Maria Giovanna Campobasso

(Palermo)

«Pfleget den Fremdenverkehr!»
Karl Kraus e la propaganda d’incentivo al turismo*

[«Foster Tourism!» Karl Kraus
and the Propaganda to Promote Tourism
]

abstract. This study explores Karl Kraus’ case against ministerial incentives to promote tourism. Kraus covers the overlap between tourism and war propaganda, treating an ap­parently insignificant cultural phenomenon as a symptom of collective spiritual decay. As Kraus sees it, the governmental push to cultivate tourism serves as a diversion for Austri­ans amid the economic uncertainty brought on by the Great War. This essay examines instances of the theme in the Buchausgabe (1926) of the drama Die Letzten Tage der Menschheit, together with a selection of articles and glosses from Die Fackel (1899-1936).

Nell’introdurre l’«apocalissi absburgica» in Die Letzten Tage der Menschheit (1926)[1], Claudio Magris condensa i principi ispiratori della scrittura krau­siana nel rifiuto delle premesse politico-sociali, delle strutture mentali e verbali di una civiltà in declino[2]. Die Fackel (1899-1936)[3], rivista che Kraus fonda e redige sostanzialmente da solo fino all’anno della sua morte, è l’espressione di una lotta solitaria contro il pervertimento morale, politico e linguistico della società austriaca[4]. Continuo è lo sforzo di denunciare sul proprio periodico l’accecamento delle folle perpetrato dalla stampa filoab­sburgica: sulla Fackel gli attacchi sistematici contro i giornalisti prezzolati, superficiali e pretenziosi offrono allo scrittore l’occasione di dar sfogo ad una riflessione sullo stato catatonico dei suoi connazionali. Agli occhi di Kraus i giornali si fanno carico di una funzione che esige mezzi intellettuali e qualità morali di cui i giornalisti sono assolutamente privi[5]. In Die Letzten Tage der Menschheit, dramma mastodontico sull’orrore umano della Prima guerra mondiale, i giornalisti dominano la scena, coi nomi di Reporter, Re­dattore, Corrispondente, o nella forma allegorica della Iena. La manipola­zione dell’opinione pubblica è per Kraus prima di tutto il risultato del lavoro di piccoli scribacchini senza nome, a volte ignari del proprio ascendente sul pubblico[6]. Kraus accorda ben poca autonomia di giudizio all’opinione pub­blica, convinto che l’esercizio dell’immaginazione e della fantasia sia stato sostituito dalla lettura dei bollettini e degli articoli di giornale[7]. I periodici, a dir suo, accecano i cittadini, che sono ben felici di lasciarsi accecare. Si in­fiamma il patriottismo della popolazione, si predica la finalità etica della guerra, si professa la necessità del sacrificio per il Vaterland, si promette la ricompensa dell’eterna fama dell’eroe. La parola stampata relativizza la ve­rità, vendendo la strage come se fosse una parata. I lettori assorbono bugie, versioni edulcorate dei fatti, propugnate dai quotidiani, facendosene a loro volta promotori: così nel primo atto dei Letzte Tage der Menschheit[8] due Am­miratori della Reichspost[9] si felicitano per lo scoppio della guerra – «Endlich! Endlich!» –, riempiendosi la bocca delle parole di propaganda diffuse dai periodici. Gli averi, la tranquillità, non valgono certo quanto l’onore della patria, e il conflitto è catarsi di un popolo che combatte in nome di ideali più alti. «Kriege sind Prozesse der Läuterung und Reinigung, sind Saatfelder der Tugend und Erwecker der Helden. Jetzt sprechen die Waffen!». Ac­canto ai pesci piccoli dell’editoria Kraus piazza i corrispondenti, prima fra tutti Alice Schalek[10], che in tutta coscienza prendono il ruolo di aizzatori delle folle. A manovrare i fili sono i redattori, in particolare Moriz Bene­dikt[11], redattore capo della Neue Freie Presse, quotidiano di tendenza liberale, storico avversario della Fackel[12]. Nel suo giornale Kraus trascrive e com­menta estratti[13] dai periodici vicini al potere imperiale, in particolare proprio dalla Neue Freie Presse[14]. Obiettivo ultimo della battaglia mediatica di Kraus è denunciare il contenuto paradossale degli articoli a tema patriottico e smontarne la retorica[15]. Kraus seziona il proprio tempo, ne almanacca le contraddizioni, additandole alle coscienze anestetizzate.

È alla pressione mediatica che si deve in tempi di guerra la manipolazione della popolazione, gravata dall’incertezza per il futuro del paese, dall’inquie­tudine per la presa di potere del nemico, dall’angoscia per la crisi economica. Secondo Kraus il principio attivo di questa operazione è l’impiego massiccio di Wahlsprüche e Phrasen, quelle frasi fatte e quei motti falsificatori volti ad assoggettare l’opinione pubblica. La loro capacità diabolica di imprigionare la coscienza negli schemi ideologici del mito patriottico è oggetto di nume-rosissimi interventi, saggi e aforismi, nonché colonna portante degli scambi tra il Criticone[16] e l’Ottimista in Die Letzten Tage der Menschheit, l’opus magnum di Kraus concepito per un «Marstheater»[17]. Nel primo atto osserva laconico il Criticone, fedele fidanzato della lingua tedesca[18], come questa si sia scle­rotizzata in un repertorio di frasi fatte[19] non a prescindere dalla guerra ma specificamente a causa della guerra. Il linguaggio manipolatorio è responsa­bile di quel lavaggio di cervelli che consente ai ministeri di mandare in guerra uomini e ragazzi convinti di diventare eroi della patria. Nel secondo atto il Criticone, alter ego di Kraus, arriva ad accusare le frasi fatte di assassinio: «Warum sollte der Krieg Sie von Ihrer fixen Idee befreit haben?», si chiede l’Ottimista[20]. La guerra non ha fatto altro che confermare il potere distrut­tivo delle frasi fatte, risponde il Criticone; è con la loro capacità di appiattire il significato letterale, di manipolare il linguaggio caricandolo ideologica­mente che «Kirchenglocken werden in Kanonen verwandelt»[21].

La mastodontica produzione giornalistica di Kraus costituisce il fulcro della riflessione di Eberhard Sauermann[22], che indaga sul ruolo effettivo di giornalisti, pubblicisti e artisti nell’incentivo perverso alla Grande guerra in Austria. Lo studioso isola una serie di immagini propagandistiche reiterate in almanacchi, Jahrbücher e quotidiani, sia finanziati dal Kriegsarchiv, dal Kriegs­hilfsbüro e da ulteriori organi della Kriegsfürsorge[23], sia indipendenti[24]. Di Kraus si discutono in particolare le invettive contro il linguaggio falsificatore della cultura di massa e i continui attacchi all’apparato propagandistico ministe­riale. L’appello dei quotidiani a “durchhalten” si prefigge l’obiettivo pratico di sostenere la continuazione della Guerra fino alla vittoria dell’Impero. Con la spinta al sacrificio per Dio, per l’Imperatore, e per la Patria si affida alla propaganda il difficile compito di potenziare la capacità di sopportazione della popolazione e migliorare l’efficienza dei soldati al fronte. Facendo leva sulla crisi economica dei cittadini, l’eventuale rifioritura del turismo viene ingegnosamente presentata come fonte di guadagno per la popolazione. Il lavoro di sedimentazione ideologica portato avanti dall’autorevolezza della stampa si dispiega nell’identificazione tra turismo fiorente e altezza dell’im­pero Austriaco. Fine ultimo della propaganda ministeriale per l’incentivo del turismo era convincere il popolo di due assiomi: la fioritura del turismo è motivo d’onore per la patria e fonte di grande vanto agli occhi delle altre potenze europee; la crescita del turismo risulta inevitabilmente in ricchezza per il cittadino comune. Kraus denuncia come elevare il turismo a “hoheres Ideal” sia un tentativo di circuire i cittadini con la prospettiva del benessere. L’attaccamento all’idea del ritorno al turismo prolifico si fondava sulla grande prosperità portata dall’attività turistica nell’anteguerra, in coinci­denza con la cosiddetta era dell’Hotel-Schwindelei[25].

Per Alois Brusatti[26], due sono i fattori decisivi per la prosperità del set­tore all’inizio del secolo: il calo dei prezzi dei biglietti ferroviari e l’impera­tivo del viaggio verso la Sommerfrische per chiunque volesse far sfoggio di un certo status. La moda, dettata in primo luogo dagli aristocratici, era quella di trascorrere i mesi da maggio a ottobre lontani dalla città. Le famiglie pas­savano la giornata a Vienna, in giro per la città, per poi tornare di sera nel Land. Il numero crescente di visitatori aveva portato con sé grande ric­chezza per la capitale; il turismo assume presto un discreto peso nel bilancio dello Stato[27]. L’ospite diventa così una figura centrale nella cultura popolare austriaca[28]. Nel 1908 apre il Ministerium für öffentliche Arbeiten, tra i cui campi d’azione rientra quello dell’incentivo al turismo; il ministero lancia una serie di misure straordinarie, tra cui rientrano il sostegno economico alle organiz­zazioni private che contribuiscano alla crescita del turismo, incentivi all’apertura di nuove strutture turistiche, la protezione e la preservazione di luoghi tipici e bellezze naturali. Il budget stanziato è di 50.000 corone, a cui

 

Die Fackel, 1903, 140, p. 1
(Austrian Academy Corpus – Fackel Gate – http://corpus1.aac.ac.at/fackel/).

se ne aggiungono altre 40.000 per le pubblicità sulle testate estere[29]. L’idea fissa dell’incremento del turismo è secondo Kraus un’irrazionale esclusiva del suo paese: «Kein Staat Europas läßt sich wegen des Fremdenverkehrs so graue Haare wachsen wie Österreich»[30], sosteneva Kraus poco prima dello scoppio del conflitto.

Già nella sua produzione precedente alla guerra Kraus manifesta costan­temente una certa diffidenza nei confronti delle politiche volte ad attrarre i visitatori stranieri. Kraus non dubita che il turismo possa aver portato ric­chezza al paese in passato, ma reputa ridicolo il dispiego massiccio di forze ministeriali per convincere i cittadini che il flusso di turisti possa avere un qualche impatto sulle loro vite personali. Appare già in questa fase il fulcro di ogni futura asserzione contro le politiche di incentivo al turismo: questo viene spacciato per ideale ma non è altro che una maschera per solleticare l’avidità del cittadino austriaco. Una cinquantina tra articoli e trafiletti sul tema escono sulla Fackel tra il 1902 e il 1926. Il primo attacco coerente con­tro gli organi di controllo del turismo appare nel 1903, dove Kraus lamenta le politiche fallimentari di conoscenza del turismo all’estero[31]. Lo scrittore tratteggia a tinte fosche la situazione: l’Austria è incapace di vendersi come altro se non come meta turistica a buon mercato. Solo tedeschi, ungheresi e cechi si avvicinano al paese. Il Presseclub Concordia, un’associazione indi­pendente di cui facevano parte i corrispondenti esteri di giornali austriaci e i corrispondenti di testate estere di stanza in Austria, non riesce a far sentire la sua voce oltralpe. Il brand delle vacanze in Austria non sembra esportabile. L’indagine di Brusatti conferma come finanziamenti e pubblicità sui perio­dici esteri avevano accresciuto solo il numero di turisti tedeschi, cechi e un­gheresi, legati fin dal Romanticismo alla natura incontaminata d’Austria, ma si erano rivelati alquanto fallimentari in Inghilterra, Olanda e Francia[32]. Kraus fa notare che le guide turistiche inglesi non inseriscono la capitale tra le mete consigliate; Vienna, quando non viene dimenticata, è oggetto di scherno nei giornali esteri. «Nur in der Fremde hat man von dem Verein nichts erfahren; der Verein war da, aber die Fremden blieben aus. Und so man schließlich auf die Mitwirkung der Fremden bei der Hebung des Frem­denverkehrs verzichtet zu haben»[33]. Kraus puntualizza che il Presseclub Con­cordia ha individuato nelle continue critiche agli stranieri da parte della Neue Freie Presse il principale deterrente all’estero al turismo nell’Impero. Kraus ne scrive con estrema soddisfazione: già un anno prima sosteneva su Die Fackel[34] che gli strilli nel megafono della Neue Freie Presse contro quei barbari dei turisti che avevano reso Vienna una città devastata, senza spirito, ave­vano raggiunto il resto del continente. Già qui vediamo il germe di una delle grandi polemiche di Kraus sul tema del turismo: Vienna smania per i turisti ma odia i turisti, predica l’accoglienza dello straniero ma diffonde nella po­polazione una xenofobia radicale.

Lo scoppio della Prima guerra mondiale segna una battuta d’arresto per la floridità del turismo austriaco. La completa chiusura degli Imperi centrali porta naturalmente alla contrazione dell’attività turistica dei visitatori sto­rici[35]. I fattori interni che mettono in ginocchio l’industria turistica sono legati principalmente a problemi nei trasporti e negli approvvigionamenti. La maggior parte degli hotel e dei ristoranti viene convertita in alloggi per i feriti al fronte o in lazzaretti[36]. Per cercare di sanare la situazione viene isti­tuito poco dopo l’inizio della guerra un ente centralizzato per il turismo, il Bund Österreichischer Fremdenverkehrs-Verband, convertito nel 1916 nel Reichs­verband[37]. Per Kraus la situazione è estremamente comica. I versi satirici di Der Fremdenverkehr[38] offrono uno schizzo della situazione di crisi del turismo nella Kaiserstadt del 1917. Il lessico del Fremdenverkehr si allaccia a quello della sfera sessuale. Kraus fa uso del binomio città/prostituta per descrivere una Vienna disperatamente aggrappata al flusso dei turisti. Vindobona[39] ha ri­nunciato alla propria purezza per guadagni regolari derivati dal turismo, tra­mutandosi in una seduttrice che adesca chiunque si lasci adescare. La (ormai non più) vergine Vienna, alla partenza dei turisti in tempi di guerra, sta lì in piedi nei vicoli e si sente «von jedem Verkehr verlassen»; così «Die Fremden ließen sie schnöde im Stich – nur durch die Hoffnung allein geht der Strich». Kraus conclude: solo col ritorno della pace potrà rifiorire il turismo.

La severa burocrazia austriaca fa la sua parte nell’ostacolare lo sviluppo del turismo. Il tentativo congiunto degli organi ministeriali di regolamentare l’arrivo dei forestieri durante il conflitto porta a situazioni paradossali; chiunque desideri entrare nel paese in tempi di guerra deve sottoporre in­numerevoli scartoffie per vedersi convalidare la propria richiesta di sog­giorno. Kraus ironizza in Die Letzten Tage der Menschheit[40] sull’iter burocratico necessario per godere dell’aria fresca in Austria. L’Impiegato dell’Ufficio Municipale Viennese, che «[nimmt] unaufhörlich mit dem Zeigefinger der rechten Hand eine Bewegung vor, die jede Hoffnung abzuweisen scheint», riferisce al Richiedente che, per ottenere i permessi necessari per passare fino a quattro settimane in un bagno di cura estivo o in una spa nel 1917, questi deve adempiere ad un interminabile elenco di obblighi burocratici. La lista è così lunga, annuncia una nota di regia, che il Richiedente si dilegua a metà monologo, mentre l’Impiegato continua imperterrito a snocciolare norme per un’altra pagina intera. Secondo Kraus sono le stesse manovre di incentivo dell’industria turistica ad ostacolarne la crescita. Kraus dramma­tizza una realtà storica: l’Impiegato ribadisce che non è permesso richiedere provvigioni extra per i turisti[41]. Durante la Grande guerra peggiorano le dif­ficoltà che già nel 1909 affossavano ogni tentativo di incentivare il turismo, quando ancora «Wiens Sorge sei es nur, daß jene Fremden, deren es endlich teilhaft wird, nicht durch eine allzu ausgedehnte ärztliche Behandlung zu Einheimischen werden»[42]. L’Austria è semplicemente incapace di tenersi stretta gli stranieri.

Il conflitto crea le condizioni ideali per inasprire la xenofobia dilagante nel paese. Le campagne di sensibilizzazione al turismo si caricano ideologi­camente, oliando la preesistente polarizzazione tra Austriaci e stranieri. Nel 1917 l’esperto Josef Stradner indice una vera e propria crociata contro i forestierismi nel lessico del turismo. I termini di origine non tedesca anda­vano cancellati. Chiunque intendesse coltivare l’ideale del turismo non po­teva esimersi dal sostenere la patria proteggendo la purezza della lingua[43]. Come è possibile conciliare la xenofobia linguistica con un apparato propa­gandistico che predica l’incentivo alla cultura dello straniero? Per Kraus la risposta è semplice: non vi è alcuna possibilità di conciliazione, solo inaspri­mento della condizione di illogicità. Sul tema si sviluppano alcuni degli in­termezzi comici in Die Letzten Tage der Menschheit, in particolare in situazioni in cui la folla prende la parola. Nel primo atto della Buchausgabe leggiamo uno scambio conservato quasi integralmente nella Bühnenfassung[44]:

Fünfter: Oba oba oba wos treibts denn, habts denn net in der Zei­tung g’lesen, schauts her, da stehts (er zieht ein Zeitungsblatt hervor) “Der­artige Ausschreitungen des Patriatismus können in keener Weisee ge­duldeet werden und sind überdies geeigneet, den Fremdenverkehr zu schädigeen”. Wo soll sich denn da nacher ein Fremdenverkehr entwi­ckeln, wo denn, no olstern!

Sechster: Bravo! Recht hot er! Der Fremdenverkehr, wann mr eahm hebn wolln, das is schwer, das is net aso –

Siebenter: Halts Maul! Krieg is Krieg und wann einer amerikanisch daherredt oder türkisch oder so –

Achter: So is. Jetzt is Krieg und da gibts keine Würschtel! (Eine Dame mit leichtem Anflug von Schnurrbart ist aufgetreten.)

Die Menge: Ah do schauts her! Das kennt ma schon, ein verkleideter Spion! Varhaften! Einspirn stantape![45]

Provvedimenti di legge e bandi pubblici offrono a Kraus la possibilità di svelare i meccanismi di controllo ministeriale. L’assoggettamento dell’opi­nione pubblica si dispiegava in provvedimenti di sensibilizzazione a lungo termine come nel caso delle politiche scolastiche volte all’educazione alla cultura del turismo, risultato di sforzi congiunti tra vari ministeri. La mano­vra propagandistica si propone di alimentare lo spirito patriottico nei gio­vani, per renderli futuri patrioti. L’indottrinamento dei più piccoli è un mezzo di propaganda di grandissimo potenziale, grazie alla sua capacità di strutturalizzare la manipolazione ideologica della popolazione. Esempio di provvedimenti in questa direzione è il concorso a premi in denaro per Lese­stücke bandito dal Landesverband für Fremdenverkehr a Vienna e nella Bassa Austria con il sostegno del Ministerium für Kultus und Unterricht nel giugno 1912. Un anno dopo Kraus parafrasa con freddezza nella Fackel[46] il bando di concorso, che prometteva di inserire nell’antologia delle Volks- e Bürger­schulen i tre brani di lettura che riuscissero ad esporre nella forma più accat­tivante agli scolari il significato del turismo per la comunità, e che risultas­sero più adatti ad educare gli studenti di paese e di città all’ospitalità per lo straniero. Pfleget den Fremdenverkehr (Lesestücke über den Fremdenverkehr) (1913) presenta la classica struttura delle invettive krausiane scatenate dalla lettura di inserti controversi presi da altre testate: ad un’asettica esposizione dei fatti (citazione o parafrasi) segue una violenta dissezione dell’assurdità del con­tenuto del testo. A catturare l’interesse di Kraus è il terzo brano classifica­tosi, Pfleget den Fremdenverkehr[47], che dà il titolo all’articolo. Il tono si fa ir­ruento nel demolire non solo lo scarso valore estetico del testo, ma soprat­tutto la vuota retorica di cui si fa carico per insegnare le vocali:

Die wir heute unter dem Fluch, im Zeichen des Fremdenverkehrs zu stehen, vorzeitig altern, können uns manchmal noch vor der Wich­tigkeit des Hotelportiers in ein Logis der Erinnerung retten. Dann dringt, nicht greifbarer als ein Sonnenstrahl im Staub, ein Tanz von Stimmen, Farben und Gerüchen ein, ein toter Tag schlägt seine Augen auf, und wir ertappen uns beim Einsagen, beim Zuspätkommen, beim Nachsitzen. Wir memorieren Lesestücke, sie waren von Pfeffel, Hölty, Kopisch und vor allem von Hey, und ferne klingt es wie: Bei einem Wirte wundermild, und: Hinaus in die Ferne … Und dennoch, es galt nicht dem Fremdenverkehr. Was wird euch Kindern der Zeit nach dreißig Jahren durch den Traum ziehen? Das Bäumchen, das andere Blätter hat gewollt, wird längst zu Zeitungspapier verdorrt sein, aber eine Welle des Lebensfrühlings trägt euch die Mahnung zu: “Pfleget den Fremdenverkehr!” Und wisset ihr auch, wer der wackere Fremd­ling war? fragte der Lehrer. Wir wissen es, antworteten die Schüler. Es war Pierpont Morgan. Und nicht mehr hieß es: “Gebet den Armen!”, sondern: “Nehmet vom Reichen!” Und die Klasse sang:

A a a, der Fremde der ist da.
Die stieren Zeiten sind vergangen,
Der Fremdenverkehr hat angefangen,
A a a, der Fremde der ist da.
E e e, Euer Gnaden wissen eh.
Fesch das Zeugl, fesch die Madeln,
Gstellt vom Kopf bis zu die Waden,
E e e, Euer Gnaden wissen eh.
I i i, wir wurzen wie noch nie.
Seids net fad, ruckts aus mit die Maxen,
Reiß’n ma aus der Welt a Haxen,
I i i, wir wurzen wie noch nie.
O o o, wie sind die Wiener froh.
Mir werns euch schon einigeigen,
Laßts euch das Wiener Blut nur zeigen,
O o o, wie sind die Wiener froh.
U u u, nun hat die Seel’ a Ruh.
Wien ist und bleibt die Stadt der Lieder,
Bitte beehren uns bald wieder,
U u u, nun hat die Seel’ a Ruh.
[48]

Kraus riporta il testo integralmente. Che beneficio potrebbe mai portare agli studenti memorizzare un brano che promette il ritorno alla prosperità del turismo di inizio secolo? Sono composizioni come queste che innalzano il turismo a Ideal, sostiene Kraus, e testi come Pfleget den Fremdenverkehr so­stituiranno nel bagaglio culturale dei futuri cittadini viennesi ciò che per le generazioni precedenti erano i Lieder classici di Pfeffel, Hölty, Kopisch ed Hey. Gli adulti del domani non avranno alcuna familiarità con la letteratura, ma sapranno mandare a memoria Bei einem Wirte wundermild e Hinaus in die ferne[49]. Le composizioni patriottiche non sono per Kraus altro che specchi per le allodole, e gli austriaci sono ben felici di lasciarsi abbindolare. Pfleget den Fremdenverkehr è il simbolo della resa austriaca, poiché solo un popolo capace di inciampare dentro il suo idillio come un imbecille sopporta il fer­vore riformista statale. Un governo che imbocca gli scolari con le notifiche dell’Organizzazione nazionale per il Turismo a Vienna e nella bassa Austria, continua Kraus, vorrebbe allevare i bambini del paese instupidendoli come lavoratori ad ore.

Il breve articolo sarà punto di partenza per la stesura di due scene (I. 9 e V. 23) in Die Letzten Tage der Menschheit. Kraus immagina un’ora di lezione surreale in cui Pfleget den Fremdenverkehr viene effettivamente impiegato come materiale didattico. La parodia krausiana si costruisce sulla combinazione tra la corruzione del sistema scolastico a fini propagandistici e l’ossessione austriaca per il turismo, a cui si aggiunge l’educazione alla Kriegskultur e all’odio per lo straniero. Kraus continua la denuncia della pervasività di un cancro ideologico che si spinge fino a coinvolgere dei bambini nelle politi­che turistiche: ognuno deve portare il suo «Scherflein zum Vaterlande», so­stiene il maestro, veicolo del patriottismo governativo. L’insegnante invita gli scolaretti a concentrarsi sul turismo, di modo che nei loro cuori ne cresca forte il delicato seme, piantato grazie ai provvedimenti dell’«hochlöblicher Landesschulrat» e del «löblicher Bezirksschulrat»[50]. Questo delicato germo-glio deve essere protetto dal ferreo passo della guerra; il genitore assennato si premuri dunque di procurare giocattoli che educhino i patrioti del futuro alla cultura della guerra. I piccoli scolari rappresentano l’opinione pubblica del domani. La denuncia esplicitata sulla Fackel della pervasività intrasociale della propaganda scolastica trova in questa scena la sua controparte: i co­gnomi degli studenti, spesso “tedeschizzati”, mostrano una classe multiet­nica, riflesso di una popolazione percorsa dalle tensioni tra diverse etnie all’interno dell’Impero. Kraus designa gli scolari nelle indicazioni di regia esclusivamente come «der Knabe»: l’identità dei ragazzi è irrilevante per il lettore, a cui è richiesto di tenere a mente solo l’età dei personaggi che ripe­tono i Wahlsprüche della propaganda senza coglierne il senso. Nel suo invito a coltivare il turismo, il maestro Zehetbauer ricorre a una serie di parole chiave della propaganda patriottica: l’uso di «durchhalten», «große Zeit», «höhere Idealen», «ein Scherflein zum Vaterlande beitragen», «es ist unsere Pflicht», «auf dem einmal betretenen Wege unerschrocken fortfahren», «sei­nen Mann stellen»[51], esemplifica il legame tra cultura della guerra e l’ideolo­gia del turismo.

Kraus esplicita il debito con la riflessione del 1913 disseminando la scena di riferimenti alle stesse composizioni di propaganda contro le quali si era scagliato sulla Fackel. Durante le interrogazioni il maestro ordina ai ragazzi di identificare gli autori di Bei einem Wirte wundermild e Hinaus in die Ferne; tra i titoli menzionati compare Ein Goldstrom di Melk Alexander Ohm-Janu­schovski, vincitore della famosa competizione aspramente criticata sulla Fackel. Nell’attacco contro la produzione culturale asservita del proprio tempo Kraus innesta la polemica contro l’Aufhebung des Fremdenverkehrs. Il maestro concede ai bambini di non interrogare su Hassgesang gegen England»[52], invitandoli piuttosto a prepararsi a rispondere alle domande circa quegli Ideali su cui «die große Zeit» impongono di riflettere, il turismo e l’ospitalità per lo straniero. Il maestro esorta poi i bambini a recitare «das alte Lied» imparato in tempi di pace. Sul fraintendimento di “alt” si impernia l’amara comicità degli ultimi versi: l’aggettivo richiama alla mente del lettore[53] i Lie­der classici, ma i bambini rispondono solo nominando Bei einem Wirte wun­dermild e Hinaus in die Ferne[54]. Kraus mette così in scena quell’inaridimento culturale profetizzato in Pfleget den Fremdenverkehr (Lesestücke über den Fremden­verkehr). Il maestro si riferisce infatti a Pfleget den Fremdenverkehr, che tutti i personaggi cantano in coro a conclusione della scena. La critica esplicita sulla Fackel al testo di Else John non trova qui alcun corrispondente dida­scalico. Il paratesto si rende inutile davanti alla forza della citazione, che per Kraus si fa strumento di accusa del contenuto della citazione stessa: lo scrit­tore aveva il potere di condannare gli uomini con le loro stesse parole, dirà Canetti[55]. La visione distorta della realtà del maestro Zehetbauer si fa evi­dente nel contrasto tra i ciechi incitamenti a “durchhalten e l’incapacità dei ragazzi di distinguere tra significato letterale e figurato. Agli studenti manca quella familiarità con la realtà del mondo per decifrare il significato traslato delle frasi fatte[56]. Al maestro, al contrario, non riesce di esprimersi esulando dal campo lessicale della guerra. Uno studente che chiede banalmente di usare il bagno viene aggredito verbalmente dal maestro, che legge nelle sue parole il desiderio di lasciare l’Austria. La comicità della scena si costruisce interamente sulla polisemia delle esclamazioni dei personaggi. Il bambino deve «hinaus», ma il maestro gli dice di aspettare fino a quando sarà un po’ più maturo. «Ich habe Not», insiste il ragazzo: Zehetbauer lo incita ad aspet­tare tempi migliori, perché «das Vaterland ist in Not, nimm dir ein Beispiel, jetzt heißt es durchhalten»[57].

Se i bambini dovessero dimostrare un certo profitto scolastico, continua il maestro, riceveranno il permesso di piantare un chiodo nel Wehrmann in Eisen, un monumento al valore dei caduti, delle vedove e degli orfani di guerra[58]. Ai cittadini di Vienna si chiedeva di sostenere economicamente i soldati al fronte con una donazione, consentendo in cambio di infilare un chiodo nel monumento. Per il maestro, il Cavaliere non è solo un simbolo, bensì un’attrazione turistica di cui «eure Kinder und Kindeskinder erzählen werden»[59]. Eppure, i ragazzi preferiscono lo Stock im Eisen, un tronco d’al­bero dove i giovani apprendisti dovevano conficcare un chiodo al loro ar­rivo a Vienna[60]. Kraus tocca nella scena uno dei tasselli della sua polemica anti-turistica, il ruolo da protagonista affidato a nuovi monumenti. Ai lettori della Fackel la sua avversione per le attrazioni turistiche era cosa nota[61]. Nel 1908, non certo cieco davanti al pregio artistico delle statue equestri, Kraus si oppone piuttosto alla loro proliferazione:

Aber ich glaube, daß die Fülle von Reiterstandbildern, durch die sich unser armes Dasein hindurchwinden muß, uns in unserer Entwick­lung dermaßen hemmt, daß wir schlechterdings dazu unfähig gemacht werden, Reiterstandbilder zu schaffen. […] Es gibt deren so viele, daß man sich ganz aufs Sehen verlegt und das Schaffen verlernt. Die Kunst dient dazu, uns die Augen auszuwischen. Wenns auf der Welt­bühne nicht klappt, fällt das Orchester ein.[62]

Il quinto atto si apre con l’annuncio della resa della Bulgaria nel settem­bre 1918: la guerra è agli sgoccioli. Kraus inserisce qui una breve scena a continuazione della I. 9, portando all’estremo la paradossalità dell’uso di Pfleget den Fremdenverkehr come materiale didattico. La scena V. 23, assente nella Bühnenfassung, è ambientata ancora una volta nella classe del maestro Zehetbauer; tra i banchi vuoti siedono sei scolari superstiti, vestiti di carta[63]. Kraus ripropone l’espediente narrativo dell’incomunicabilità tra il maestro ed i ragazzi, che in questa scena prendono gli incitamenti patriottici di Ze­hetbauer per minacce. I bambini soffrono di fame, sete e freddo e chiedono solo la pace. Il piccolo Sukfüll, che nella scena I. 9 aveva indovinato l’«altes lied», desidera solo il ritorno dei forestieri: suo padre non vuole più «durch­halten», poiché «es wär schon höchste Zeit, daß einmal die Fremden kom­men!»[64]. La frecciatina è diretta a Karl Sukfüll albergatore presidente onora­rio della Vereinigung der österreichisch-ungarischen Hotelbesitzer, spesso preso di mira sulla Fackel per via dei suoi forti legami col Landesverband für Fremden­verkehr[65]: neppure il peggior speculatore tra gli albergatori, massimo colpe­vole dell’ossessione patriottica per il turismo[66], ha da trarre alcun vantaggio dal conflitto. La classe reagisce alla preghiera del piccolo Sukfüll urlando illogicamente: «Ja, pfleget den Fremdenverkehr!». Kraus drammatizza la parte finale del proprio pronostico del 1913: non solo ai bambini si inse­gneranno esclusivamente componimenti patriottici e nessun Lied classico, ma questi ricorderanno solo e soltanto le composizioni di incentivo al turi­smo. Il maestro ordina di intonare ancora una volta l’“altes Lied” imparato in tempo di pace, e la scena si conclude con la prima strofa di Pfleget den Fremdenverkehr.

Quali attrazioni potrà offrire l’Austria ai turisti dopo la guerra, o meglio, al posto delle attrazioni distrutte dalla guerra? Nella scena immediatamente seguente[67] risponde a questa domanda un Funzionario dell’Ente Nazionale per il Turismo. Questi suggerisce i territori alpini, «mit ihren hervorragen­den Kriegserinnerungen». Kraus prevede quindi una massiccia capitalizza­zione sugli orrori di guerra. La visita dei luoghi di sepoltura degli eroi di guerra non potrà che attrarre un flusso turistico pieno di vitalità:

Der Redakteur: Welche Art Kriegserinnerungen wäre diesbezüg­lich ins Auge gefaßt?

Der Funktionär: Wir geben uns der Hoffnung hin, daß der pietät­volle Besuch der Heldengräber und Soldatenfriedhöfe eine lebhafte Verkehrsbewegung zur Folge haben wird. Es handelt sich ja darum, unser Haus wiederum zu bestellen. Und wir appellieren gerade in die­sem Punkte an die verständnisvolle Mitarbeit der Presse, da es unsere Aufgabe ist, jeder Epoche die Attraktionen abzugewinnen, die sie in sich selbst bietet, und die Gräber der Gefallenen wie geschaffen er­scheinen, die Hebung des Fremdenverkehrs erhoffen zu lassen.[68]

La scena è una rielaborazione di un brevissimo trafiletto uscito sulla Fackel nel 1918 con il titolo Eine prinzipielle Erklärung[69]. Kraus commenta una serie di dichiarazioni del Segretario generale del Landesverband für Frem­denverkehr circa le prospettive del turismo dopo la guerra. Il comunicato ri-portava la delibera di proporre i territori alpini come meta turistica per i pochi francesi e belgi in arrivo verso l’Austria. Kraus inserisce nell’articolo il facsimile del comunicato, in cui il segretario si esprime con le stesse parole che Kraus aveva messo in bocca al Funzionario:

[….] Außerdem werden die Alpenländer mit ihren hervorragenden Kriegserinnerungen einen Anziehungspunkt des mitteleuropäischen Reisepublikums bilden, wie schließlich auch der pietätsvolle Besuch der Heldengräber und Soldatenfriedhöfe eine lebhafte Verkehrsbewe­gung zur Folge haben wird.[70]

Kraus sentenzia: finché avrà respiro, non lascerà che la tomba di nessun amico si trasformi in un motivo per accalappiare denaro tedesco. In caso contrario, nessuno potrà trattenerlo dal lasciare l’Austria. La prospettiva delle gite turistiche alla volta di campi di battaglia e cimiteri militari resta estremamente disturbante per Kraus: nella scena V. 55[71] una nota di regia segnala sullo sfondo: «Ein Schlachtfeld […]. Die Touristen zerstreuen sich in Gruppen, photographieren [sic] sich gegenseitig in heroischen Stellungen, parodieren Feuersalven, lachen und stoßen Schreie aus. Einer hat einen Schädel gefunden, steckt ihn auf das Ende seines Spazierstockes und bringt ihn mit triumphierendem Gesicht»[72]. La colpa della degenerazione morale che consente tali scempi è della passività del popolo: nella sua ultima appa­rizione[73] il Criticone si chiede cosa diranno gli austriaci ai posteri increduli davanti alla realtà storica della loro silenziosa accettazione dell’orrore, della trasformazione delle proprie tombe in monumenti per il piacere dei turisti. Nel 1917 si legge sulla Fackel: gli austriaci non sono altro che una «Hunnen­horde […] die an der Verwandlung von Lebenswerten in Sehenswürdigkei­ten schuld ist»[74].

Sarà proprio la pubblicità di una gita su un campo di battaglia ad incen­diare Kraus nel 1921: sulla Fackel esce l’articolo Reklamefahrten zur Hölle[75], uno dei testi di cui dava più volentieri lettura pubblica[76], attirando quelle grandi folle di cui dà notizie un Canetti[77] entusiasta. Kraus inserisce inte­gralmente nella Fackel il facsimile di un annuncio su rivista svizzera, le Basler Nachrichten, che pubblicizza la visita guidata al campo di battaglia di Verdun. Nel suo studio su Reklamefahrten zur Hölle, Jens Malte Fischer osserva come la pubblicazione dell’annuncio su un giornale svizzero circa un campo fran­cese dispensi Kraus dal mantenere la promessa fatta sulla Fackel di lasciare il paese nel caso si fossero davvero organizzate gite alla volta di campi di battaglia[78]. A commento dell’articolo Kraus disseziona l’inserto mettendo in luce l’assurdità di una gita alla volta del luogo di una catastrofe. Nel prezzo dell’escursione sul campo di battaglia per eccellenza, è inclusa la visita di cimiteri, di aree devastate dalle granate nonché di biglietti del treno, giornali, pernottamento e pasti. Fischer osserva come Kraus, nell’elencare i servizi offerti rivolgendosi direttamente al lettore, faccia un uso satirico del linguag­gio di grande efficacia, smontando il potere retorico dell’anafora[79]. Kraus torna a denunciare come la strumentalizzazione dell’Heldentod[80] sia diventata la colonna portante della follia del turismo, insieme all’avidità della popola­zione: non solo gli austriaci, ma anche gli svizzeri mancano di ogni ritegno, anche per la morte[81]. Il «Valutenbrei, der sich Menschheit nennt» ha perso ogni dignità, al punto di essere diventato incapace di provare a mentire sulla propria natura[82]. Complici degli organizzatori, trafficoni senza scrupoli, sono i «Preßpiraten», che si prendono gioco della morte lucrandoci su, con­sigliando pacatamente una gita all’inferno come vacanza di Primavera[83]. Per Kraus la stampa è riuscita con successo a desensibilizzare il lettore nei con­fronti dello scandalo politico, dell’orrore della guerra. Si è messo pian piano in moto un processo di normalizzazione, ed il lettore si trova a sfogliare la Neue Freie Presse senza alcuna sorpresa davanti ad annunci commerciali che usano l’immagine degli eroi della patria per vendere i prodotti più improba­bili.

La fine della guerra strangola l’economia austriaca. Le spinte irredentiste delle diverse etnie portano alla dissoluzione dell’Impero austro-ungarico. Questo implica per l’Austria la perdita di molte delle sue località turistiche più ambite, prime tra tutte il Sud Tirolo, Karlsbad e Marienbad[84]. Il numero già bassissimo di turisti diretti alla volta di un’Austria ormai minuscola rag­giunge i suoi minimi storici. Le ferrovie, chiave di volta del successo del turismo austriaco del passato, giacciono in stato pietoso. Gli hotel convertiti in lazzaretti versano in condizioni pessime[85]. Un prestito salatissimo con­sente alle casse statali di tornare ad elargire incentivi ad attività turistiche solo nel 1920. Nel 1926, il segretario del Gremium der Wiener Kaufmannschaft annuncia pubblicamente la propria intenzione di istituire nelle scuole delle giornate dedicate al turismo. Nell’annuncio Kraus riconosce lo stesso spi­rito che aveva animato il bando del 1912, pubblicando il giorno successivo il trafiletto Pfleget den Fremdenverkehr (Fremdenverkehrsförderung durch Schulkinder) sulla Fackel[86]. L’iniziativa si prefigge ancora una volta l’obiettivo di educare i bambini all’accoglienza degli stranieri. Per Kraus c’è dell’amara ironia nel vedere le sue previsioni realizzate; riprendendo una serie di elementi toccati nell’articolo del 1912 e in Die Letzten Tage der Menschheit, scrive:

Ich freue mich immer, wenn meine Satire, die ich noch gekannt habe, wie sie so klein war, zur Wirklichkeit heranwächst. Es könnte doch keine Absurdität geben, die dieses absurde Land auf meine Weisung nicht zu liefern bereit wäre. Ja, die Förderung des Fremdenverkehrs, auf “die aus Anlaß dieser Tage” die Lehrpersonen die Schulkinder aufmerksam machen sollen, ist im Interesse des Wohlstandes jedes einzelnen, also auch in letzter Linie der Lage der Schulkinder, in der sie sind, ihn zu fördern. In erster Linie aber wird sie zur Verhinderung der deutschen Sprache beitragen, damit die Kleinen, wenn sie den Fremdenverkehr gelernt haben und dereinst ins Leben hinaustreten, im Fremdenverkehrskomitee sitzen und auch so schöne Beschlüsse fassen können.[87]

Chiaramente per Kraus si tratta di una manovra politica. Cosa dovreb­bero mai fare gli studenti per attirare gli stranieri? Spingerli forse a piantare un chiodo nello Stock im Eisen e raccontare la leggenda di Herthasee? I turisti fuggirebbero a gambe levate. Kraus sentenzia: «Man muß es einmal dem von einer fixen Idee paranoisch besessenem Österreicher sagen: die Frem­den kommen deshalb so spärlich nach Österreich, weil sie hier auf Schritt und Tritt von den Bestrebungen zur Hebung des Fremdenverkehrs beläs­tigt werden und weil ihnen halt gar so wenig außer dieser Zerstreuung ge­boten wird»[88].

Zur Aufhebung des Fremdenverkehrs (1926)[89] è in esplicita continuità con gli altri contributi in obiezione alla «Chimäre» dell’incremento del turismo. Kraus riassume qui le posizioni portate avanti negli ultimi 20 anni: le politi­che di incremento del turismo tra le due guerre persistono nel loro tentativo di trasfigurare la crescita del turismo in un ideale a cui puntare in onore della patria. Kraus identifica la «ausschließliche Konzentrierung des Wiener Ge­dankenlebens auf dieses Ideal» con una delle cause della «Senkung des geis­tigen Niveaus» fino al «Nullpunkt». Il comportamento amichevole del citta­dino viennese nei confronti del turista deriva sempre dalla convinzione che un afflusso incrementato di turismo possa avere un rapido effetto benefico sulla situazione economica del paese. I viennesi restano aggrappati al desi­derio dell’influsso salvifico degli stranieri, perché ancora nel 1926 «was der Skarabäus den Ägyptern, das bedeutet für die Österreichischer der Fremde»[90].

Con questo studio si è inteso dimostrare come anche su questioni secon­darie come il turismo Kraus tendesse a orientare la discussione contro i suoi bersagli preferiti: la decadenza del linguaggio, il potere distruttivo della stampa e la passività degli austriaci. Smontare l’Ideal dell’Aufhebung des Frem­denverkehrs significa per Kraus affrontare altre questioni spinose, quali il de­clino del sistema scolastico, l’idealizzazione della morte eroica, la durezza della burocrazia, la noncuranza del lettore medio e l’artificio della scrittura giornalistica, l’asservimento della letteratura alla propaganda di guerra, la politicizzazione della lingua tedesca, la xenofobia dilagante, l’assenza di etica della mutualità. Le obiezioni di Kraus nel tempo restano coerenti. Nello sforzo di evidenziare le criticità delle politiche di incremento del turismo, lo scrittore non ne mette in dubbio l’efficacia sul piano economico; le sue obiezioni si muovono piuttosto contro il bombardamento mediatico sull’in­centivo al turismo, riflesso di un apparato ideologico che mira a sfruttare le condizioni difficili in cui versa la gente comune nel malcelato tentativo di rimpolpare le casse dello stato.

Bibliografia

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Annuncio di lettura pubblica di brani dalla Fackel, tra cui Pfleget den Fremdenverkehr
(Die Fackel, 1913, 372/373, p. iv)
(Austrian Academy Corpus - Fackel Gate - http://corpus1.aac.ac.at/fackel/).



* Questo lavoro è nato nell’ambito del soggiorno di ricerca (2017) presso il Diparti­mento di Scienze Sociali dell’Università di Lubiana, finanziato dal Ministero dell’Educa­zione Sloveno, l’ente CMEPIUS e il Ministero degli Affari Esteri italiano. Ringrazio il re­sponsabile dell’Istituzione Mitja Velikonja.

[1] D’ora in avanti si indicherà la scena di riferimento riportando numero dell’atto in numeri romani o Vw per Vorwort, Vs per Vorspiel e E per Epilog, numero della scena in numeri arabi, numero del volume e della pagina dell’edizione del 1964, Die letzten Tage der Menschheit: Tragödie in fünf Akten mit Vorspiel und Epilog, Teil I und Teil II, dtv, München. Il testo segue la cosiddetta Buchausgabe (1926). Lo stesso sistema è adottato nei riferimenti alla Bühnenfassung in un unico volume: Karl Kraus, 2005, Die Letzten Tage der Menschheit. Bühnen­fassung des Autors, Suhrkamp, Frankfurt am Main.

[2] Claudio Magris, 1996, “Karl Kraus e l’apocalissi absburgica”, in Il mito absburgico nella letteratura austriaca moderna, pp. 256-261, qui p. 257, Einaudi, Torino.

[3] Da qui in poi F, seguita da anno di pubblicazione, numero e pagina. L’Österreichische Akademie der Wissenschaften ha curato la digitalizzazione della rivista, consultabile gratuita­mente previa registrazione: http://corpus1.aac.ac.at/fackel/. [20 marzo 2018]. L’interfac­cia è in lingua inglese.

[4] Maurizio Cau, 2008, “Illuminare un paese in cui il sole non sorge mai”, in Politica e diritto. Karl Kraus e la crisi della civiltà, pp. 15-28, qui p. 19, Il Mulino, Bologna.

[5] Bouveresse Jacques, 2007, “La presse et l’opinion publique”, in Satire & prophétie: les voix de Karl Kraus, pp. 34-38, qui p. 37, Marseille, Agone.

[6] János Szabó, 1992, “Kraus und der Weltkrieg (1914-1918)”, in Untergehende Monarchie und Satire. Zum Lebenswerk von Karl Kraus, pp. 75-92, qui p. 88, Akadémiai Kiadó, Budapest.

[7] Kraus dedica un trafiletto carico di ironia alla consuetudine di educare gli scolari alla lettura dei periodici a Danzica, ai tempi parte della Prussia, Die Kinder der Zeit [Die Zeitung in der Schule] (F, 1912, 354-356, p. 68).

[8] I. 1, vol. I, p. 50.

[9] Quotidiano indipendente cristiano, fondato a Vienna nel 1894. Cfr. Agnes Pistorius, 2011, «Kolossal Montiert», Ein Lexikon zu Karl Kraus «Die Letzten Tage der Menschheit», p. 397, Ibera Verlag / European University Press, Wien.

[10] Alice Schalek era corrispondente di guerra e poi redattrice della Neue Freie Presse. Era l’unica corrispondente donna dal fronte tra il 1914 e il 1928 (Ernesto Braun & Mario Car­pitella, 1996, “Indice dei nomi”, in Kraus, Karl, Gli Ultimi Giorni dell’Umanità, p. 739, Adelphi Edizioni, Milano). Spesso bersagliata sulla Fackel, Kraus inserisce la Schalek anche tra i personaggi dei Letzte Tage der Menschheit; per una panoramica sulle sue apparizioni cfr. Agnes Pistorius, «Kolossal Montiert», Ein Lexikon zu Karl Kraus «Die Letzten Tage der Menschheit», cit., pp. 421-424. Sull’animosità tra i due, cfr. il tentativo di evidenziare l’eccessiva ostilità da parte di Kraus in Elizabeth Klaus, 2008, “Rhetoriken über Krieg: Karl Kraus gegen Alice Schalek”, in Feministische Studien, vol. 26, n. 1, pp. 65-82.

[11] Szabò identifica Benedikt nel Signore delle Iene (E, vol. 2, pp. 273-308). Cfr. János Szabó, “Kraus und der Weltkrieg (1914-1918)”, cit., p. 87.

[12] Ivi, p. 89.

[13] «[…] La Fackel è anzi in fin dei conti un immenso, parossistico collage, un montage che vive delle rovine di un universo linguistico ormai in decomposizione. Non è difficile immaginare con quale ghigno sadico Kraus ritagliasse le sue citazioni dai giornali annien­tandone così la seppur fittizia compattezza e coerenza. Un lavoro di forbici che fa della negazione e della decontestualizzazione il principio creativo dell’arte moderna, come avrebbero teorizzato Adorno e Benjamin qualche anno più tardi» (Michele Cometa, 1999, “Cronache dall’apocalisse. Karl Kraus e il Demonico”, in Il demone della redenzione. Mistica e messianismo nella cultura tedesca da Hebbel a Lukàcs, pp. 85-96, qui p. 90, Aletheia, Firenze).

[14] Quotidiano viennese di tendenza liberale, fondato nel 1864, uscito fino al 1938. Espressione dell’alta borghesia, era diretto da Moriz Benedikt durante la stesura dei Letzte Tage der Menschheit (Ernesto Braun & Mario Carpitella, “Indice dei nomi”, cit., p. 731; Agnes Pistorius, «Kolossal Montiert», Ein Lexikon zu Karl Kraus «Die Letzten Tage der Menschheit», cit., p. 342). L’attività pubblicistica di Kraus era iniziata proprio collaborando con la Neue Freie Presse (Maurizio Cau, “Illuminare un paese in cui il sole non sorge mai”, cit., p. 17).

[15] Di citazioni e facsimile riportati su Die Fackel Kraus fa menzione anche in Die Letzten Tage der Menschheit durante uno scambio tra il Criticone e l’Ottimista, suo avversario-spalla. Dopo aver difeso per cinque atti il ruolo dell’Impero nel promuovere la necessità di gloriosi sacrifici per l’onore della patria, anche l’Ottimista deve arrendersi davanti all’evidente stru­mentalizzazione del patriottismo a scopo di lucro. Nella V.44 (vol. II, p. 209) il Criticone mostra al suo interlocutore sconcertato una serie di ritagli di giornale che trattano il tema della morte eroica in nome della patria romanticizzata per fini commerciali: ai venditori ambulanti si rivolge un annuncio di messa in commercio dell’imitazione di manifesti pa­triottici recanti la scritta «Er starb den Heldentod fürs Vaterland», perfetti per decorare i salotti di coloro che hanno perso un caro «auf dem Felde der Ehre». L’Ottimista non sop­porta la vista dell’inserto, chiedendo speranzoso al Criticone se quello non fosse forse uno scritto parodico del suo giornale.

[16] I dialoghi tra l’Ottimista e il Criticone vengono sostanzialmente cassati nella Bühnen­fassung (1928); Kraus scrive nella F, 1930, 834-837, p. 20, che la funzione del Criticone è stata quasi interamente sacrificata per fini pratici. Il personaggio appare solo tre volte in questa versione, libero dall’Ottimista, lo «Stichwortbringer», il cui spirito rimane veicolato nei dialoghi tra l’Abbonato ed il Patriota. Per un’analisi più approfondita cfr. Eckart Früh, 2005, “Nachwort des Herausgebers”, in Kraus, Karl, Die Letzten Tage der Menschheit. Bühnen­fassung des Autors, pp. 225-268, qui 231, Suhrkamp, Frankfurt am Main.

[17] Vw, vol. I, p. 5.

[18] I. 29, vol. I, p. 152.

[19] Secondo il Criticone la stessa operazione è stata un grande successo anche in Ger­mania: anzi, «kein Volk lebt entfernter von seiner Sprache, also von der Quelle seines Le­bens, als die Deutschen» (I. 29, vol I, p. 151). Con un gioco di parole in riferimento all’abu­sato invito a tener duro e alla retorica dell’orgoglio per la morte eroica dei figli della patria, l’Alienato berlinese profetizza nel quarto atto che «der Wahnsinn des Durchhaltens und der elende Stolz auf die Verluste der Andern […] wie […] die Begeisterung für den Hel­dentod ihrer Sohne – dass dieser perverse Geisteszustand einer Gesellschaft, die in einer organisierten Glorie atmet und sich von Selbstbetrug nährt, ein verkrüppeltes Deutschland hinterlassen wird» (IV.7, vol. II, p. 29).

[20] II. 10, vol. I, p. 125.

[21] Ibidem.

[22] Eberhard Sauermann, 2000, Literarische Kriegsfürsorge. Österreichische Dichter und Publizis­ten im Ersten Weltkrieg, Böhlau, Wien/ Köln / Weimar.

[23] Nell’Austria della Grande guerra creare l’illusione di sicurezza e unità era tra i compiti dei due ministeri dedicati alla Kriegsfürsorge, il Kriegsministerium (Kriegsfürsorgeamt) e l’Innenmi­nisterium (Kriegshilfsbüro) (ivi, p. 10).

[24] Ivi, rispettivamente pp. 127-218 e pp. 218-291.

[25] Punto di riferimento sulla storia del turismo austriaco è il lavoro di Alois Brusatti, 1984, 100 Jahre österreichischer Fremdenverkehr. Historische Entwicklung 1884-1984, Republik Ös­terreich, Bundesministerium für Handel, Gewerbe und Industrie, Wien, che ne traccia le tappe fondamentali a partire dal 1884. Brusatti dedica molto spazio alle premesse del boom di inizio Novecento. Col Congresso di Vienna nel settembre 1814 nasce il turismo nella Kaiserstadt. In Austria si sviluppa la cultura dei bagni termali, che attraggono giramondo alla ricerca di cure e ristoro. Il vero magnete turistico è il Salzkammergut, alla cui fama contri­buiscono giornalisti e scrittori (pp. 15-20). Durante il Biedermeier la borghesia soprattutto tedesca, che non può permettersi soggiorni eleganti in giro per l’Europa, scopre nell’Austria un’alternativa più avvicinabile. Nasce così quell’Ausflugtourismus che diventa presto turismo di massa, all’insegna di un’idea di ritorno alla natura incontaminata. Grazie alla costruzione delle ferrovie si creano le condizioni ideali per la crescita del turismo. Se nel 1871 la decina di hotel presenti sul territorio poteva alloggiare solo milionari, nobili e intellettuali di grido, la Grande Esposizione del 1873 rende necessaria la costruzione di nuove strutture. Le pra­tiche edilizie mostrano subito i segni della speculazione: è l’epoca dell’Hotel-Schwindelei (pp. 26-29).

[26] Ivi, p. 82.

[27] I profitti derivanti dall’attività turistica passano dai 78.000.000 di corone del 1908 ai 693.000.000 di corone nel 1911 (ivi, p. 86).

[28] Ibidem.

[29] Ivi, pp. 92-93.

[30] F, 1913, 372, pp. 16-18.

[31] F, 1903, 140, pp. 1-3.

[32] Alois Brusatti, 100 Jahre österreichischer Fremdenverkehr. Historische Entwicklung 1884-1984, cit., p. 83.

[33] F, 1903, 140, p. 1.

[34] F, 1902, 111, pp. 26-28.

[35] Per una stima del flusso di turisti nel 1914, sia stranieri che austriaci, Alois Brusatti, 100 Jahre österreichischer Fremdenverkehr. Historische Entwicklung 1884-1984, cit., pp. 86-87.

[36] Brusatti (ivi, p. 99) suggerisce la lettura di 3. November 1918 di Franz Theodor Czokor per uno schizzo della quotidianità nei lazzaretti.

[37] Ibidem.

[38] F, 1917, 472-473, p. 12.

[39] Vindobona era il nome generico dato ai campi militari romani situati nel territorio dell’odierna Vienna.

[40] IV. 17, vol. II, p. 43.

[41] Alois Brusatti, 100 Jahre österreichischer Fremdenverkehr. Historische Entwicklung 1884-1984, cit., p. 107.

[42] F, 1909, 283-284, pp. 48-56, qui p. 53.

[43] Ivi, p. 99.

[44] I. 1, p. 21.

[45] I. 1, vol. I, p. 45.

[46] F, 1913, 372-373, pp. 16-18.

[47] Autrice del pezzo è Else John, insegnante alla Volkschule di Perchtoldsdorf (Ernesto Braun & Mario Carpitella, “Indice dei nomi”, cit., p. 101).

[48] F, 1913, 372-373, p. 17.

[49] Canzoni popolari o da marcia rivitalizzate dalla propaganda di guerra. Cfr. Agnes Pistorius, «Kolossal Montiert», Ein Lexikon zu Karl Kraus «Die Letzten Tage der Menschheit», cit., p. 50 e p. 209.

[50] I. 9, vol. I, p. 68.

[51] Ivi, pp. 68-71.

[52] Il popolarissimo Hassgesang gegen England (1914) di Ernst Lissauer è un esempio di composizioni di propaganda nazionalistica ad opera di soggetti privati (scrittori, professori universitari), spesso impiegati presso istituzioni ufficiali come il Kriegsarchiv o il Kriegspresse­quartier) (Eberhard Sauermann, Literarische Kriegsfürsorge. Österreichische Dichter und Publizisten im Ersten Weltkrieg, cit., p. 340). Kraus fa riferimento più volte alla composizione nel dramma; nella scena I. 9 il maestro interroga gli scolari sull’autore dell’Hassgesang, e Merores risponde facendo il nome dell’avvocato Otto Frischauer, redattore del Wiener Tagblatt, quo­tidiano di tendenze democratiche (Ernesto Braun & Mario Carpitella, “Indice dei nomi”, cit., p. 752). Kraus sottintende maliziosamente come nelle famiglie viennesi si senta più facilmente il nome di redattori di quotidiani che di letterati.

[53] Kraus concepisce Die Letzten Tage der Menschheit, con più di duecento scene, come dramma da lettura.

[54] I. 9, vol. I, pp. 70-71.

[55] Elias Canetti, 1975, Das Gewissen der Worte, p. 45, Fischer Taschenbuch Verlag, Frank­furt am Main.

[56] Kraus intesse nei discorsi dei bambini le parole chiave della propaganda nazionalista sentite tra le mura domestiche.

[57] Ivi, p. 69.

[58] Sull’effettivo impatto delle misure economiche a favore dei familiari dei caduti di guerra cfr. Eberhard Sauermann, Literarische Kriegsfürsorge. Österreichische Dichter und Publizisten im Ersten Weltkrieg, cit., pp. 292-339.

[59] I. 39, vol. I, p. 69.

[60] Ernesto Braun & Mario Carpitella, “Indice dei nomi”, cit., p. 748.

[61] F, 1908, 266, p. 5.

[62] Ibidem.

[63] Al realismo dei primi quattro atti subentra lentamente una forte componente proto-surrealista, che culmina nell’ultima scena (V. 55) e nell’Epilog in una parata di personaggi reali e fittizi, feriti e cadaveri ambulanti, soldati congelati, animali e donne vestite da insetti, il Volto dell’Austria, maschere antigas maschili e femminili, Il Figlio Non Nato, La Voce di Dio.

[64] V. 23, vol. II, p. 166.

[65] Nel Vs. 10, vol. I, p. 38, alla veglia funebre di Francesco Ferdinando, Sukfüll porge le condoglianze a nome della Vereinigung. Il suo messaggio di cordoglio divaga immediata­mente su come tempi di tale incertezza impediscano di valutare se la morte dell’erede al trono d’Austria-Ungheria possa essere un evento positivo o negativo per il progetto dell’in­cremento del turismo. Sukfüll tornerà nella surreale scena V. 52, vol. II, p. 223, dove si esprimerà con le stesse formule usate nella scena precedente. Alla vista dei caduti che tor­nano dal mondo dei morti per sfilare davanti agli spettatori, Sukfüll osserva, ancora in qualità di delegato dal comitato, che nonostante non si possa negare che l’attività alber­ghiera abbia sofferto per la guerra ed il turismo sia stato ostacolato dalle difficoltà legate al razionamento di cibo, non si può certo chiudere gli occhi davanti ai gloriosi combattenti che hanno combattuto per la Casa d’Austria.

[66] F, 1926, 743-750, p. 94.

[67] Kraus taglia drasticamente la scena nella Bühnenfassung, (V. 5) conservando solo que­sto scambio.

[68] V. 24, vol. II, pp. 168-169.

[69] F, 1918, 484-498, p. 238.

[70] F, 1918, 484-498, pp. 238-240, qui p. 239.

[71] V. 55, vol. II, p. 265.

[72] Nota di regia eliminata nella Bühnenfassung.

[73] V. 54, vol. II, p. 232.

[74] F, 1917, 462-471, pp. 76-78, qui p. 77.

[75] F,1921, 577-582, pp. 96-98.

[76] Leggiamo sulla F, 1921, 577, p. 71 l’annuncio di una lettura plenaria il 16 ottobre al Wiener Bürgertheater, a cui segue la pubblicazione del testo a novembre nella F, 1921, 577, pp. 96-98. Si dà annuncio di letture successive nella Fackel, cfr. F, 1921, 583, p. 32; F, 1922, 588, p. 64; F, 1922, 588, p. 65; F, 1922, 608, p. 50; F, 1924, 649, p. 74; F, 1925, 686, p. 36; F,1925, 686, p. 39; F, 1925, 686, p. 44; F, 1926, 712, p. 42; F, 1926, 712, p. 49; F, 1926, 726, p. 74; F, 1927, 751, p. 128; F, 1928, 781, p. 3; F, 1928, 781, p. 65; F, 1928, 781, p. 77; F, 1928, 781, p. 83; F, 1929, 800, p. 48; F, 1929, 800, p. 49; F, 1929, 800, p. 50; F, 1929, 800, p. 51; F, 1929, 800, p. 52; F, 1929, 800, p. 53; F, 1929, 806, p. 11; F, 1929, 806, p. 43; F, 1929, 811, p. 36; F, 1929, 811, p. 42; F, 1930, 827, p. 46; F, 1930, 834, p. 28; F, 1930, 834, p. 30; F, 1931, 852, p. 53; F, 1931, 852, p. 55; F, 1931, 864, p. 5. La Wien Bibliothek im Rathaus mette a disposizione online all’interno del Karl Kraus-Archiv una registrazione audio e una video di una lettura del testo del 1934: https://www.kraus.wienbibliothek.at/con­tent/tondokument-reklamefahrten-zur-hoelle. [15 marzo 2018] e https://www.kraus.wien bibliothek.at/content/filmausschnitt-reklamefahrten-zur-hoelle [15 marzo 2018]. Su Kraus e le letture pubbliche cfr. Friedrich Rothe, 2003, “Der Vorleser und Sein Publikum”, in Karl Kraus: die Biographie, pp. 321-353, Piper Verlag, München. Il testo contiene anche una serie di foto.

[77] La lettura del 6 novembre 2011 presso l’Akademischer Verband für Literatur und Musik contava quasi mille ascoltatori, quasi tutti giovanissimi (Friedrich Rothe, “Der Vorleser und Sein Publikum”, cit., p. 327). Il giovane Canetti (Das Gewissen der Worte, cit., p. 51) identifica il vero Karl Kraus nell’oratore [sic] da pelle d’oca, che penetrava sotto pelle. L’im­patto oratorio di Kraus si costruisce sulla somma delle passioni riccamente sviluppate, quali collera, scherno, disprezzo e adorazione per il femminile, pietà e tenerezza per chi non aveva potere, audacia nell’andare a caccia di potenti, la voluttà con cui ne smascherava l’ottusità, l’orgoglio per il proprio isolamento, l’idolatria per Shakespeare, Goethe, Offen­bach. Canetti conserva la memoria di immense platee incollate sedie durante le letture pub­bliche: un sentire antibellico condiviso si accendeva con quell’orrore per la guerra che Kraus sapeva destare negli ascoltatori, soprattutto giovani (ivi, p. 258). Sul metodo prepa­ratorio delle letture secondo quando riportato nella corrispondenza con Sidonie Nádherny von Borutin, cfr. ivi, pp. 365-366. Diversa l’esperienza di Max Brod, che ricorda in Streit­bares Leben una lettura relativa ad un’operetta di Offenbach: «Auch von seiner berühmten Vortragskunst kann ich persönlich nichts Rühmliches berichten. Ich habe eine einzige sei­ner Lesungen gehört; und da habe ich wohl Pech gehabt, denn […] bin ich vielleicht zu­fällig auf eine Darbietung gestoßen, die in nicht von der vorteilhaften Seite zeigte. Sie war, um es mit nüchternen Worten zu sagen, schlechthin scheußlich» (Max Brod, 1969, Streit­bares Leben, p. 60, F. A. Herbig Verlagsbuchhandlug, München / Berlin). Poco più avanti nel testo Brod criticherà aspramente l’antisemitismo krausiano, partendo dall’attacco ad Alfred Kerr, critico di Heinrich Heine, su cui già si era espresso su Die Aktion (ivi, p. 67), rivista contro cui Kraus si scagliava spesso in Die Fackel (cfr. in particolare F, 1906, 206, pp. 28-29).

[78] Jens Malte Fischer, 2005, “Reklamefahrten zur Hölle». Karl Kraus und die Mission der Presse”, in Daniel Jacob, Thomas Krefeld & Wulf Oesterreicher (eds.), Sprache, Bewusst­sein, Stil: theoretische und historische Perspektiven, pp. 217-224, qui p. 220, Gunter Narr Verlag, Tübingen.

[79] Ivi, 221.

[80] Nel 1917 Kraus pubblica sulla Fackel il piccolo componimento Kinematographischer Heldentod: «Das Weltgericht macht uns nicht bang, / doch wird uns gerne weltgeschichtlich / Kein Epos, ein Kino die Zeit besang:/ “Sämtliche Heldentaten ersichtlich!”» (F, 1917, 454-456, p. 5).

[81] Per Fischer il componimento che segue l’articolo, Im Untergang, (F, 1921, 577-582, p. 98), si offre come commento poetico a Reklamefahrten zur Hölle. Cfr. Jens Malte Fischer, “Reklamefahrten zur Hölle. Karl Kraus und die Mission der Presse”, cit., p. 223.

[82] F, 1921, 577-582, p. 96.

[83] Ivi, p. 98.

[84] Alois Brusatti, 100 Jahre österreichischer Fremdenverkehr. Historische Entwicklung 1884-1984, cit., p. 100.

[85] Ivi, 107.

[86] F, 1926, 717-723, pp. 74-75.

[87] F, 1926, 717-723, p. 74.

[88] Ivi, p. 75.

[89] F, 1926, 743-750, pp. 91-95.

[90] Ivi, p. 94.