impazzito a causa della mancanza di contatti umani, il protagonista ricerca la donna per ritrovare stabilità emotiva e tornare a lavorare in modo produttivo. Pur sopportando i monologhi del narratore, Moritz sembra infatti indifferente e poco partecipe, mentre nella Perserin egli trova un’ascoltatrice paziente e desiderosa di calore e condivisione dopo anni di indifferenza del marito nei suoi confronti.

A causa del profondo ed evidente disagio emotivo della donna, tuttavia, il monologante è chiamato a diventare ascoltatore. Dal momento in cui la persiana cerca nel narratore un sostegno, diventa evidente che essa non può fungere da mera superficie riflettente per l’ego e le necessità maschili, in quanto rappresenta un soggetto in cerca di attenzioni e cure – che, evidentemente, il suo interlocutore non è disposto a elargire. Una volta soddisfatti i propri bisogni narcisistici attraverso lo sfruttamento della disponibilità e della comprensione femminile, infatti, il narratore ritrova la volontà di dedicarsi alla scrittura e volge le spalle alla relazione appena sbocciata, provando addirittura fastidio per la presenza della donna[22].

Il ribaltamento della visione che Kien ha di Therese può essere confrontato con il peggioramento della considerazione del Geistesmensch bernhardiano nei confronti della Perserin. Così come questa viene ritenuta dapprima la salvatrice tanto attesa e successivamente una limitazione per la propria attività intellettuale, allo stesso modo la visione idealizzata che Kien ha di Therese muta drasticamente: riprendendo la terminologia weiningeriana, le due donne vengono considerate al tempo stesso figure salvifiche – addirittura materne – e Megäre. Si consideri che, per Weininger, questi Frauentypen corrispondono ai due estremi dello spettro dell’esistenza femminile; mentre la madre ha il dovere di prendersi cura dell’uomo e soddisfarne ogni bisogno vitale, la Megäre rappresenta una donna che è considerata (quasi) alla pari di un uomo e che condivide gli interessi intellettuali maschili – seppur per Kien ciò rappresenti solamente l’ennesima autoillusione.

Per quanto riguarda Therese, il richiamo alla maternità deriva evidentemente dal compito di proteggere e accudire la collezione di libri dello studioso, che viene indicata come «ihr Pflegekind» (DB 46)[23]. La figura femminile viene idealizzata come angelo del focolare, creatura salvifica, fedele, affidabile, pronta a sacrificarsi per difendere la prole. Come sostiene Kien, «Sie ist die geborene Pflegerin» (DB 47). La matrice quasi religiosa di un matrimonio contratto principalmente per la cura dei figli, i comportamenti attuati da Therese verso i libri, la sua prontezza nel proteggere l’intellettuale indifeso – atteggiamenti che Foell paragona ironicamente alla caritas cristiana[24] –, ispirano sentimenti religiosi in Kien:

Sie hatte Erbarmen, nicht mit Menschen, da war es keine Kunst, sondern mit Büchern. Sie ließ die Schwachen und Bedrückten zu sich kommen. Des letzten, verlassenen, verlorenen Wesens auf Gottes Erdboden nahm sie sich an (DB 101).

La nobilitazione di Therese e la proiezione della personalità maschile sul personaggio femminile persiste durante la prima notte di nozze dei due. Basandosi sia sugli stereotipi che vedono nella novella sposa una figura innocente, timorosa e bisognosa di guida, sia sulla propria errata interpretazione dei desideri della moglie, Kien riempie il divano del proprio appartamento di libri al fine di creare un ambiente adatto e confortevole per la speciale occasione. Quando la consorte entra nella stanza in lingerie e sposta i libri con foga per liberare rapidamente spazio per giacere, le certezze del sinologo non solo sul virginale candore della donna, ma anche sul suo rispetto verso gli amati libri vengono meno. La visione che Kien ha delle donne viene completamente rivoluzionata, lasciandolo sbigottito e destabilizzato.

Va evidenziato come, anche nel caso di Ja, sono proprio gli elementi considerati marcatamente femminili che sottolineano ed esplicitano l’impossibilità di un’affinità tra il Geistesmensch e la donna e che espongono il carattere illusorio del rapporto tra i personaggi. Come per Kien Therese, i suoi pizzi e soprattutto la sua gonna blu inamidata rappresentano un’entità inscindibile e fungono da metonimia per indicare la governante stessa, allo stesso modo gli abiti della Perserin non solo rendono la sua figura materica e palpabile – pur nascondendola quasi completamente – ma divengono anche segno caratteristico del personaggio:

Vom Augenblick meiner Begegnung mit ihr hatte ich das Gefühl, […] dass es dieser Frau niemals mehr möglich sein würde, ohne diesen Mantel, ohne diesen Pelzmantel, der sie einerseits bis an die Knöchel hinunter, andererseits bis über die obersten Kopfhaare zudecken und also schützen mußte, existieren zu können […] (J 12).

Risulta utile sottolineare, però, che mentre le descrizioni degli abiti indossati da Therese rimarcano la sessualità della donna, gli indumenti della persiana ne sottolineano e contemporaneamente ne limitano la femminilità. A tal proposito, è doveroso citare le considerazioni di Ronge riguardo al significato degli abiti della protagonista del racconto. Secondo la studiosa, l’avvicinamento della donna alla sfera maschile dello spirito e dell’intelletto esige e comporta la negazione del corpo femminile[25]. Non solo, infatti, l’ampio cappotto di pelliccia lungo fino alle caviglie nasconde forme ed elementi che tradizionalmente sottolineano l’appartenenza di genere, ma si consideri anche che la donna intraprende la prima passeggiata con il Geistesmensch indossando un cappello preso in prestito dall’oste nonché stivali da uomo, abbigliamento che lascia intendere un latente mascheramento della femminilità tramite la sostituzione di elementi femminili con indumenti maschili.

Nonostante il mutato aspetto esteriore, ciò che Alfred Pfabigan definisce soziale Weiblichkeit[26] viene comunque espressa e criticata dal narratore: presentandosi in ritardo all’appuntamento e facendo attendere l’uomo, la persiana si conforma allo stereotipo della donna eternamente in ritardo, il quale viene subito commentato dal protagonista:

Als ich die Lebensgefährtin des Schweizers […] im Gasthaus abholen wollte […] war sie natürlich noch nicht fertig gewesen, daß Frauen, gleich welche, niemals zu einer angegebenen vereinbarten Zeit fertig sind, ist mir mein ganzes Leben bekannt und auch mit der Perserin verhielt es sich so (J 44).

Sia in Die Blendung che in Ja, inoltre, riecheggiano i familiari stereotipi misogini che dipingono la donna come inevitabilmente logorroica, fonte di disturbo per l’uomo. Così come Kien fa firmare alla moglie un contratto per limitare la sua insopportabile parlantina a momenti definiti, il narratore dell’opera bernhardiana afferma: «ich kann ihre Stimme nicht mehr vertragen» (J 139). Allo stesso modo, così come Kien è terrorizzato dall’azzurro ondeggiare della gonna di Therese, il protagonista di Ja non sopporta la vista della pelliccia d’agnello nera, unico indumento prettamente femminile indossato dalla persiana durante le passeggiate nel bosco. Giunto a tale considerazione, egli sostiene – in puro stile bernhardiano – che la persiana sia la causa della propria paralisi intellettuale:

Jetzt war mir ihr Vorhandensein hinderlich, ich hatte das Gefühl, wieder arbeiten zu können, mich mit den Antikörpern beschäftigen zu können, wenn sie nicht da wäre. So lähmte sie mich auf einmal und ich wehrte mich gegen einen Kontakt mit ihr (J 140).

L’ordine patriarcale e la subalternità femminile vengono in questo modo ripristinati: la donna ha svolto il proprio dovere, una relazione spirituale appare nuovamente impossibile e dunque la donna non è più in alcun modo funzionale al benessere maschile:

Schließlich hatte sich nach und nach […] auch unser Gesprächsstoff abgenützt, schließlich erschöpft gehabt. […] Plötzlich war mir dieser Mensch fremd geworden, hatte sich in allem und jedem von meinem Geist und von meinen Gefühlen entfernt gehabt (J 138).

Attraverso la descrizione degli inizi del rapporto tra Kien e Therese, Canetti sottolinea come la figura femminile possa essere idealizzata e distorta così da fungere da strumento per soddisfare bisogni maschili. Secondo Claudia Liebrand, Kien – così come Therese nel prosieguo del romanzo – è incapsulato in un mondo di desideri egocentrici e asociali, all’interno del quale l’alterità appare ridotta a oggetto strumentalizzabile[27]. «Was Kien an Therese liebt» prosegue Liebrand «ist tatsächlich sein eigenes Ich-Ideal als “Büchermensch”: daß sie – seiner Wahrnehmung nach – die Bücher mit größtmöglicher Sorgfalt und Fürsorge behandelt»[28]. Similmente, la persiana in Ja serve al narratore per soddisfare i propri bisogni narcisistici e viene sfruttata come «regenerierenden Menschen» (J 498), nonché strumentalizzata come distrazione sia dalla propria solitudine, sia dall’impossibilità di proseguire con la stesura del proprio saggio scientifico. Nel momento in cui la fiducia e la consapevolezza del protagonista sono ripristinate, la donna non ha più alcuna funzione e viene gradualmente despiritualizzata.

Bernhard, Canetti e la violenza di genere: Analogie tra il capitolo “Der gute Vater” e “Das Kalkwerk

Dagli anni Ottanta il dibattito letterario relativo al mondo femminile si arricchisce di alcune riflessioni che aprono la strada ai settori disciplinari dei Women’s Studies e dei Gender Studies. Essi, oltre a considerare le dinamiche discriminatorie tra i sessi, iniziano a mettere in luce la costruzione sociale dei generi quale risultato non di dati biologici, ma di intersezioni di potere, identificando e facendo emergere così la base culturale e sociale delle disparità. Nella fattispecie, l’antropologa statunitense Gayle Rubin ha dimostrato sia che la supremazia maschile – non essendo geneticamente definita – si basa sulla volontà di orientare comportamenti, predisposizioni e rappresentazioni femminili, sia che la contrapposizione biologica e sessuale uomo-donna mira a rimarcare e irrigidire i ruoli e le rispettive sfere di competenza dei generi[29].

Nelle opere di Bernhard e Canetti, la volontà di condizionare e dirigere il femminile è riscontrabile soprattutto nei personaggi di Konrad, protagonista di Das Kalkwerk, e di Benedikt Pfaff, temibile portinaio di Die Blendung. In entrambi i romanzi, il desiderio di assoluto dominio determina la relazione tra i personaggi citati e le figure femminili a cui sono accostati, ossia la moglie dello stesso Konrad e la figlia di Pfaff, Anna.

La volontà di potenza su cui si basa il matrimonio tra i Konrad viene esplicitata dal protagonista stesso, che afferma deliberatamente di aver desiderato una partner fisicamente inferiore al fine di utilizzarla come oggetto di ricerca per il proprio studio sull’udito. Grazie a questa superiorità fisica, egli crea un rapporto di totale dipendenza che gli assicura la possibilità di sfruttare la moglie a proprio vantaggio:

Gerade weil sie krank und verkrüppelt […] gewesen war, habe er sie geheiratet, eine Frau, die vollkommen auf mich angewiesen ist, heirate ich, habe er, Konrad, damals überlegt gehabt, und: die mich einerseits braucht, haben muß, ohne mich nicht existieren kann […], die mir andererseits aber bedingungslos für meine Zwecke, und das heißt, für meine Wissenschaft, zur Verfügung steht, die ich, […] wenn es die wissenschaftlichen Umstände erfordern, mißbrauchen kann.[30]

Konrad dimostra di possedere una forma mentis fortemente gerarchizzante e impone le proprie priorità alla moglie, costringendola ad adattarsi al suo tenore di vita, a desiderare ciò che lui desidera, a sforzarsi per raggiungere obiettivi da lui solo prefigurati.

Similmente, Canetti attira l’attenzione del lettore su figure femminili che sono poco più che riflesso e appendice di trame maschili. Nella fattispecie, Anna ha il compito di servire il padre, subirne e soddisfarne gli eccessi sessuali e violenti e, al contempo, è tenuta a rafforzarne l’immagine di guter Vater. Attraverso tale figura, l’autore mette in evidenza le caratteristiche distintive della donna martire e vittima – vale a dire la sua totale sacrificabilità di fronte all’adempimento delle volontà del personaggio maschile.

La ragazza viene continuamente abusata e sottomessa da Pfaff, il quale – come si evince da frasi come «[…] An der Tochter rieb er seine rothaarigen Fäuste mit wirklicher Liebe» (DB 524) – prova evidente piacere nel provocare dolore fisico. La combinazione di «Fäuste» e «Liebe» suggerisce la perversa sessualità del portinaio, sottolineata ulteriormente dal fatto che, dopo la morte della madre, la relazione tra padre e figlia viene definita come un matrimonio[31]. Esempio dei continui maltrattamenti fisici e psicologici subiti dalla ragazza è l’esercizio verbale che il padre sottopone ad Anna – ovviamente sotto minaccia di percosse – definito da Donahue «a debased version of that type of polite Viennese conversation espoused by Altenwyl (of Hofmannsthal’s Der Schwierige), the purpose of which is “to provide your partner the key conversational prompt” (dem andern das Stichwort [zu] bringen[32]. Esso rappresenta una forma di estorsione verbale che serve a sottolineare il ruolo forzato della figura femminile come riflettore e amplificatore dell’ego paterno/maschile:

«Der Vater hat einen Anspruch …» «auf die Liebe seines Kindes».
Laut und gleichmäßig wie in der Schule ratschte sie seinen Satz zu Ende, doch war ihr sehr leise zumute.
«Zum Heiraten hat die Tochter …» – er streckte den Arm aus – «keine Zeit».
«Das Futter gibt ihr …» «der gute Vater».
«Die Männer wollen sie …» «gar nicht haben».
«Was tut ein Mann mit dem …» «dummen Kind?»
[…]
«Wenn die Tochter nicht brav ist, bekommt sie …» «Schläge».
«Der Vater weiß, warum er sie …» «schlägt».
«Es tut der Tochter gar nicht …» «weh».
«Dafür lernt sie, was sich beim …» «Vater gehört». (DB 528).

Tale trattamento, nonché l’obbligo di svolgere compiti come la preparazione dei pasti e il recarsi quotidianamente a fare la spesa al negozio di generi alimentari, richiama il processo di reificazione subito dalla Konrad. Come sostenuto da Mittermayer:

Im Kalkwerk fungiert sie nämlich vor allem als Objekt für Konrads wissenschaftliche Experimente. Mit der sadistischen Praxis seiner Urbantschitschen Methode pervertiert er den therapeutischen Sinn der Hörübungen des Wiener Professors für Ohrenheilkunde, Victor Urbantschitsch, die das Ziel hatten, den in die Isolation geratenen Schwerhörigen wieder in die Gesellschaft zu integrieren.[33]

Per completare – o meglio, iniziare – la stesura del proprio saggio, Konrad tiranneggia la moglie con frasi incomprensibili, il cui effetto «auf ihr Gehör wie auf ihr Gehirn» (K 79) doveva poi essere descritto immediatamente dalla consorte. Tale sperimentazione non si ferma né di fronte alle evidenti difficoltà psichiche della moglie, né con il peggiorare della sua otalgia – provocata peraltro dagli estenuanti esercizi quotidiani previsti dal metodo Urbancić; la sperimentazione, in fondo, rappresenta l’essenza stessa della loro relazione: «Sein ganzer Umgang mit ihr wäre nur ein einziges Experimentieren gewesen […] auf der urbantschitschen Methode beruhend, experimentiere ich sie (seine Frau) zu Tode» (K 99). Attraverso la regolazione metodica dell’interazione con la moglie, il Geistesmensch stabilisce un sistema di dominio che presuppone lo sfruttamento della controparte femminile.

Così come la Konrad non può ribellarsi né negare il proprio contributo allo studio del marito in quanto totalmente dipendente da lui, il fatto che Anna non sfugga dalle grinfie del padre non può essere visto come indice della cooperazione tra i due. La figlia è stata infatti abituata ai modi violenti del genitore sin dalla prima infanzia, senza considerare che il rigido controllo paterno sia sul potere economico, sia sui contatti sociali che intrattiene la priva delle risorse mentali e materiali per tentare la fuga. La ragazza può solo sperare di essere salvata da un agente esterno, che identifica nel commesso del negozio di alimentari dove è solita recarsi. Quando però anche questa possibile fonte di salvezza svanisce, Anna si ribella prima attraverso un tentativo di suicidio – che Pfaff riesce a sventare – e successivamente affrontando e accusando il padre, nonché reclamando la propria identità:

Plötzlich schnellte sie hoch, gab ihm einen Stoß, der jeden andern Vater umgeworfen hätte, […] sprang, um größer zu werden als er, mit den Schuhen aufs Bett und schrie: «Dich kostet es den Kopf! Poli kommt von Polizei! Die Mutter kriegt deinen Kopf!» Er verstand. Sie bedrohte ihn mit einer Anzeige. Seine Leibesfrucht wollte ihn verleumden. […] Das ist nicht seine Tochter! […] Sechzehn Jahre hat er sein Geld für eine falsche Tochter hinausgeworfen. […] Wohl nahm er seine Stieftochter vom Bett herunter und prügelte sie blutig (DB 536).

Così facendo, dimostra di non essere più sottomessa alla simbolica trinità patriarcale che suo padre rappresenta – «er, der Polizeibeamte, er, der Ehemann, er, der Vater […]» (DB 524) – e su cui egli fonda la propria immagine di sé; di tutta risposta, il padre sfrutta la propria prestanza fisica e picchia a sangue la figlia per rimarcare il predominio e ricostituire la gerarchia di potere su cui si basa la loro relazione.

Un processo analogo, seppur privo della ripetuta violenza corporea che contraddistingue la relazione appena descritta, avviene in Das Kalkwerk, in cui il protagonista dimostra di sentirsi poco rispettato e spesso vessato dalla consorte pur essendone dichiaratamente detentore e carnefice. Mentre Freud legittima e giustifica la differenza di genere e la superiorità degli uomini sulle donne sulla base del possesso o meno dei genitali maschili, nell’opera di Bernhard un altro elemento – anch’esso naturalmente attribuito all’uomo – assume questa funzione di differenziazione ed elevazione: la spiritualità. Essa traccia la linea di demarcazione tra l’uomo, che aspira alla creazione di un’opera, e la donna, costituzionalmente inferiore poiché sprovvista di Geist stesso. Il saggio sul quale i Geistesmenschen di Bernhard lavorano da decenni fungerebbe dunque da simbolo di tale spiritualità in quanto prodotto del potere creativo maschile. Nel completamento dello studio risiede, per i protagonisti, la possibilità di creare nuovamente se stessi e di dare inizio a una seconda nascita intellettuale. Un simile desiderio creativo è descritto anche da Walter Benjamin:

Oft hat man sich die Entstehung der großen Werke im Bild der Geburt gedacht. […]. Die Schöpfung […] gebiert in ihrer Vollendung den Schöpfer neu. Nicht seiner Weiblichkeit nach, in der sie empfangen wurde, sondern an seinem männlichen Element. Beseligt überholt er die Natur: denn dieses Dasein, das er zum ersten Mal aus der Tiefe des Mutterschoßes empfing, wird er nun einem helleren Reiche zu danken haben.[34]

Paragonare lo studio scientifico di Konrad a un simbolo fallico spiegherebbe la paura del protagonista nei confronti della moglie, da cui si sente minacciato. Freud teorizza infatti che l’angoscia maschile nei confronti delle donne derivi dalla paura di una possibile castrazione[35]; nel caso della narrativa bernhardiana, tale paura si trasformerebbe nel terrore di una “castrazione spirituale”. Nel romanzo, Konrad si confronta ripetutamente con l’influenza demolitrice di sua moglie, la quale tenta svariate volte di minare la stesura del saggio attraverso continue richieste, spesso insensate, che hanno come obiettivo far perdere al protagonista la concentrazione. La convinzione che la donna stia sabotando la sua opera è talmente radicata da rivelarsi persino attraverso la dimensione onirica. Il culmine della minaccia femminile è rappresentato infatti dal sogno in cui Konrad immagina di riuscire a ultimare la propria opera. Stremato e immobile per l’immensa fatica, nonché ormai privo di forze, è però soddisfatto del trattato finalmente compiuto. Improvvisamente entra nella stanza la moglie, non più paralizzata, la quale prende il saggio fra le mani, accusa il marito di aver agito «in aller Heimlichkeit» (K 164) e infine getta le pagine nella stufa deridendo il proprio interlocutore, del tutto incapace di muoversi. Al risveglio, Konrad è talmente turbato da non riuscire a uscire dalla propria camera per alcuni giorni.

Dall’inconscio del protagonista irrompono immagini che mostrano la donna come distruttrice dell’opera spirituale e dunque, se si considera la connessione tra sforzo intellettuale e autorealizzazione descritta in precedenza, come demolitrice dell’identità maschile. L’attività annientatrice della moglie può essere interpretata come un’azione diretta contro il saggio, correlativo oggettivo dello spirito – quindi della supremazia – maschile:

Ich kann mich nicht rühren und ich kann nicht verhindern, daß sie die Studie, die ganze, komplette Studie ins Feuer wirft. Etwas Gespenstisches hat diese Szene gehabt, soll Konrad zu Fro gesagt haben, einerseits meine Ohnmacht, andererseits ihre ungeheuerlichen Kräfte, einerseits meine Bewegungslosigkeit, andererseits ihre raschen Bewegungen, einerseits meine vollkommene Ohnmacht und Beobachtungsfähigkeit, andererseits ihre Entschlußkraft, ihre ungeheuerliche Entschlußkraft, denken Sie, Fro, ihre Rücksichtslosigkeit (K 165).

Nonostante il trattamento che Anna e la Konrad subiscono sia comparabile, il significato che le loro vicende assumono nelle due opere risulta differente. Secondo Donahue «Canetti’s portrayal of the absurdity of the female type is an assault on the cultural institutions that continue to purvey gendered straitjackets in the form of outmoded, sentimental female figures»[36]. La rinuncia di Anna alla trinità patriarcale mostra effettivamente una figura femminile che intraprende un processo di emancipazione, di cui Weininger considerava capaci solo gli uomini. Il ritratto che l’autore offre della ragazza sembrerebbe costituire dunque una replica alle sterili teorie weiningeriane, la quale mira a esporre i limiti della società patriarcale mostrando una figura femminile atipica e non conforme agli standard a lei imposti. Inoltre, la figura di Anna viene utilizzata da Canetti per sottolineare ulteriormente le qualità grottesche di Pfaff, rese ancor più evidenti dall’umanità della figlia.

Mentre Anna tenta di ribellarsi a ciò che la opprime, la Konrad è uno dei personaggi in assoluto più passivi delle opere di Bernhard. Anche a causa dell’immobilità dovuta alla paralisi fisica di cui è affetta, non riesce a opporre una valida resistenza al marito, che può così soggiogarla per i propri esperimenti, trascinarla nel fallimento e, infine, ucciderla. Messo di fronte ai troppi debiti da saldare e all’irrealizzabilità del proprio progetto intellettuale, il protagonista si rende conto della drammaticità della propria situazione; ciò che gli rimane è, dunque, soltanto l’avvilente constatazione del declino psicofisico della coppia e la consapevolezza della propria miseria e fragilità. Se nel corso della narrazione la donna viene individuata come uno dei numerosi capri espiatori sfruttati dal Geistesmensch per disconoscere le proprie debolezze, al termine del romanzo egli afferma espressamente di averle rovinato la vita. Pur rendendosi conto di avere ormai definitivamente compromesso sia la propria esistenza, sia quella dell’unica persona a lui vicino, egli decide di uccidere tale figura in quanto personificazione della propria rovina. Il personaggio femminile assurge dunque a simbolo dell’inadeguatezza del Geistesmensch bernhardiano, ne testimonia l’impossibilità intellettuale ed è vittima della frustrazione rabbiosa e potenzialmente letale che ne deriva.

Risulta evidente, dunque, che la presentazione di Anna e della Konrad adempie ciò che Northrop Frye ritiene che una critica sociale di matrice satirica dovrebbe fare, ossia porre «ideas and generalizations and theories and dogmas […] against the life they are supposed to explain»[37]. Attraverso le peripezie di due figure femminili evidentemente sottomesse, infatti, i due autori riescono a esplicitare ed evidenziare sia l’assurdità di una società patriarcale portata all’estremo, sia l’effettiva debolezza delle figure maschili su cui tale società si fonda.

La Konrad e la Fischerin, riflessi di identità (rin)negate

Una specularità analoga a quella che intercorre tra i coniugi Konrad è riscontrabile, nell’opera di Canetti, nel rapporto tra il nano Fischerle e la sua controparte femminile, la Fischerin, una giornalaia sentimentalmente ossessionata da lui con cui condivide tratti fisici incredibilmente simili[38].

Si può ipotizzare che le differenze che contraddistinguono e allontanano i coniugi Konrad celino in realtà una loro sostanziale identità. Se si considera la paralisi fisica della figura femminile, elemento centrale della sua caratterizzazione, si può notare come tale handicap si contrapponga al continuo vagare del marito, bisognoso di ampi spazi chiusi in cui poter contemporaneamente passeggiare e riflettere. Tale moto consiste però in un inconcludente vagabondare senza meta all’interno della propria abitazione. Mentre l’immobilità della moglie è un fatto meramente fisico, la paralisi di Konrad appare duplice e articolata: al limite imposto dalle mura della fornace si aggiunge infatti il suo blocco mentale, condizione che lo tormenta e che non gli permette di elaborare il tanto agognato saggio. Dal momento che la Konrad rappresenta il simbolo della paralisi, il disprezzo che sovente contraddistingue il trattamento che il marito le riserva non è altro che il riflesso dell’odio che egli prova nei confronti di se stesso: in lei, il Geistesmensch scorge l’incarnazione della propria inettitudine.

Ulteriore supporto a tale interpretazione è rappresentato dalla vicenda delle Fäustlinge. Vi è infatti una palese somiglianza tra lo sferruzzare interminabile della Konrad – che, novella Penelope, cuce e scuce le muffole senza mai portarle a termine – e il lavoro intellettuale del marito, il quale tenta incessantemente di formulare una frase iniziale per il saggio per poi scartarla e selezionarne una nuova, rimanendo bloccato in un circolo vizioso senza soluzione. Konrad stesso sottolinea come l’interesse della moglie verso il confezionamento dei guanti rispecchi la propria ossessione per il metodo Urbancić:

Während ich also ganz und gar auf die Studie und auf das Vorwärtskommen in der urbantschitschen Methode und in der Studie interessiert bin, hat meine Frau nur die Fäustlinge im Kopf, die sie mir strickt, obwohl ich die Fäustlinge hasse […] (K 154).

Considerando i due protagonisti l’uno alter ego dell’altro, anche in questo passatempo della figura femminile si possono cogliere tracce del fallimento del marito poiché, così come la stesura del saggio sembra una chimera, allo stesso modo il confezionamento delle muffole è reso sterile e inutile in quanto interminabile e mai soddisfacente:

[…] an einem einzigen Paar Fäustlinge soll die Konrad ein halbes Jahr gestrickt haben, indem sie jeden der beiden Fäustlinge, kurz bevor sie sie fertig gehabt habe, wieder aufgetrennt habe, und wäre einmal einer der Fäustlinge fertig und das heißt tatsächlich auch zur Gänze zusammengenäht gewesen, habe sie, die Konrad, ihrem Mann plötzlich wieder eine andere Wollfarbe als die des fast fertigen Fäustlings eingeredet und sie habe mit seiner Einwilligung den Fäustling wieder aufgetrennt und habe von Neuem begonnen, einen Fäustling zu stricken, wieder in einer anderen Farbe und so fort […] (K 153).

La Konrad rappresenta un’allegoria del marito, vera e propria concretizzazione delle sue mancanze e dei suoi difetti. Non riuscendo a sfuggire a se stesso, ma intuendo la somiglianza con la moglie, egli affronta e annienta la consorte in quanto riflesso di sé – ugualmente fragile, fallimentare e inconcludente. Il rapporto tra i protagonisti di Das Kalkwerk è interpretabile dunque attraverso il riconoscimento della loro identità nella diversità, la specularità che li accomuna e che li divide.

Come anticipato, la Konrad potrebbe essere accostata a un’altra figura appartenente al microcosmo di Die Blendung, la Fischerin. La loro identità – e subalternità – nei confronti dei due amati, così come la proiezione dei limiti maschili su di loro risulta evidente in entrambi i personaggi. In primo luogo, il lettore non viene mai a conoscenza del loro vero nome in quanto l’appellativo con cui vengono indicate si rifà al personaggio maschile a cui sono accostate. Inoltre, è necessario considerare che le vicende di cui sono protagoniste sono indissolubilmente legate alle azioni dei personaggi maschili; così come per spiegare il ruolo della Fischerin si deve necessariamente raccontare la storia di Fischerle, per contestualizzare il personaggio della Konrad è necessario tratteggiare la monomania del marito.

Fischerle rappresenta infatti una puntuale caricatura dell’ebreo che odia se stesso e le caratteristiche fisiche che lo identificano come tale; proprio per questo rifiuto di sé, egli non può certamente accettare la propria immagine speculare come compagna – basti considerare che, idealmente, sogna di essere legato a una donna americana alta e bionda, appartenente a un ceto sociale elevato, che funge da trampolino per l’ascesa dell’uomo nell’alta borghesia. Tale modello femminile, dalle fattezze quasi ariane, si contrappone nettamente alla figura di una nana ingobbita dai tratti marcatamente ebrei.

Alla pari di quelle della Konrad, le vicende della Fischerin possono essere paragonate a un martirio subito in nome di un personaggio maschile a cui è sentimentalmente legata. Così come la morte della Konrad potrebbe essere collegata – come precedentemente evidenziato – alla sua affinità psicofisica con il marito, il tragico decesso della Fischerin deriverebbe dall’assoluta somiglianza tra lei e il suo amato: dopo che la polizia scorta Kien, Pfaff e Therese al commissariato, la folla si scaglia sul nano, il quale dopo essere stato picchiato violentemente riesce a salvarsi solo grazie a uno scambio di persone tra lui e la sua sosia, che viene uccisa al suo posto:

[…] trotz ihrer Angst war sie überglücklich. Sie wird Fischerle finden. […] Sie steckt schon mitten unter den Leuten, und weil sie sich bückt, sieht man nur ihren Buckel. […] Plötzlich schreit jemand dicht neben ihr: «Der Krüppel!» und haut sie auf den Buckel. […] Die Menge fällt über sie her […]. An der Echtheit des Buckels ist nicht zu zweifeln. Über ihn entlädt sich die Masse. Solange sie kann, zittert die Fischerin für Fischerles Los und stöhnt: «Er ist das Einzige, was ich auf der Welt hab». Dann verliert sie das Bewußtsein. Fischerle ging es gut (DB 477).

Il decesso della donna è passibile di un’analisi stratificata e composita: può essere interpretato come spiegazione ed esempio delle modalità d’azione e del carattere violento della massa, nonché come rappresentazione del concreto fervore antiebraico novecentesco[39]. Ad ogni modo, Donahue sostiene che esso rappresenti anche «the death of the type»[40] in quanto rivelerebbe «the essential nonliving status of woman as a male look-alike projection»[41], interpretazione che si adatterebbe perfettamente anche alla fine tragica del personaggio femminile di Das Kalkwerk.

Tale prospettiva rende evidente come, attraverso figure come la Konrad e la Fischerin, Bernhard e Canetti esasperino e portino all’estremo una rappresentazione culturalmente obsoleta dei ruoli di genere che propongono modelli femminili improntati all’abnegazione e al sacrificio. Inoltre, i due autori sottolineano lo spietato processo di strumentalizzazione e umiliazione a cui le figure femminili sono sottoposte in quanto vittime, più o meno consapevoli, dei meccanismi di autoprotezione e di autoconservazione con i quali i personaggi maschili cercano di nascondere ciò che ritengono essere le loro debolezze e criticità.

La limitazione degli spazi narrativi e geografici, tra volontà di dominio maschile e costrizione femminile

Anche se la sottomissione delle figure femminili nelle opere di Bernhard e Canetti emerge principalmente dal trattamento loro riservato dai protagonisti maschili, un certo livello di limitazione è imposto loro dalle modalità narrative delle opere stesse. Si consideri infatti che lo spazio dedicato alla figura di Therese – sia per quanto riguarda la narrazione delle sue vicende presenti e passate, sia relativo al resoconto dei suoi pensieri e riflessioni – non è minimamente paragonabile al numero di pagine riservate a Kien; lo stesso si potrebbe dire di Anna Pfaff e della Fischerin.

La situazione delle figure femminili di Bernhard risulta analoga. Per quanto riguarda Das Kalkwerk, la prospettiva femminile viene completamente oscurata da una narrazione imperniata sul resoconto delle parole del protagonista maschile attraverso la voce di terzi. In Ja, invece, l’egocentrismo del protagonista viene espresso in primis attraverso la narrazione in prima persona. L’opera è infatti interamente costituita da un monologo in cui l’anonimo narratore austriaco parla del suo stato mentale, dei progressi del suo saggio scientifico e lamenta la propria misera condizione. Nel corso di questa autoriflessione, le parole degli altri personaggi sono filtrate e trasmesse attraverso la voce del narratore stesso, che controlla totalmente l’accesso alle informazioni. Esempio di ciò sono le ripetute promesse di disquisire e approfondire il racconto dei suoi incontri con la Perserin, più volte deluse e sostituite dalla costante riproposizione dell’argomento preferito del Geistesmensch: se stesso. Persino i pensieri della donna, unico personaggio con cui ha interazioni significative, vengono accennati in maniera molto generica; l’unica parola da lei pronunciata di cui il lettore viene espressamente a conoscenza è infatti quel Ja, terrificante quanto potente, che ne sottintende e ne anticipa il suicidio e che si presta come titolo del racconto. Con amara ironia, il significato dello stesso diventa chiaro nell’ultima frase dell’opera: il narratore aveva infatti chiesto alla Perserin se avesse considerato l’ipotesi di porre fine alla propria esistenza, domanda a cui lei, ridendo, aveva risposto affermativamente. La narrazione si scosta però consapevolmente dal dolore e dalla morte della donna – il lettore ne viene a conoscenza tramite il narratore, che scopre dell’accaduto attraverso Moritz, che legge la notizia su un giornale. Nonostante le ricerche del protagonista, le informazioni sull’accaduto rimangono vaghe e incomplete. Dato che il lettore non ha accesso diretto e immediato alle informazioni relative a ciò, Ludden identifica nel resoconto di tale evento «[…] an example of the distancing techniques that the narrative employs»[42]. Ludden sostiene inoltre che, tacendo la sofferenza e le effettive circostanze del suo decesso, «what appears is that there is something that a Persian woman cannot say in mainstream European literature. Her silence and lost history remain […] as a highly potent accusation»[43].

Nonostante il silenzio a cui sono relegate, le figure femminili delle opere di Canetti e Bernhard sono – alla pari dei protagonisti maschili – personaggi problematici, a volte grotteschi, esasperati e potenzialmente poliedrici, ma, a differenza loro, sono costantemente limitate non solo per quanto riguarda il ruolo all’interno dell’intreccio narrativo, ma anche da un punto di vista stilistico e narratologico. La limitazione dello spazio femminile interessa, inoltre, l’ambiente stesso in cui tali figure operano. Data la possibile minaccia che le donne rappresentano nei confronti del dominio e dell’identità rigidamente definita dei personaggi maschili, essi tendono a confinarle in spazi specifici per allontanarle dal proprio campo d’azione, per aumentare il proprio controllo o come mera forma di punizione.

In Die Blendung, dopo il matrimonio, la presenza di Therese minaccia lo status quo del marito e della sua collezione di volumi, Dingsymbol dell’intero sistema di valori e abitudini su cui il personaggio di Kien si fonda[44]. A causa del pericolo associato all’elemento femminile, la strategia che il sinologo decide di mettere in atto comprende il tentativo di tenere la moglie a debita distanza dalla propria biblioteca, che egli identifica come unica vera patria:

Frauen hält man am klügsten von seiner Heimat fern. Entschließt man sich doch, eine aufzunehmen, so trachte man, sie der Heimat erst völlig zu assimilieren, so wie er es getan hat. In acht langen, stillen, zähen Jahren haben die Bücher für ihn die Unterwerfung dieser Frau besorgt (DB 116).

Di fronte a una possibile intrusione, il desiderio di mantenere stabile la propria identità e la volontà di dominio di Kien emergono. Dato che si sente protetto e invincibile solo se circondato dalla sua muraglia di libri, la minaccia femminile va necessariamente tenuta all’esterno.

Se la volontà del protagonista di Die Blendung di porre limiti spaziali a Therese termina in una completa debacle, ben diversa è la vicenda dei Pfaff. In aggiunta alle numerose vessazioni fisiche e psicologiche, dopo la morte della moglie il portiere reclude la figlia per assicurarsi i suoi servigi:

Ungestörter als bisher verfuhr er mit der Tochter nach Belieben. Bevor er in den Dienst ging, sperrte er sie rückwärts ein, damit sie sich dem Kochen ausschließlicher hingebe. So freute sie sich auch, wenn er heimkam. «Was macht die Arrestantin?» brüllte er und drehte den Schlüssel im Schloß herum (DB 525).

Inoltre, come precedentemente accennato, il padre ne limita fortemente i contatti con il mondo esterno; rinchiudendola nella propria abitazione, egli può ulteriormente controllarla e dominarla.

La segregazione dei personaggi femminili risulta ancora più evidente e significativa in Das Kalkwerk e in Ja. Per quanto riguarda la prima opera, le imposizioni e le limitazioni spaziali e geografiche sono ben precisate. La fornace, fulcro della ricerca d’ispirazione di Konrad, rappresenta infatti il simbolo dello spostamento e dell’appropriazione della natura femminile da parte della ratio maschile. L’edificio è situato vicino a Sicking, località in cui Konrad decide di traslocare con la moglie non accogliendo i desideri di questa di trasferirsi a Toblach, luogo d’origine di entrambi. Seppur per la moglie rappresenti il posto ideale in cui vivere, per Konrad la città dei genitori non corrisponde a un possibile Rettungsort:

Sie hat nach Toblach, in ihren Elternort und in ihr Elternhaus, zurückgehen wollen, aber nach Toblach zurückgehen hätte für ihn nichts anderes als die endgültige Aufgabe seiner Studie und also auch seines Existenzzweckes und in der Folge auch für seine Frau, in Wahrheit Konrads Halbschwester, nichts anderes als die totale mutwillige Existenzvernichtung noch dazu im Ausland bedeutet, denn die Abhängigkeit seiner Frau von ihm war die vollkommenste, die man sich vorstellen kann […] (K 17).

I desideri maschili prevalgono sebbene la donna detesti Sicking e soprattutto la fornace tanto agognata dal marito, posizione di cui il protagonista evidentemente non si cura[45]. La contrastante propensione dei due rispettivamente per Sicking e per Toblach si impone dunque fin dal principio come una delle tante opposizioni polarizzanti riguardanti la caratterizzazione dei due personaggi. La decisione di spostarsi nella fornace fa sì che nella figura femminile si riconoscano le inclinazioni regressive e le tendenze rinunciatarie tipiche di un carattere debole e sottomesso; d’altra parte, l’egoismo e le pretese di supremazia del protagonista maschile nei confronti della moglie vengono ulteriormente enfatizzate. Sebbene Konrad stesso riconosca per primo la scarsa vivibilità della fornace e della cittadina, teatro di ripetuti atti criminali, egli individua in tale inospitalità la garanzia dell’isolamento di cui necessita per scrivere. Prendendo tale decisione, obbliga così la moglie a vivere una solitudine forzata molto simile alla detenzione. L’immagine della prigione viene rinforzata, inoltre, dalle modalità con cui gli abitanti prendono possesso della fornace; una volta trasferitisi, Konrad installa grate di metallo alle finestre, rendendo così l’edificio, già opprimente e desolato, simile a un penitenziario:

Natürlich sei Sicking ein Kerker, sagte Konrad zu Fro, und es mache ja auch von außen schon den Eindruck eines Kerkers, eines Arbeitshauses, einer Strafanstalt, eines Zuchthauses. […] Diesen Eindruck verstärkten vor allem die Fenstergitter, die er sofort, wie er das Kalkwerk gekauft gehabt hat, in die dicken Mauern hineinmauern habe lassen, […] die dicken Mauern und die in den dicken Mauern verankerten Gitter weisen sofort auf einen Kerker hin (K 19).

La reclusione in un’abitazione cupa, lugubre e isolata viene destinata anche alla protagonista femminile del racconto Ja, il cui marito acquista un lotto di terreno umido e inospitale al fine di costruire un’abitazione per sbarazzarsi della consorte. La relazione tra l’ingegnere svizzero e la donna persiana risulta problematica e travagliata in quanto rimarca l’opposizione tra il mondo immanente e quello spirituale e filosofico. Il narratore stesso afferma:

Mit dem Schweizer wäre wahrscheinlich ganz gut eine Unterhaltung über alles Reale und Normale möglich, meinte ich, mit seiner Lebensgefährtin sicher immer wieder eine philosophische (J 94).

La Perserin vive infatti l’incontro con il narratore come un salvataggio dal proprio matrimonio fallito. Legatasi con l’ingegnere in gioventù a causa di ciò che Mittermayer identifica come «Gefühl der eigenen Unvollständigkeit»[46], la donna – all’epoca una giovane brillante e dalle rosee prospettive – aveva abbandonato la propria carriera per sostenere l’ascesa del marito nel campo dell’ingegneria elettrica. Il suo successo ha come presupposto, però, il totale annullamento del potenziale femminile, ormai completamente asservito al marito. Una volta raggiunto l’apice della propria crescita professionale, egli la considera un inutile intralcio di cui sbarazzarsi; proprio per questo, decide di costruire un’abitazione interamente dedicata a lei in un luogo nascosto e anonimo[47].

Come per quanto riguarda la fornace dei Konrad, le motivazioni e gli scopi per cui l’abitazione della persiana viene acquistata risultano peculiari e non condivisi dalla figura femminile. L’edificio rappresenterebbe infatti il correlativo oggettivo della volontà di dominio e di indipendenza maschile, essendo stato progettato dallo svizzero con intenti egoistici, nonché escludendo la moglie da ogni processo decisionale[48]. Incisiva è la frase del narratore riguardo al destino della donna e ai motivi per cui il marito le impone un simile futuro:

Sie sollte in das von ihm gegen sie entworfene unmenschliche Haus hinter dem Friedhof und hinter dem Wald einziehen, in das entsetzlichste Haus, das sie sich denken könne. Ihr bleibe nurmehr noch, über alles zu schweigen und vollkommen abgestumpft, in sinn- und zweckloser Beobachtung zu verharren, völlig einflußlos, ihre Zukunft betreffend. Der Schweizer habe seinen Plan gegen sie und um seinem Vernichtungswillen gegen sie einen deutlich sichtbaren und naturgemäß seiner Lebensgefährtin fühlbaren Ausdruck zu geben, ausgeführt. Und er hatte das Grundstück gekauft, weil es seinen Zwecken, sie für ihr lebenslängliches Experiment an ihm, der, wie er ihr gegenüber gesagt haben solle, verdienten Strafe zuzuführen, in idealer Weise entsprochen hat. Es war das abstoßendste Grundstück, das er jemals gesehen hat. Er kaufte es, weil ihm klar war, er finde kein abstoßenderes mehr (J 133).

Abbandonata dal suo compagno – fuggito con un’infermiera venezuelana –, la donna si trasferisce nell’abitazione a lei imposta. Ormai caduta in un profondo stato depressivo e senza nessuno che se ne prenda cura, perirà – nell’isolamento di una prigione creata per punirla – come vittima passiva degli uomini che la circondano. Anche in quest’opera dunque, come nelle precedenti, emerge la volontà maschile di limitare e costringere il personaggio femminile in un ambiente ben definito. Tale processo si rifà a ciò che Sugamele definisce «patriarcato imperialista»[49]: all’oppressione e reificazione della figura femminile si collega il suo sradicamento da un ambiente prediletto o la negazione dell’accesso a determinati spazi, aspetti questi che evidenziano ulteriormente la sottomissione femminile rispetto ai protagonisti maschili.

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[1] Si citano i seguenti esempi: Timothy B. Malchow, Thomas Bernhard’s «Frost» and Adalbert Stifter: Literature, Legacy, and National Identity in the Early Austrian Second Republic, in: «German Studies Review» (febbraio 2005), Vol. 28, No. 1, pp. 65-84 e Ştefan Bolea, Antihumanism in the works of E. M. Cioran and Thomas Bernhard, in: «Philobiblon. Transylvanian Journal of Multidisciplinary Research in Humanities» (2019), Vol. 24 (1), pp. 79-90.

[2] Elias Canetti, appunto del 22/06/1970 conservato nella Zentralbibliothek Zürich, cit. in: Sven Hanuschek, Elias Canetti. Biographie, München, Hanser Verlag, 2015, p. 585.

[3] Johannes G. Pankau, Images of Male and Female in Canetti’s Fictional, Autobiographical, and Theoretical Work, in: Dagmar G. C. Lorenz, (a cura di), A Companion to the Works of Elias Canetti, Rochester, Camden House, 2004, pp. 217-238. – Elfriede Pöder, Spurensicherung: Otto Weininger in der “Blendung”, in: Friedbert Aspetsberger, Gerald Stieg (a cura di), Elias Canetti: Blendung als Lebensform, Königstein/Ts, Athenäum, 1985, pp. 57-72. – Si noti che Gößling, oltre a riconoscere l’influsso weiningeriano nelle opere di Bernhard, sottolinea alcune ulteriori affinità tematiche tra lo scrittore di Ohlsdorf e lo scrittore di Rustschuk: «Zu Recht hat man dabei auf das misogyne Weltbild von Bernhards Männerfiguren verwiesen, das zum Teil, dem Großvater Johannes Freumbichler folgend, auf den Wiener Philosophen Otto Weininger zurückgehen dürfte. Darüber hinaus lassen sich angesichts der vom Maler Strauch entworfenen obsessiven Ängste und Bedrohungsszenarien Anklänge an Elias Canettis Studie Masse und Macht und dessen Roman Die Blendung feststellen; auch Canetti selbst hat auf diese Verwandtschaft hingewiesen». Andreas Gößling, Frost, in: Martin Huber, Manfred Mittermayer, (a cura di), Bernhard-Handbuch: Leben – Werk – Wirkung, Stuttgart, J. B. Metzler Verlag, 2018, pp. 37-46, qui: p. 42. – Manfred Mittermayer, Thomas Bernhard, Stuttgart/Weimar, J. B. Metzler Verlag, 1995.

[4] L’intellettuale austriaco di origine ebraica è una figura nota nella storia della filosofia: nonostante la sua precoce dipartita – si suicidò poco dopo la pubblicazione del suo trattato, pubblicato all’età di ventitré anni – il suo pensiero ha esercitato un influsso significativo nel panorama filosofico del Novecento. Benché fondata su radicata misoginia e dichiarato antisemitismo, la sua opera influenzò molteplici discipline, generi letterari e autori, rivelando tensioni e contraddizioni nella cultura viennese ed europea.

[5] Cfr.: Fabio Ciracì, Il pessimismo mitteleuropeo: Otto Weininger, in: Revista Voluntas: estudos sobre Schopenhauer (1º semestre 2011), Vol. 2, pp. 95-107. qui: p. 102.

[6] Johannes G. Pankau, Körper und Geist: Das Geschlechterverhältnis in Elias Canettis Roman «Die Blendung», in: «Colloquia Germanica» (1990), Vol. 23, No. 2, pp. 146-170.

[7] Mireille Tabah, Geschlechterrollen und Geschlechterverhältnisse, in: Martin Huber, Manfred Mittermayer, (a cura di), Bernhard-Handbuch: Leben – Werk – Wirkung, pp. 433-436, qui: p. 433.

[8] Mireille Tabah, Phallogozentrische Zirkelschlüsse und Geschlechtermaskerade in Thomas Bernhards Werk, 29 marzo 2011, versione online: LINK, consultato il 05/03/2021.

[9] Otto Weininger, Geschlecht und Charakter – eine prinzipielle Untersuchung, Wien, Wilhelm Braumüller Universitäts-Verlagsbuchhandlung, 1920, p. 249.

[10] Christine Achinger, Allegories od Destruction: «Woman» and «the Jew» in Otto Weininger’s Sex and Character, in: «The Germanic Review: Literature, Culture, Theory» (2013), pp. 121-149, qui: p. 130.

[11] Silvia Bovenschen, Die imaginierte Weiblichkeit. Exemplarische Untersuchungen zu kulturgeschichtlichen und literarischen Präsentationsformen des Weiblichen, Frankfurt am Main, Suhrkamp Verlag, 1979, pp. 31-32.

[12] William Collins Donahue, The End of Modernism: Elias Canetti’s Auto-da-fé, Chapel Hill/London, The University of North Carolina Press, 2001, p. 46.

[13] Mireille Tabah, Phallogozentrische Zirkelschlüsse und Geschlechtermaskerade in Thomas Bernhards Werk, 29 marzo 2011, versione online: LINK, consultato il 05/03/2021.

[14] Si ricordi che Magris ritiene che il microcosmo creato da Canetti nella Blendung descriva «mit absoluter Konsequenz ein totales Fehlen der Liebe, eine wahnsinnig ausgetrocknete und von jedem Verlangen sterilisierte Welt». Claudio Magris, Der Schriftsteller, der sich versteckt, in: «Modern Austrian Literature» (1983), Vol. 16, No. 3/4, Special Elias Canetti Issue, pp. 177-195, qui: p. 178.

[15] Si noti che il volume che Kien presta a Therese – Die Hosen des Herrn von Bredow di Willibald Alexis – è un romanzo considerato dal sinologo di bassa qualità, quindi adatto a una donna dall’intelletto limitato.

[16] È interessante evidenziare che anche Weininger riflette su come l’idealizzazione femminile non sia altro che una fallace proiezione maschile, un medium per poter sfruttare la figura femminile a propria discrezione così da raggiungere determinati scopi personali: «Liebe zu einem Weibe ist nur möglich, wenn sich diese Liebe um die wirklichen Eigenschaften, die eigenen Wünsche und Interessen der Geliebten […] nicht bekümmert, sondern in schrankenloser Willkür an die Stelle der psychischen Realität des geliebten Menschen eine ganz andere Realität setzt. […] Man schwört auf die weibliche «Schamhaftigkeit», entzückt sich am weiblichen «Mitleid», interpretiert das Senken des Blickes beim Backfisch als ein eminent sittliches Phänomen, als daß man mit dieser Lüge die Möglichkeit preisgäbe, das Weib als Mittel zum Zweck der eigenen höheren Wallungen zu benützen». Otto Weininger, Geschlecht und Charakter – eine prinzipielle Untersuchung, p. 337.

[17] Elias Canetti, Die Blendung, Frankfurt am Main, Fischer Verlag, 2012, p. 60. Da qui in poi abbreviato nel testo: DB.

[18] Kristie A. Foell, Blind Reflections: Gender in Elias Canetti’s Die Blendung, Hamburg, Ariadne Verlag, 1994, p. 35.

[19] Gerhard Hofe, Peter Pfaff, Das Elend des Polyphem: Zum Thema der Subjektivität bei Thomas Bernhard, Peter Handke, W. Koeppen und Botho Strauß, Königstein im Taunus, Athenäum Verlag, 1980, p. 56.

[20] Secondo Gregor Hens la tematica del saggio non è casuale e rimanderebbe sin da subito alla velata misoginia del testo. Hens sostiene: «Der Erzähler […] begibt sich nach einer langen Phase von Isolation und Depression und nach vergeblichem Ringen um seine Studie über die “Antikörper in der Natur” was im Kontext der eindeutig männlichen Perspektive leicht als das Weibliche an sich zu entschlüsseln ist». Gregor Hens, Poetologie einer Dreiecksbeziehung Zu Thomas Bernhards Erzählung «Ja», in: «Colloquia Germanica» (2000), Vol. 33, n. 3, pp. 255-273, qui: pp. 263-264.

[21] Thomas Bernhard, Ja, Frankfurt am Main, Suhrkamp Verlag, 2004, p. 12. Da qui in poi abbreviato nel testo: J.

[22] Egli dichiara: «Jetzt war mir ihr Vorhandensein hinderlich, ich hatte das Gefühl, wieder arbeiten zu können, mich mit den Antikörpern beschäftigen zu können, wenn sie nicht da wäre» (J 56).

[23] Il narratore onnisciente paragona inoltre le attenzioni che Therese dedica al libro affidatole da Kien ad atteggiamenti materni: «Sie zog unterm Arm einen dicken Stoß von Papieren hervor, Packpapiere, er bemerkte sie erst jetzt. Umständlich suchte sie ein passendes aus und legte es dem Buche um, wie einem Kind ein Kleid». (DB 97). Il paragone tra il volume e un bambino risulta quantomai appropriato, poiché Kien la immagina esattamente come curatrice e madre della propria biblioteca.

[24] Kristie A. Foell, Blind Reflections: Gender in Elias Canettis Die Blendung, p. 34.

[25] Verena Ronge, Ist es ein Mann? Ist es eine Frau? Die (De)Konstruktion von Geschlechterbildern im Werk Thomas Bernhards, Wien, Böhlau Verlag, 2009, p. 71.

[26] Alfred Pfabigan, Thomas Bernhard: ein österreichisches Weltexperiment, Wien, Paul Zsolnay Verlag, 1999, p. 269.

[27] Claudia Liebrand, Jahrhundertproblem im Jahrhundertroman. Die “Frauenfrage” in Canettis «Die Blendung», in: «Thomas Mann Jahrbuch» (2001), Vol. 14, pp. 27-48, qui: p. 35.

[28] Ibidem.

[29] Gayle Rubin, The Traffic in women: Notes on the “Political Economy” of Sex, in: Rayna Reiter, (a cura di), Towards an Anthropology of Women, New York, Monthly Review Press, 1975, pp. 157-210, qui: p. 179-180.

[30] Thomas Bernhard, Das Kalkwerk, Frankfurt am Main, Suhrkamp Verlag, 2004, p. 228. Da qui in poi abbreviato nel testo: K.

[31] «Am Tage nach der Beerdigung begann sein Wonnemond. Ungestörter als bisher verfuhr er mit der Tochter nach Belieben». (DB 525) – si noti, tra l’altro, che il carattere equivoco di tale rapporto rispecchia la parentela che intercorre tra i Konrad, contemporaneamente coniugi e Halbgeschwister: «[…] nach Toblach zurückgehen hätte für ihn […] und in der Folge auch für seine Frau, in Wahrheit Konrads Halbschwester, nichts anderes als die totale mutwillige Existenzvernichtung noch dazu im Ausland bedeutet» (K 16).

[32] William Collins Donahue, The End of Modernism: Elias Canetti’s Auto-da-fé, p. 54.

[33] Manfred Mittermayer, Thomas Bernhard. Leben – Werk – Wirkung, Frankfurt am Main, Suhrkamp Verlag, 2006, p. 99.

[34] Walter Benjamin, Gesammelte Schriften, Band IV, Suhrkamp Verlag, Frankfurt am Main, 1972, p. 438.

[35] «Wo der Primitive ein Tabu hingesetzt hat, da fürchtet er eine Gefahr, und es ist nicht abzuweisen, daß sich in all diesen Vermeidungsvorschriften eine prinzipielle Scheu vor dem Weibe äußert. Vielleicht ist diese Scheu darin begründet, daß das Weib anders ist als der Mann, ewig unverständlich und geheimnisvoll, fremdartig und darum feindselig erscheint. Der Mann fürchtet, vom Weibe geschwächt, mit dessen Weiblichkeit angesteckt zu werden und sich dann untüchtig zu zeigen». Sigmund Freud, Studienausgabe: Sexualleben, Frankfurt am Main, Fischer Taschenbuch, 1969, p. 219.

[36] William Collins Donahue, The End of Modernism: Elias Canetti’s Auto-da-fé, p. 48.

[37] Northrop Frye, Anatomy of Criticism: Four Essays, Princeton, Princeton University Press, 1990, p. 230.

[38] La Fischerin viene introdotta nella narrazione attraverso queste parole: «Vor dem “Idealen Himmel” angelangt, gönnte er [Fischerle] seinem schwitzenden, prustenden, schlotternden Körper erst einige Ruhe und trat dann ein. […] Anwesend waren: der lange Kellner; […] ein blinder Invalide […]; eine alte Zeitungsverkäuferin, die man “die Fischerin” nannte, weil sie Fischerle ähnlich sah und ihn, was jeder wußte, ebenso heimlich wie unglücklich liebte» (DB 336).

[39] Il rifiuto di Fischerle della sua immagine speculare femminile – colpevole di possedere i suoi stessi tratti fisici, evidentemente ebrei – in favore di un’immaginaria donna ariana suggerisce la pertinenza delle vicende della Fischerin alla discussione sulla rappresentazione dell’antisemitismo in Die Blendung.

[40] William Collins Donahue, The End of Modernism: Elias Canetti’s Auto-da-fé, p. 51.

[41] Ibidem.

[42] Theresa Ludden, Hearing the Silences in Thomas Bernhard’s Ja: Difference, Narrative, and Lyotard’s Concept of the Differend, in: «German Life and Letters» 63 (2010), fasc. 10, p. 6-19, qui: p. 19.

[43] Ibidem.

[44] Johannes G. Pankau, Körper und Geist: Das Geschlechterverhältnis in Elias Canettis Roman «Die Blendung», p. 153.

[45] Konrad dichiara, infatti: «Sie sei immer gegen Sicking gewesen, habe Konrad zu Fro gesagt, immer gegen das Kalkwerk und also auch schon immer gegen ihn selbst, gegen seine Studie» (K 19).

[46] Manfred Mittermayer, Thomas Bernhard, p. 97.

[47] «[…] der Schweizer und seine Lebensgefährtin hatten eines jener Grundstücke hinter dem Friedhof kauft, welches schon über ein Jahrzehnt lang keinen Käufer gefunden hatte, weil es eine der ungünstigsten Lagen überhaupt hatte, die sich denken lassen» (J 28).

[48] «Das war dem Moritz als Besonderheit aufgefallen, daß der Schweizer bei dieser Besichtigung tat, was er wollte, ohne sich, so hatte es für Moritz den Anschein, um seine Begleiterin auch nur im geringsten zu kümmern, er hatte sie nicht ein einzigesmal etwas gefragt und auch nicht die entscheidende Frage an sie gestellt, ob er nun das Grundstück […] kaufen solle oder nicht» (J 102).

[49] Laura Sugamele, La narrazione dei corpi nell’edificazione «eurocentrica-androcentrica» coloniale: terra femminilizzata, reificazione e subalternità, in: «Altre Modernità – Rivista di studi letterari e culturali» (febbraio 2019), p. 73-86, qui: p. 78.