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Giovanna Cordibella

(Berna)

Carducci e il mondo tedesco. Bilanci e prospettive*

[Carducci and the German world. Assessments and perspectives]

abstract. The essay takes a systematic look at some perspectives on the study of Giosue Carducci’s relations with German culture, offering a review of the research until today, examples of case studies, and a reflection on possible future research perspectives. Among the various areas addressed is that of the study of Carducci’s translations from German, with remarks on Carducci’s role in the transfer processes between Italy and Germany. Among other things, emphasis is given to the relevance of investigations into translations not yet published in the National Edition of Carducci’s Works. The last paragraph of the essay gives an account of a first census of Carducci’s autographs that have become part of German, Austrian and Swiss collections. In particular, prominence is given to autographs now preserved at the Fondation Martin Bodmer (Cologny, Genève): a manuscript of the ode Su Monte Mario (whose traces had been completely lost) and a still-unknown autograph of the poem Per la proclamazione del regno d’Italia.

Ho caro che Voi abbiate inteso come e quanto io ami e senta la vostra grande letteratura. Vorrei aver più tempo e agio a conoscerla tutta. Italiani e Tedeschi potremo qualche volta intenderci anche nell’arte, anzi specialmente nell’arte.

G. Carducci, lettera a Franz Sandvoß, Bologna, 27 apr[ile] 1890

Lo studio dei rapporti di Carducci con il mondo tedesco costituisce una prospettiva di indagine del continente carducciano – diciamolo subito – di primo rilievo, risultando centrale per cogliere appieno lo sviluppo di alcune sperimentazioni del Carducci poeta (così fertili per la lirica novecentesca), nonché il dialogo e la trama dei rapporti intertestuali intrattenuti dai suoi versi con modelli europei. Ma è inoltre prospettiva assai proficua per indagini su altri fronti, come lo studio dell’esperienza intellettuale e della cultura di Carducci, interessato a più ambiti del mondo tedesco tra cui quello musicale, la cartografia inoltre delle sue reti intellettuali internazionali e, nel contempo, la ricognizione della sua attività di critico e storico della letteratura (sempre aggiornato sugli studi più attuali prodotti dalla comunità scientifica europea, con occhio di particolare riguardo proprio per pubblicazioni di esponenti della Romanistik). Si tratta altresì di un’angolatura privilegiata, infine, per l’approfondimento di un settore assai rilevante della sua officina, quello della traduzione, e quindi anche del suo ruolo di mediazione – la sua riconosciuta Vermittlungsrolle – della letteratura tedesca in Italia. Se si guarda d’altra parte al secondo Ottocento tenendo conto dei recenti sviluppi metodologici della teoria della cultura, come lo studio del transfert culturel[1], non v’è dubbio che proprio Carducci spicchi come figura chiave in quel processo stratificato di mediazione tra i due secoli della cultura tedesca in quella italiana. Studiare Carducci da questa angolazione comporta dunque l’approfondimento di molteplici direzioni di ricerca (ne ho nominate sopra soltanto alcune in modo cursorio), e rappresenta inoltre uno degli approcci che può contribuire all’opportuna collocazione della sua figura e della sua opera in uno spazio europeo, mettendo in luce rapporti transnazionali, produttivi scambi, interconnessioni.

Il compito che mi è stato affidato – tracciare bilanci e prospettive di un campo di ricerca così diversificato e complesso – è arduo. Ho ritenuto di selezionare alcune tappe rappresentative ed emblematiche, al fine di dare inizio a un bilancio, per quanto ancora provvisorio, e di avviare inoltre una riflessione sulle prospettive di ricerca ancora foriere di sviluppo.

1. Letteratura nazionale e «Weltliteratur»

Una tradizione esegetica ormai più che secolare ha introdotto fondamentali differenziazioni, ancora oggi imprescindibili, nell’indagine dei rapporti di Carducci con il mondo tedesco, sottolineando come essi configurino uno Spannungsfeld regolato da poli antitetici e coesistenti, dal quale non è oscurabile anche il sussistere di posizioni antigermaniche carducciane. Con ponderati argomenti nel 1927 lo svizzero Erwin Hunziker ha problematizzato l’univoca tesi dell’antigermanesimo di Carducci che è stata formulata in pubblicazioni critiche primonovecentesche prodotte in un milieu intellettuale prossimo all’irredentismo[2], e ha sottolineato come tali posizioni polemiche dell’autore, ricondotte da alcuni critici a una monolitica Deutschfeindlichkeit, vadano inquadrate nella temperie antiaustriaca (post)-risorgimentale (così come nell’opposizione a tendenze pangermaniche, accentuatesi dopo Sédan), e come esse coesistano con lo sviluppo di un produttivo dialogo di Carducci con la cultura dei paesi di lingua tedesca[3]. Ammirazione e conflitto costituiscono a tutti gli effetti i due poli dicotomici entro cui si configura tale rapporto, il quale richiede pertanto di essere indagato operando più distinguo tra diversi piani d’indagine e tenendo inoltre conto della specificità delle diverse fasi della lunga parabola carducciana.

Proprio l’attenzione alle scansioni cronologiche e quindi all’evolversi diacronico delle posizioni di Carducci è fondamentale premessa anche per lo studio della sua relazione con la letteratura di lingua tedesca, come è stato messo in luce da una lunga filiera di studi che va dall’indagine pioniera di Margherita Azzolini Carducci und die deutsche Literatur, uscita a Tubinga nel 1910, sino a sondaggi intrapresi nel nuovo millennio, come quelli avviati nel 2007 in occasione del Centenario carducciano e in seguito alle sue celebrazioni[4]. Tali studi procedono a mettere tra l’altro in luce il sussistere di un Wendepunkt nel periodo bolognese, tra la fine degli anni Cinquanta e gli anni Sessanta dell’Ottocento, quando inizia a registrarsi un mutamento nella posizione di Carducci rispetto alle tendenze misoneistiche ed esterofobe dei suoi esordi. Se nel pieno delle polemiche pedantesche giovanili lo studio delle letterature straniere era infatti come noto messo al bando, risultando ascritto a un processo di imbarbarimento della tradizione classica, Carducci negli anni bolognesi procede alla revisione di tale posizione. Intensifica di pari passo le letture degli autori non italiani, facendo anche mirati acquisti librari per la sua collezione privata. Queste acquisizioni, ben documentate, arricchiscono in modo consistente la sua biblioteca anche sul versante del fondo germanico e testimoniano la volontà carducciana di poter avere un accesso diretto ai testi originali, talvolta ancora del tutto ignoti all’epoca in Italia o scarsamente recepiti. Nello stesso periodo Carducci dà avvio allo studio della lingua tedesca e all’attività di traduzione. Inizia inoltre a recepire e a far proprio – seppur con personali adattamenti – il concetto goethiano di Weltliteratur. Sappiamo come ben conoscesse i Colloqui di Johann Wolfgang Goethe con Johann-Peter Eckermann, letti anzitutto nella traduzione francese di Émile Delerot; va tuttavia indicato in Giuseppe Mazzini un centrale tramite per una riflessione sul tema e, non a caso, Carducci assumerà come traduzione del termine Weltliteratur non tanto quella (letterale) proposta da Delerot nell’edizione parigina delle Conversations («littérature universelle»)[5], bensì quella adottata nel saggio-manifesto di Mazzini D’una letteratura europea[6]. Pur prendendo le distanze dal «cosmopolitismo letterario liberale»[7] di un Mazzini, Carducci – siamo ormai negli anni Ottanta dell’Ottocento – riconosce il sussistere di una comunità letteraria transnazionale e interpreta l’indicazione di Goethe come «il consenso dato dall’Europa alla superiorità di alcuni scrittori esorbitanti dall’orizzonte di una patria»[8]. Nell’epoca contemporanea questo primato è esplicitamente riconosciuto proprio a esponenti della letteratura tedesca[9]. Nel differenziarsi dalla posizione mazziniana, Carducci si smarca dunque dall’ottimistico auspicio dell’avvento di una vera e propria unità letteraria d’Europa, con le sue ben note implicazioni politiche sovranazionali[10]. A caratterizzare Carducci, così proiettato a riaffermare anche in questa fase l’egemonia della cultura della nazione italiana[11], è piuttosto una duplice e irrisolta tensione tra la difesa di quanto vi è di più specifico nella propria identità culturale e l’apertura a una pluralità di tradizioni. Una postura che si riflette anche nel suo complesso posizionarsi verso i modelli poetici d’oltralpe. Se la conquista di un orizzonte culturale allargato, in particolare nel periodo di genesi delle Odi barbare, è di primo rilievo anche per la ricerca poetica carducciana, a instaurarsi sono tuttavia pure dinamiche concorrenziali. Riconsideriamo queste ultime, allargando lo sguardo anche al sussistere, proprio nei rapporti di Carducci con la cultura tedesca negli anni Ottanta dell’Ottocento, di una documentata reciprocità di processi agonali.

2. Il Carducci «barbaro» e la tenzone con Theodor Mommsen

Un decisivo impulso all’avvio delle sperimentazioni barbare deriva a Carducci, come noto, dal confronto con moderne opere di poeti tedeschi, come le Römische Elegien di Goethe, e dal proposito di forgiare a sua volta versi improntati a misure metriche antiche con «il flessibile italiano»[12]. Altrettanto risaputo è come il cantiere del Carducci barbaro intersechi l’officina del traduttore dove, in questa congiuntura, è intensificata l’attività del vertere i lirici tedeschi. Nell’assetto definitivo delle Odi barbare l’esito di un potenziato confronto sul fronte traduttivo con la poesia germanica si riflette anche nell’organizzazione macrotestuale del libro. Nella prima edizione (1877) della silloge, Carducci opta per includervi una sola traduzione dal tedesco, quella dell’ode asclepiadea di August von Platen Der Turm des Nero (La torre di Nerone), i cui primi abbozzi risalgono addirittura al 1875. Il Carducci traduttore era infatti passato a confrontarsi, dopo il corpo a corpo nei primi anni Settanta con le ballate di Platen, anche con le sue odi, riconoscendo in questo lirico nella fase barbara un vero e proprio «Meister der Form»[13]. Nell’architettura definitiva delle Barbare l’epilogo della raccolta passa invece a essere costituito da un vero e proprio ciclo di Versioni da Platen e Friedrich Gottlieb Klopstock, modelli di un «rinnovamento classico» realizzato tramite la sperimentazione moderna di metri antichi. L’ambivalenza della postura del poeta delle Barbare rispetto a questi antecedenti è stata già oggetto di più rilievi negli studi carducciani: se Carducci riconosce «il valore artistico dei precedenti d’oltralpe», si impegna tuttavia «a superarli al fine di riattingere […] la matrice latina della tradizione italiana»[14].

La pubblicazione delle Odi barbare contribuisce non di poco a potenziare l’interesse nel campo letterario tedesco per Carducci, recepito ora anche come il «Klopstock della moderna Italia»[15]. Tra le dinamiche di contatto e confronto transnazionale che agiscono in questa fase va portata l’attenzione – ai fini di un rinnovato riesame fondato su base anche documentaria – sulla celeberrima tenzone italo-tedesca che prende avvio nei tardi anni Settanta dell’Ottocento per iniziativa dello storico Theodor Mommsen. Più fonti comprovano l’ambivalente posizionarsi dell’autore della Römische Geschichte rispetto a Carducci: Mommsen vi riconosce un poeta di indiscusso valore e dalla fama internazionale crescente («Per carattere e abilità l’Italia non ha visto da Giusti una personalità simile, e l’attenzione verso di lui è divenuta molto viva in Italia come da noi»)[16], ma esprime pure riserve in merito alla sua arte versificatoria. È Mommsen a inviare da Firenze nell’ottobre 1879 a Ulrich von Wilamowitz-Moellendorf un pacchetto di libri comprendente anche testi carducciani, accompagnati da un giudizio sulla sua poesia che include accanto a lodi pure una critica alle «alcäischen Strofen» delle Barbare[17]. Il progetto di pubblicare le proprie «Übersetzungsleistungen»[18] – le traduzioni tedesche che sia Mommsen che Wilamowitz avevano approntato in quei mesi di liriche carducciane – si definisce nel novembre seguente e la plaquette esce a Berlino nel Natale dello stesso 1879 per i tipi di Büxenstein. Il seguito è noto: l’invio a Carducci da parte di Mommsen di più esemplari del libello, uno dei quali con la dedica manoscritta in lingua italiana, ove veniva ribadita la superiorità della «Musa alemanna» nel forgiare metri ricalcati su moduli classici[19]. Un gesto di sfida di cui Mommsen ridimensiona successivamente la portata polemica[20]. Se è indubbio che questa plaquette possa essere anzitutto letta come un omaggio al poeta italiano (raccoglie infatti alcune delle prime traduzioni che siano state approntate in tedesco di sue liriche; Carducci, d’accordo con Chiarini, promuoverà il volumetto in Italia a mezzo stampa), è anche evidente come Mommsen e Wilamowitz muovessero nel contempo una critica agli esiti metrici delle Barbare, orientate a soluzioni diverse da quelle impiegate dai lirici germanici che si erano confrontati con analoghe sperimentazioni. Un colloquio tra Carducci e Mommsen (avvenuto plausibilmente a Firenze nel 1879)[21] era ruotato proprio intorno alla supposta «impotenza della lingua italiana» – come lo storico tedesco ha pure ribadito nel dialogo epistolare con Wilamowitz – di forgiare «la strofe saffica»[22].

Il riesame oggi di questa tenzone italo-tedesca induce piuttosto a riflettere, storicizzando la polemica contingente e le sue spinte agonali, sui Transferprozesse, ovvero sui processi di transfer, di appropriazione e di mediazione in corso in questa fase. Nelle traduzioni da Klopstock e Platen, Carducci metteva infatti in atto una trasformazione appropriatrice del testo originale tedesco, con adeguamento, tra l’altro, della sua struttura metrica a schemi, se non già in uso nella tradizione italiana, personalmente forgiati sulle orme di precedenti modelli della tradizione nazionale. Nel caso della versione delle due odi di Klopstock, Tombe precoci e Notte d’estate, Carducci sperimenta tra l’altro sistemi strofici nuovi che «non sono rifatti, almeno nella loro interezza, di sul modello di Orazio, anzi di nessun poeta latino e greco»[23]. Vi è pertanto una componente, più che restaurativa, fortemente innovativa nelle sue Barbare (anche nel ciclo delle Versioni). La traduzione dei testi germanici alimenta quindi una ricerca formale in una delle più fertili temperie sperimentali del Carducci poeta, impegnato appunto in Italia in questa congiuntura – siamo negli anni Settanta e Ottanta dell’Ottocento – in ciò che è stata definita la «rifondazione artistico-ideologica del classicismo»[24]. Proprio gli antecedenti tedeschi divengono appunto modelli di un classicismo traghettato verso la modernità europea, da acclimatare e ricodificare in un sistema letterario altro, appunto quello nazionale.

Come studi recenti hanno potuto approfondire e documentare[25], le versioni incluse da Carducci nelle Barbare hanno inoltre avuto una funzione esemplare nella cultura italiana di tardo Ottocento e dato importanti impulsi al transfer letterario in Italia di opere tedesche, come le Römische Elegien di Goethe. La silloge goethiana, presa a modello da Carducci nel periodo di queste sperimentazioni, aveva varcato le Alpi fino a quel momento solo per disiecta membra e assume invece proprio in questo scorcio finale dell’Ottocento «un valore modellizzante»[26], esperendo più versioni in lingua italiana, come quelle di Emilio Teza e di Domenico Gnoli, quest’ultima patrocinata proprio da Carducci. Il suo dialogo con i lirici tedeschi e la sua attività di traduzione necessitano quindi uno studio differenziato che tenga conto di una pluralità di prospettive e di una attenta considerazione anche dei contesti culturali. Una delle produttive direzioni d’indagine, battuta anche negli ultimi anni, si rivolge appunto a considerare – al di là delle posture agonali di Carducci rispetto a tali modelli – il suo ruolo propulsivo nelle dinamiche di contatto e scambio letterario italo-tedeschi nel tardo Ottocento e nel primo Novecento.

3. L’officina del traduttore

L’opera traduttiva costituisce una zona del continente carducciano su cui – dopo studi ormai classici di Margherita Azzolini, Angelo Monteverdi, Antero Meozzi, Carlo Fasola, Anne Fiedler Nossing, Arnaldo Di Benedetto e altri[27] – sono state avviate negli ultimi decenni, anche su spinta propulsiva del Centenario del 2007, nuove indagini. Tali ricerche hanno portato anche a considerazioni sul corpus delle versioni dai tedeschi: quest’ultimo – come è stato anche confermato da un mio censimento degli inediti di cui ho dato conto in un saggio del 2008[28] – non si circoscrive a versioni da autori del classicismo sette-ottocentesco come i citati Klopstock e Platen, né alle poche versioni note di autori della Weimarer Klassik, come Goethe e Fried­rich Schiller, dei quali sono tra l’altro attestate traduzioni pure dalla loro produzione drammatica, come la versione integrale della schilleriana tragedia Die Braut von Messina e scene dell’Ifigenia goethiana. Il corpus delle versioni è appunto molto più ampio e documenta l’interesse carducciano per uno spettro di autrici e autori molto più diversificato. Talune versioni attestano tra l’altro un ruolo del tutto pionieristico di Carducci nella mediazione di autori ancora del tutto ignoti in Italia, talvolta persino scarsamente conosciuti all’epoca in Europa, come il poeta tedesco Friedrich Hölderlin, la cui così detta Renaissance si colloca solo nel Novecento e che Carducci inizia però a tradurre in italiano già nel 1874[29].

Trascorso ormai più di un quindicennio dalla ricorrenza del Centenario carducciano, è tempo di dare avvio a un primo (e ancora provvisorio) bilancio sulla situazione editoriale delle traduzioni carducciane dai tedeschi. Se si escludono le versioni che Carducci stesso ha concesso alle stampe – in rivista, nel macrotesto delle proprie sillogi in versi, come citazioni in prose e saggi, nonché alcuni inediti pubblicati postumi – molte delle traduzioni devono infatti ancora trovare una sistemazione editoriale. Nel piano della nuova Edizione Nazionale delle opere di Carducci, reso noto nel 2000, era previsto – nella sezione degli Inediti – anche un tomo dedicato alle Traduzioni in versi e in prosa[30] che tuttavia – nell’attuale fase dei lavori all’Edizione – non è ancora stato realizzato. Le sfide e i problemi ecdotici implicati dall’allestimento di questo volume sono diversi. Per il futuro degli studi carducciani questa impresa editoriale potrebbe tuttavia costituire un passaggio rilevante. La sua realizzazione permetterebbe infatti una più accurata cartografia dell’attività del Carducci traduttore, mettendo a disposizione un corpus testuale ancora difficilmente accessibile e del tutto inedito, forse ancora persino non del tutto censito, la cui pubblicazione potrebbe dare impulsi agli studi carducciani, e quindi anche alle indagini sulle diramazioni intertestuali che legano le versioni con la poesia di Carducci.

L’officina del traduttore costituisce infatti un importante cantiere il cui studio può dare impulsi all’analisi dell’intertestualità intrattenuta dalla poesia carducciana con i tedeschi, come intendo ora esemplificare riconsiderando un caso di studio scelto. Ho dedicato più saggi in passato al produttivo confronto carducciano con la poesia di Hölderlin[31] e intendo qui richiamare piuttosto il suo rapporto con una prosa di Heinrich Heine, partendo proprio dalla traduzione di quest’ultima, rimasta inedita fino a qualche anno fa[32].

Nel 1861, nel recensire un volumetto di versioni del glottologo e comparatista Emilio Teza, Carducci formulava un primo giudizio critico su Heine, dimostrandosi già allora assai sensibile a «quella sarcastica elegia, quel comico lirico, quella bizzarra mistura di forme e intonazioni»[33] che, agli occhi di Carducci, rappresentavano la cifra di un autore a lui ancora poco noto, per quanto dalla fama ormai crescente nella cultura italiana del periodo. Nel giro di un decennio, anche Carducci avrebbe dato avvio a più esercizi e prove di traduzione vòlti a esplorare in tutta la sua complessità e gamma tonale il «territorio» heiniano. Se le traduzioni poetiche e l’incidenza nell’opera di Carducci del lirico Heine – quello di raccolte quali il Buch der Lieder, le Neue Gedichte, il Romanzero – sono già state al centro di diverse ricognizioni critiche, più in ombra è rimasto il confronto di Carducci con un altro versante della scrittura dell’autore tedesco, quello prosastico. Come ebbero a osservare alcuni contemporanei, tra cui Giovanni Pascoli, non è da escludere un’incidenza nell’opera carducciana anche di prose di Heine come i Reisebilder, da cui Carducci ha tradotto più brani. Il repertorio delle versioni di prose di quest’autore, se ci si limita a considerare ciò che Carducci ha dato alle stampe in vita, non è tuttavia molto ampio: alle traduzioni di pagine dei Reisebilder[34] vanno aggiunte quella di qualche frammento di prosa autobiografica e dello scritto introduttivo di Heine a un’edizione tedesca del Don Chisciotte di Cervantes che Carducci ha pubblicato prima in rivista e poi nelle sue Conversazioni critiche[35]. Nel corso delle mie ricerche tra le carte carducciane ho avuto modo di identificare una ulteriore traduzione da Heine che non risultava segnalata, se non con indicazioni assai generiche, nei cataloghi dei manoscritti di Carducci, dove il fascicoletto autografo è genericamente indicato da Albano Sorbelli, nel catalogo da lui curato, come il manoscritto di una prosa carducciana su Heine[36]. Si tratta in realtà, come ho potuto ricostruire sulla base di un confronto con l’originale tedesco, di una traduzione della parte conclusiva del trattato di Heine Zur Geschichte der Religion und Philosophie in Deutschland (Sulla storia della religione e della filosofia in Germania). Si tratta dell’epilogo del terzo e ultimo libro[37], di cui Carducci traduce un ampio segmento, il cui incipit è il seguente:

La filosofia tedesca è cosa importante che riguarda tutta intiera l’uma­nità, e solo i nostri tardi nepoti potranno risolvere se noi siamo da biasimare o da lodare dell’avere lavorato prima alla nostra filosofia e poi alla nostra rivoluzione. A me pare che un popolo metodico come noi dovesse cominciare dalla riforma, occuparsi quindi della filosofia, per passare alla rivoluzione politica, sol dopo compiuto il rinnova­mento religioso e filosofico. Questo ordine io lo trovo del tutto ragio­nevole. Le teste che la filosofia ha usate alla meditazione può poi la rivoluzione tagliarle a tutto suo piacere: ma la filosofia non avrebbe già potuto adoperare le teste che fossero state tagliate dalla rivoluzione quando questa fosse venuta innanzi. Non dubitate dunque, repub­blicani tedeschi […].[38]

L’aver accertato la natura di questo manoscritto, individuandovi la traduzione da Heine, ha consentito di offrire qualche nuovo dato agli studi carducciani. Più interpreti, in effetti, hanno in passato ipotizzato, senza poter portare riscontri concreti, la conoscenza diretta da parte di Carducci del trattato heiniano. Vi è tra l’altro una tradizione interpretativa – costituita da studi che recano le firme di diversi interpreti, da Antonio Gramsci a Edoardo Sanguineti – che ha posto proprio l’accento sull’interpretazione di un «Carducci giacobino», dando ampio rilievo proprio al ruolo esercitato nella cultura letteraria carducciana anche dal trattato di Heine Zur Geschichte der Religion und Philosophie in Deutschland. La versione costituisce dunque il documento di un diretto confronto di Carducci con quest’opera, anche in veste di traduttore e non solo di lettore. Per quanto frammentaria, si segnala inoltre come la prima traduzione del trattato che risulti attestata in Italia, precorrendo di ben mezzo secolo quelle oggi note. Anche in questo caso, come si è potuto già rilevare per le versioni da Hölderlin, il Carducci traduttore conferma il suo ruolo di mediazione assolutamente pionieristico e innovatore rispetto alla cultura italiana del suo tempo e alla coeva prassi traduttiva.

È stato Benedetto Croce che, sviluppando spunti esegetici formulati in uno studio primonovecentesco da Carlo Bonardi, ha portato per primo l’attenzione sulla «preistoria» di un’immagine che Carducci impiega in Versaglia (1871)[39], la poesia dei Giambi ed Epodi composta in occasione del «79° LXXIX anniversario della Repubblica francese». In questa nota critica, Croce rimarca come il «paragone» (Kant/Robespierre) delineato in Versaglia (vv. 49-52) sia stato «tolto» da Carducci appunto «dall’Heine», nello specifico dal «libro Per la storia della filosofia e della religione in Germania», dove – così si legge in queste pagine apparse nel 1906 su «La Critica» – Carducci «insiste a lungo sulle analogie tra la rivoluzione materiale accaduta in Francia e quella spirituale in Germania; su Robespierre, decapitatore di un re senza testa e arretrante di paura innanzi al vecchio Dio, e sull’audacia del […] filosofo di Königsberg – Kant – che porta alla ghigliottina Dio stesso»[40]. Si sa quale fortunato seguito abbia avuto questa nota crociana: Gramsci vi si riferisce nei Quaderni, II, 49[41], con richiamo in prima battuta a Carducci, Sanguineti – con occhio anche a queste pagine gramsciane – discute a sua volta nel proprio contributo a un convegno bolognese del 2007 il riuso carducciano del topos del paragone Kant-Robespierre, assurto qui a vero e proprio «nodo epocale filosofico e politico», base su cui Sanguineti sviluppa poi la propria interpretazione di un «Carducci giacobino»[42].

Il recupero del frammento di traduzione del trattato heiniano ha permesso di identificare il passo che Carducci ha inteso selezionare da quest’opera e con il quale si è confrontato direttamente nel trasporlo in lingua italiana. Non v’è dubbio che l’attenzione sia caduta su pagine tra le più rappresentative di Zur Geschichte der Religion und Philosophie in Deutschland, quelle del suo epilogo, nelle quali emergono a pieno le caratteristiche e i temi del trattato. L’opera si conclude con l’annuncio profetico, dal grande potere visionario, di una rivoluzione tedesca che, preparata da un pensiero filosofico più che secolare, avrebbe determinato – tra i suoi vari effetti – la distruzione dei fondamenti di ogni credenza e istituzione religiosa.

Come ho potuto ricostruire, la versione frammentaria del III Libro del trattato costituisce un fondamentale testo di mediazione tra il vero e proprio hypotexte heiniano e alcuni versi del poeta di Giambi ed Epodi[43]. Carducci traduttore procede a volgere in italiano anche un successivo luogo in cui Heine profetizza la decadenza del Cristianesimo, simboleggiato dalla croce (nell’originale tedesco definita anche «Talisman», reso letteralmente in «talismano»)[44]. L’impeto rivoluzionario trova qui effige nell’immagine di Thor, antico dio germanico che si risveglia da un torpore durato millenni ed esercita la propria furia distruttrice sui «domi gotici»[45]. La dinamica intertestuale messa in atto dal Carducci poeta, nella fase giambica, coinvolge proprio questo passo dell’opera di Heine. Il motivo del dio Thor, con la sua forza distruttrice, risulta infatti ripreso e rifunzionalizzato nel 1872 nell’epodo A un heiniano d’Italia (vv. 13-20), scritto in aperta polemica con Bernardino Zendrini verso cui Carducci muove l’accusa di coltivare un’immagine edulcorata e riduttiva di Heine, non riconoscendone la vera indole ribelle e giacobina. Nel contrapporsi al sedicente heiniano, Carducci ritrae nelle prime strofe lo stesso Heine come «figliuol» del dio Thor e indica nei suoi versi un’arma critica e demistificante nei confronti di ogni credenza religiosa.

L’individuazione di un hypotexte dell’epodo nella prosa heiniana ha permesso di analizzare più a fondo la strategia messa in atto da Carducci che, nel riaffermare nella contesa con Zendrini la propria interpretazione di Heine, ha composto una poesia dal forte carattere polemico, dove la trama delle allusioni e dei riferimenti intertestuali attesta effettivamente una conoscenza, davvero non comune nell’Italia dell’epoca, degli scritti dell’autore tedesco. Come emerge dal riesame di questo caso di studio, il tradurre assume dunque a tutti gli effetti per Carducci un’importante funzione nel suo confronto di poeta con la letteratura tedesca: la riduzione in lingua italiana del testo originale può essere infatti seguita da un secondo atto trasformativo, dal dialogo – in poesie di Carducci – con il testo tradotto. Dovendo tracciare un conclusivo bilancio, rimane pertanto da ribadire come l’edizione delle versioni inedite, a tutt’oggi, rimanga un desideratum e come costituisca un’impresa editoriale di cui auspicabilmente, in futuro, potranno avvalersi gli studi carducciani.

4. Le reti intellettuali

In un breve excursus, il quale non ha alcuna pretesa di esaustività, intendo ora mutare prospettiva e considerare il rapporto di Carducci con il mondo tedesco da altra angolatura, vale a dire con focus ora sulle su reti intellettuali, con qualche accenno anche a come Carducci sia stato letto e interpretato nei paesi d’oltralpe. Traccerò qualche tappa selezionata di un percorso che vuole essere solo esemplificativo di possibili direzioni di ricerca, senza addentrarmi in un riesame di centrali (e già indagati) capitoli della sua Wirkung, come quello rappresentato dalla sua rievocazione nel romanzo Der Zauberberg di Thomas Mann[46].

Ai fini della mappatura dei Netzwerke di Carducci le corrispondenze costituiscono imprescindibili fonti documentarie. Per quanto concerne il sondaggio del patrimonio epistolare, ancora oggi meriterebbe una maggiore attenzione il côté germanico dell’epistolario carducciano che, a differenza di quanto è stato fatto per i contatti con la Francia, risulta ancora non interamente esplorato[47]. Le carte d’archivio (quelle di Casa Carducci, così come di archivi europei) annoverano missive di non poco interesse, alcune delle quali costituiscono un fondamento documentario del mutuo dialogo intrattenuto con personalità della cultura germanofona e per lo studio della penetrazione in quest’ultima dell’opera di Carducci, anche delle sue imprese di filologo ed esegeta. Di tutto rilievo è, a tal proposito, che sia attestata anche una corrispondenza con esponenti della Romanistica (come Alfred Gaspary e Adolf Tobler), disciplina all’epoca di recente istituzione in Germania e, sin da tale fase, assai vigile nei confronti dei più attuali indirizzi di ricerca italiani. Gli scritti e i commenti ai classici di Carducci, che in Francia erano stati segnalati su periodici come la «Revue critique d’Histoire et de Littérature» e «Romania», trovando in Gaston Paris uno dei più agguerriti estimatori, godettero anche negli ambienti germanofoni di una grande risonanza. Chi ne volesse una riprova può oggi riaprire il monumentale Grund­riss der romanischen Philologie di Gustav Gröber e trovarvi molteplici riferimenti alle imprese filologiche ed esegetiche carducciane. Altrettanto da approfondire è pure l’indagine dell’incidenza e del ruolo esercitato, nell’attività filologica ed esegetica di Carducci, dagli studi prodotti da romanisti tedeschi, campo in cui ancora scarsi sono le ricerche.

I carteggi offrono più indizi delle aperture e dei rapporti transnazionali di Carducci, come attesta tra l’altro il suo contatto con il giovane Aby Warburg[48]. Colui che sarebbe divenuto il padre fondatore della scuola iconologica, negli anni fiorentini lavorava alla propria dissertazione su due dipinti mitologici di Botticelli, la Nascita di Venere e la Primavera. Riesaminando alcune possibili fonti letterarie dei dipinti, tra cui la Giostra di Poliziano, Warburg era giunto a identificare nel poeta il «consulente umanistico» di Botticelli, nonché a dedurre quale fosse l’immagine mentale che il pittore, il suo consigliere e i suoi committenti avevano dell’antichità: una visione decisamente più «letteraria» che «archeologica», trasmessa dai testi di Ovidio e di altri autori classici, oltre che dai loro imitatori rinascimentali. Warburg leggeva Poliziano nell’edizione carducciana del 1863. Tramite Samuele Morpurgo, all’epoca impiegato alla Biblioteca Nazionale di Firenze, Carducci era venuto a conoscenza delle ricerche del giovane storico dell’arte tedesco e, nel 1894, aveva espresso il desiderio di leggere la sua dissertazione, pubblicata nel frattempo in Germania. Un rapporto di cui si è potuta offrire una ricostruzione a partire dallo studio del documento epistolare, oggi a Casa Carducci, con cui Warburg ha inviato il volume a Bologna.

Aggiungo solo un ultimo tassello a questo excursus rivolgendo l’attenzione a fondi archivistici d’oltralpe. Tra le carte custodite nel «Nietzsche-Archiv» di Weimar, sottratte all’oblio dalla perizia filologica di Giorgio Colli e Mazzino Montinari, si trova una sorprendente testimonianza documentaria che rivela quale prestigio internazionale Carducci avesse raggiunto in vita come traduttore e conoscitore della lingua e della letteratura tedesche. Interrogare oggi questo documento del lascito nietzschiano consente di acquisire qualche ulteriore dato per collocare la figura di Carducci, spogliata da ogni sospetto di provincialismo, nella cultura europea tardo-ottocentesca, nonché di considerare da altra angolatura un’attività carducciana da alcuni ancora ritenuta minore, ovvero la traduzione. Nel dicembre 1888, durante il suo secondo soggiorno a Torino, Friedrich Nietzsche era alla ricerca di un interlocutore cui affidare la traduzione italiana di uno dei suoi scritti, all’epoca in corso di stampa in Germania. Di quei giorni rimane un abbozzo di lettera a Carducci, che il filosofo – ormai prossimo al crollo psichico – non avrebbe tuttavia mai spedito, né portato a termine. Il documento, per quanto frammentario, attesta come Nietzsche avesse individuato proprio in Carducci il possibile mediatore in Italia della sua opera. Questo il brano che ci è pervenuto:

[Turin, 25. Dezember 1888]

Verehrter Herr,
Ich weiß nur zu gut, wie sie deutsch verstehen: erwägen Sie, ob sie nicht erst diese Schrift N[ietzsche] c[ontra] W[agner] den Italiänern vorstellen wollen? Man muß in Italien einen Anfang mit mir machen: ich habe die ersten Intelligenzen Europas für mich – Monsieur Taine zum Beispiel – xxx[49]

Si sarebbe tentati a indugiare in speculazioni e a chiedersi come avrebbe reagito Carducci alla proposta di «presentare» al pubblico italiano gli scritti polemici e antiwagneriani del tardo Nietzsche. La concreta eventualità, qui prospettata, che la ricezione del filosofo nel nostro paese potesse aver avuto inizio con una versione per mano di Carducci del Nietzsche contra Wagner, o tutt’al più con una sua recensione dell’opera, è senz’altro assai suggestiva. Ma conviene attenersi ai dati documentari e limitarsi a interpretare l’abbozzo di epistola piuttosto come un chiaro indizio della fama conseguita all’epoca dal Carducci traduttore, la quale ha fatto sì che egli potesse segnalarsi negli ambienti colti tedeschi come importante figura di mediazione culturale tra Italia e Germania. Tra le righe emerge inoltre come, agli occhi di Nietzsche, Carducci fosse annoverabile tra «le migliori intelligenze d’Europa», non inferiore per autorevolezza a Hippolyte Taine, cui il filosofo aveva inviato, nello stesso dicembre 1888, una copia del Crepuscolo degli idoli auspicandone la versione francese.

Per quanto nel caso di Nietzsche si tratti di un incontro mancato, lo studio dei rapporti di Carducci con esponenti della cultura germanofona è un campo di studio ancora foriero di ulteriori indagini, anche sul fronte archivistico, e risulta un ambito fondamentale per l’interpretazione e l’inquadramento storico-critico di Carducci e dei suoi scritti.

5. Autografi carducciani in collezioni e archivi austriaci, svizzeri e tedeschi: un primo censimento

Il prestigio di cui Carducci ha goduto nei paesi di lingua tedesca, ancor più accresciuto dopo il conferimento nel 1906 del Premio Nobel, ha favorito l’interesse del collezionismo d’oltralpe per sue carte manoscritte che, messe in vendita sul mercato antiquario internazionale, sono entrate a far parte di più raccolte private e pubbliche. È questo uno dei fenomeni di circolazione transnazionale dei testi carducciani (e dei loro autografi) ancora scarsamente indagato. Come emerge da questo primo censimento, le carte confluite in queste collezioni sono molteplici e, in qualche caso, identificabili con testimoni manoscritti di opere carducciane che erano già noti (ma di cui si erano perse le tracce) oppure non ancora segnalati e studiati, nonostante il loro indubbio rilievo per imprese filologiche intraprese anche in anni recenti.

Una particolare menzione spetta a una personalità come quella di Martin Bodmer (1899-1971), collezionista zurighese e filantropo, che ha acquisito più autografi di Carducci per la sua celebre e pregiata Bibliotheca destinata a documentare l’intera «letteratura mondiale»[50], consultabile oggi alla Fondation Martin Bodmer a Cologny (Ginevra). Tra le carte carducciane possedute dal collezionista svizzero vi è una redazione dell’ode barbara Su Monte Mario[51], che è stata oggetto di una singolare storia acquisitiva e di cui – benché si tratti di un manoscritto già noto agli studi carducciani – è stata finora ignota la sua attuale collocazione. Anche nell’edizione critica delle Barbare del 1998, Gianni A. Papini dà conto di questo testimone manoscritto, senza tuttavia operare diretti riscontri sull’originale, bensì riproponendo la sua trascrizione primonovecentesca edita in più sedi[52]. Si tratta dell’autografo che Carducci ha inviato il 31 gennaio 1882 a Ferdinando Martini per la pubblicazione dell’ode Su Monte Mario sul primo numero della «Domenica letteraria» con relativa lettera di accompagnamento. L’originale manoscritto è stato dato da più interpreti per disperso. Il suo destino è ora, almeno in parte, ricostruibile. Rinvenuto «nella ricca e bene ordinata biblioteca di Ferdinando Martini»[53] da Federico Gentili di Giuseppe, fu poi acquisito da questo collezionista, di origine ebraica, per la sua prestigiosa raccolta parigina. La fastosa raccolta privata di questa «figura di spicco nel panorama del collezionismo italiano ed europeo dei primi del Novecento»[54] fu soggetta a vendita e dispersione nel corso della seconda Guerra Mondiale. Bodmer acquisì in un secondo tempo, in data non nota, l’autografo carducciano per la sua Bibliotheca. Una prima trascrizione del manoscritto e un fac-simile dei suoi quattro fogli era stato edito nel 1932 da Gentili di Giuseppe nella rivista parigina bilingue «Dante. Bulletin mensuel de culture latine».

Da un confronto con questa trascrizione (successivamente ripubblicata in più sedi), emerge come il testo trascritto non corrisponda sempre fedelmente al manoscritto ginevrino. Necessiterebbe pertanto, in alcuni puntuali luoghi, di revisione. L’identificazione di questo testimone permette inoltre di avere conferma di come Carducci avesse effettivamente adottato nel 1882 Roma e morte come titolo dell’ode (non tanto, come è stato ritenuto, quale suo «sottotitolo»)[55], per poi cassarlo e sostituirlo in questa fase compositiva con il semplice toponimo Monte Mario. L’attestazione di questa lezione, ritenuta da Papini non tràdita «da alcun autografo»[56], è oggi effettivamente documentata dal manoscritto conservato alla Fondation Martin Bodmer.

 

  

  

G. Carducci, Monte Mario, Cologny (Genève), Fondation Martin Bodmer.
Redazione autografa della barbara Su Monte Mario con lettera
a Fernando Martini (Bol[ogna], 31.1.[18]82).

Nella prestigiosa raccolta del collezionista svizzero si trova inoltre Pel regno d’Italia[57], redazione autografa risalente al 19 giugno 1861 della canzone Per la proclamazione del regno d’Italia. Anche questo autografo di Carducci ha esperito una singolare vicenda acquisitiva. Ha fatto infatti parte della collezione dello scrittore austriaco Stefan Zweig[58] che ha comprato il manoscritto carducciano di questa canzone dall’antiquario Liepmanns­sohn a un’asta svoltasi a Berlino il 21 ottobre 1926. In séguito l’autografo è entrato in possesso di Bodmer che l’ha acquisito insieme ad altri pezzi della Autographensammlung di Zweig, entrando così a far parte di quella che nel 1951 sarebbe divenuta la Bibliotheca Bodmeriana.

  

G. Carducci, Pel regno d’Italia, Canzone, Cologny (Genève), Fondation Martin Bodmer.

L’autografo propone una redazione in pulito delle prime quattro strofe della canzone Per la proclamazione del regno d’Italia che Carducci avrebbe incluso nel 1891 nell’edizione dei Levia Gravia. Questo testimone manoscritto (sfuggito al censimento svolto da Barbara Giulattini, curatrice nel 2006 dell’assai pregevole edizione critica della silloge[59]) dà conto di una fase non ancora documentata del processo compositivo della canzone: quella fase che segue i primi abbozzi risalenti al marzo 1861 e che precede di più anni la revisione del testo nella primavera del 1891, in vista della stampa della raccolta nelle Opere zanichelliane. La redazione Pel regno d’Italia è portatrice di alcune lezioni che sono state poi riprese da Carducci nel più tardo iter elaborativo e inoltre di qualche variante non attestata dalla tradizione manoscritta e a stampa finora nota.

Anche sul fronte della documentazione epistolare sono da segnalare più autografi carducciani in archivi d’oltralpe che non risultano essere stati ancora censiti[60]. Nella Collezione Nebauer della Universitätsbibliothek di Lipsia si trova una lettera del 13 novembre 1884 a una interlocutrice carducciana di non accertata identità, da identificarsi plausibilmente in Matilde Serao[61]. Con la scrittrice napoletana Carducci ha intrattenuto una corrispondenza che risulta aver preso avvio proprio nel 1884. Verifiche nelle lettere superstiti di Serao a Casa Carducci portano a riconoscere nell’epistola acquistata dal collezionista Dr. Paul Nebauer di Rostock il primo documento epistolare carducciano di questo carteggio.

Concludo questa rapida rassegna con la menzione di un autografo che costituisce una inedita testimonianza dei rapporti che Carducci ha intrattenuto con scrittori e intellettuali tedeschi. Nel Goethe und Schiller-Archiv di Weimar è consultabile una lettera carducciana a Franz Sandvoß (1833-1913), scrittore e giornalista che nel 1890 – sotto lo pseudonimo di Xanthippus – aveva pubblicato una lunga lettera al curatore del «Magazin für die Literatur des In- und Auslandes». Qui presentava un elogio di Carducci, assai documentato circa la sua opera e comprendente inoltre spunti polemici verso le spinte nazionalistiche fanatiche – lo Chauvinismus di intellettuali tedeschi dell’epoca, come emerge nei passi seguenti:

Ich wünschte wohl, unsere deutschen Aristarche vermöchten so gescheidte Dinge über Goethe zu sagen, wie ich sie im Staunen bei ihm finde. [] Carducci ist in jeder Zeile, die er schreibt, zuerst Künstler, dabei aber, und es ist für den großen Kenner seiner Nation ein beneidenswertes Glück, kein heuchlerischer Parade-Patriot […]. Daß Italien einen solchen Menschen haben kann […] darin sehe ich einen Beweis für die große Zukunft dieses gesunden Volkes. O, wollten doch von ihm unsere Chauvinisten lernen, was wirkliche Vaterlandsliebe, was Liebe zur Kunst ist![62]

Nella lettera a Sandvoß, ancora inedita e qui per la prima volta trascritta, Carducci ribadiva proprio il suo «amore» e il suo «sentire» per la letteratura tedesca:

Bologna, 27 apr[ile] 1890

Mio Signore,
vi ringrazio del troppo buon giudizio che vi piacque fare di me, e più ancora di ciò che pensate e scrivete della mia patria. Ho caro che Voi abbiate inteso come e quanto io ami e senta la vostra grande letteratura. Vorrei aver più tempo e agio a conoscerla tutta. Italiani e Tedeschi potremo qualche volta intenderci anche nell’arte, anzi specialmente nell’arte.

Con grato affetto Vi saluto e mi Vi offro

devotissimo

Giosue Carducci[63]

Come emerge dalla prima ricostruzione, qui solo schizzata, di questo episodio della Wirkung di Carducci in Germania, gli studi delle reti intellettuali di Carducci, delle modalità del transfer della sua opera e della sua figura nei paesi di lingua tedesca, sono ancora forieri di sviluppi. Tali ricerche possono trarre inoltre nuovi impulsi anche da indagini nei fondi archivistici tedeschi, svizzeri e austriaci, finora scarsamente considerati negli studi carducciani.

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* Versione scritta dell’intervento tenuto in apertura del convegno Tra ammirazione e conflitto. Carducci e il mondo tedesco (Accademia di Studi italo-tedeschi, Merano, 23-24 settembre 2022). Vorrei esprimere la mia gratitudine a tutti coloro che, con preziose consulenze, hanno facilitato le ricerche di cui si dà conto in queste pagine: Matteo Rossini e Marco Petrolli (Casa Carducci, Bologna); Yoann Givry (Fondation Martin Bodmer, Cologny, Genève), Steffen Hoffmann e Susanne Dietel (Universitätsbibliothek Leipzig); Wolfgang Göldi (St. Gallen, Kantonsbibliothek Vadiana); Benedicta Erny (Basel, Universitätsbibliothek). Vorrei inoltre esprimere la mia gratitudine alla Fondation Martin Bodmer per aver concesso l’autorizzazione a pubblicare, a corredo del saggio, le riproduzioni degli autografi carducciani acquisiti dal collezionista zurighese e conservati, oggi, a Cologny.

[1] Cfr. Th. Keller, Kulturtransferforschung: Grenzgänge zwischen den Kulturen, in S. Moebius, D. Quadflieg (Hrsg.), Kultur. Theorien der Gegenwart, Verlag für Sozialwissenschaften, Wiesbaden 20112, pp. 106-119.

[2] Cfr. G. Natali, La guerra delle nazioni e il poeta della terza Italia, Vela latina, Napoli 1914; F. Lo Parco, Lo spirito antitedesco e l’irredentismo di Giosuè Carducci: la voce e il monito del poeta nell’ora presente della patria italiana, Spadafora, Salerno 1915. Il libro di Lo Parco è significativamente portato a esempio, in uno studio recente sul «problema dell’identità» nella cultura e nelle arti italiane, di pubblicazione critica primonovecentesca che riflette posizioni ideologiche irridentiste; cfr. D. Dombrowski (Hrsg.), Kunst auf der Suche nach der Nation. Das Problem der Identität in der italienischen Malerei, Skulptur und Architektur vom Risorgimento bis zum Faschismus, Lukas, Berlin 2013, p. 199, n. 38.

[3] Cfr. E. Hunziker, Carducci und Deutschland, Graphische Werkstätten Sauerländer, Aarau 1927, pp. 20-29.

[4] Cfr. M. Azzolini, Carducci und die deutsche Literatur, Laupp, Tübingen 1910, pp. 5ss.; E. Hunziker, Carducci und Deutschland, cit., pp. 31-135; C. Fasola, La letteratura tedesca nelle opere di G. Carducci, in «Rivista di Letteratura Tedesca», 1907, pp. 86-100; G. Capovilla, Giosuè Carducci, Piccin Nuova Libraria – Vallardi, Padova 1994, pp. 42-47; E. Candela, Carducci lettore europeo, L’Orientale Editrice, Napoli 2001, pp. 32-39. Rimando inoltre a G. Cordibella, Carducci e la cultura tedesca, in E. Pasquini, V. Roda (cur.), Carducci nel suo e nel nostro tempo, Bononia University Press, Bologna 2009, pp. 355-383; Ead., Carducci inedito: le versioni dai tedeschi (con un inventario), in Andrea Carrozzini (cur.), Teorie e forme del tradurre in versi nell’Ottocento fino a Carducci (Atti del convegno, Lecce, 2-4 ott. 2008), Congedo Editore, Galatina 2010, pp. 341-361.

[5] Conversations de Goethe pendant les dernières années de sa vie, 1822-1832, recueillies par Eckermann, vol. I, trad. par È. Delerot, Charpentier, Paris 1863, p. 298.

[6] Cfr. G. Mazzini, D’una letteratura europea [1829], in Id., Scritti letterari editi e inediti, Galeati, Imola 1906, pp. 177-222.

[7] G. Carducci, Mosche cocchiere, edizione e commento a cura di L. Tomasin, in Id., «Classica e odierna»: studi sulla lingua di Carducci, Olschki, Firenze 2007, pp. 169-200: qui p. 193.

[8] Ivi, p. 194.

[9] Cfr. ivi, pp. 193-194.

[10] Cfr. F. Sinopoli, La letteratura europea come universo mitopoietico in Giuseppe Mazzini, in Ead., Il mito della letteratura europea, Meltemi, Roma 1999, pp. 35-38.

[11] Cfr. L. Fournier-Finocchiaro, Giosuè Carducci et la construction de la nation italienne, Presses universitaires de Caen, Caen 2006.

[12] G. Carducci, lettera a G. Chiarini del 1° gennaio 1874, scritta nel periodo aurorale di genesi del progetto delle Barbare («Ho voglia di fare […] delle elegie in esametri e in pentametri come Goethe. Non so perché quel che egli fece col duro e restío tedesco non possa farsi col flessibile italiano», in G. Carducci, Lettere, vol. IX, Zanichelli, Bologna 1942, p. 5).

[13] A. Landolfi, Giosuè Carducci übersetzt Platen, in G. Och, K. Kempf (Hrsg.), August Graf von Platen im Horizont seiner Wirkungsgeschichte, De Gruyter, Berlin 2012, pp. 61-70, qui p. 63.

[14] G. Capovilla, Giosuè Carducci, cit., p. 46.

[15] O. Hauser, Italienische Dichtung in Deutschland, in «Das literarische Echo», VII, 1, 1° ottobre 1904, pp. 915-920, qui p. 917 («Klopstock des modernen Italiens»).

[16] Th. Mommsen, lettera al fratello Tycho Mommsen, 1880, qui citata da L. Wickert, Drei Vorträge über Theodor Mommsen, Klostermann, Frankfurt a.M. 1970, p. 77 («An Charakter wie an Kunst hat Italien seit Giusti keine zweite ähnliche Erscheinung gehabt, und die Aufmerksamkeit auf ihn ist in Italien wie bei uns sehr lebhaft geworden»).

[17] Cfr. Th. Mommsen, lettera a U. von Wilamowitz-Moellendorff, Firenze, 22 ottobre 1879, in Th. Mommsen, U. von Wilamowitz-Moellendorff, «Aus dem Freund ein Sohn»: Briefwechsel 1872-1903, Bd. 1, hrsg. v. W.M. Cader III und R. Kistein, Weidmann, Hildesheim 2003, pp. 110-113.

[18] Ivi, pp. 116-117 (lettera di Mommsen a Wilamowitz, Charlottenburg, 28 nov. 1879).

[19] Cfr. Carducci: 24. December 1879, Büxenstein, Berlin 1879. Questa la dedica presente nell’esemplare conservato nella Biblioteca di Casa Carducci (Bologna): «Tentate pur! Saffo non fia mai vostra. / Però de’ suoi spondei bei e non scarsi / Vien libera ad inchinarsi / Al vinto nella gloriosa giostra».

[20] Cfr. Th. Mommsen, U. von Wilamowitz-Moellendorff, «Aus dem Freund ein Sohn»: Briefwechsel 1872-1903, cit., pp. 125-127 (lettera di Mommsen a Wilamowitz, s.l., 24 gennaio 1880): «Carducci hat seltsamerweise nicht geantwortet; dass er unseren Scherz übelgenommen sollte, glaube ich nicht […]» («Carducci stranamente non ha risposto; non credo che egli debba aversene avuto male per il nostro scherzo»). Nello «Scherz» a cui Mommsen fa qui riferimento va identificata plausibilmente la dedica sopra citata.

[21] Cfr. L. Wickert, Drei Vorträge über Theodor Mommsen, cit., p. 83.

[22] Th. Mommsen, U. von Wilamowitz-Moellendorff, «Aus dem Freund ein Sohn»: Briefwechsel 1872-1903, cit., p. 118 (lettera di Mommsen a Wilamowitz, s.l., 8 dicembre 1879).

[23] A. Gandiglio, Note di metrica carducciana, in «Atene e Roma», XIV, 145-146, gennaio-febbraio 1911, pp. 22-28, qui p. 22.

[24] G. Capovilla, Giosuè Carducci, cit., p. 45.

[25] Cfr. V. Gallo, La «lirica più gioconda che mai poeta abbia cantato». Pirandello traduttore delle “Römische Elegien”, in D. Biagi, M. Rispoli (cur.), Tra “Weltliteratur” e parole bugiarde. Sulle traduzioni della letteratura tedesca nell’Ottocento italiano, Padova University Press, Padova 2021, pp. 225-243, qui pp. 227-229. Rimando a questo saggio per ulteriori indicazioni bibliografiche.

[26] Ivi, p. 228.

[27] Nell’ampia bibliografia, oltre a studi qui precedentemente menzionati, cfr. almeno A. Monteverdi, Giosue Carducci «traduttore», in «Rivista d’Italia», 15 agosto 1912, pp. 306-317; A. Meozzi, Il Carducci traduttore, in «La Rassegna», XXV, febbraio 1917, p. 12-24; A. Fiedler Nossing, Heine in Italia nel Secolo Decimonono, Vanni, New York 1948; H. Ament, La parabola heiniana di Giosue Carducci, in F. Mattesini (cur.), Novità e tradizione nel secondo Ottocento italiano, Vita e Pensiero, Milano 1974, pp. 104-154; A. Di Benedetto, Traduttori di Heine nell’Ottocento: Del Re, Nievo, Zendrini, Carducci, in «Giornale storico della letteratura italiana», CLXXVIII, 2002, pp. 361-388; Id., Avventure italiane di un «Lied» di Heine, in «Rivista di Letterature moderne e comparate», n. s., LVII, 1, gennaio-marzo 2004, pp. 75-85; G. Cordibella, Carducci traduttore di antichi e di moderni (con un’appendice di versioni inedite da Virgilio), in «Accademia Nazionale Virgiliana di Scienze Lettere e Arti. Atti e memorie» (Atti della giornata di studi Giosue Carducci nel primo centenario della morte, Mantova, 21 ott. 2007), LXXV, 2009, pp. 261-285.

[28] Cfr. G. Cordibella, Carducci inedito: le versioni dai tedeschi (con un inventario), cit., pp. 351-361.

[29] Per uno studio delle versioni carducciane da Hölderlin e sulla loro funzione rimando a G. Cordibella, Hölderlin in Italia. La ricezione letteraria, Il Mulino, Bologna 2009, pp. 31-81.

[30] Edizione Nazionale delle Opere di Giosue Carducci, Mucchi, Modena 2000, p. 8.

[31] Tra le pubblicazioni sull’argomento mi permetto di segnalare anche G. Cordibella, Von der Übersetzung zum intertextuellen Dialog: Giosue Carducci als Interpret deutscher Lyrik, in Th. Klinkert (Hrsg.), Das Fremde im Eigenen. Die Übersetzung literarischer Texte als Interpretation und kreative Rezeption / S’approprier l’autre. La traduction de textes littéraires en tant qu’interprétation et réception créatrice (Atti del Colloque international, Freiburg i.Br., 4-6 dic. 2008), Schmidt Verlag (Studien des Frankreich-Zentrums der Albert-Ludwigs-Universität Freiburg, 20), Berlin 2011, pp. 195-208.

[32] Un’edizione di questa traduzione inedita si legge in appendice a G. Cordibella, Indagini nell’archivio di Carducci. Su una traduzione inedita e sulla sua funzione intertestuale, in «Letteratura e Letterature», XII, 2018, pp. 65-78.

[33] G. Carducci, Canti di Enrico Heine tradotti da Emilio Teza [16 aprile 1861], in Id., Opere, 30 voll., Zanichelli («Edizione Nazionale delle Opere»), Bologna 1935-1940, qui vol. XXVI, 1938, pp. 44-45.

[34] Carducci include la versione italiana di parti dei Reisebilder (capp. XII e XIII) nel saggio Conversazioni e divagazioni heiniane, ivi, vol. XXII, 1938, pp. 119-157, nello specifico pp. 144-147.

[35] Cfr. Id., Don Quixote (Da uno scritto di Enr. Heine), versione dal tedesco edita a puntate nella rivista bolognese «Don Chisciotte», nn. 1, 3, 9, 13 maggio 1881, poi in Id., Conversazioni critiche, Sommaruga, Roma 1884, pp. 51-73, ora in Id., Opere, cit., vol. XXIII 1939, pp. 313-337. Nella nota al testo qui pubblicata la prosa non è presentata con chiarezza come traduzione da Heine, lasciando intendere come essa consista piuttosto in «impressioni e osservazioni» sviluppate da Carducci a partire dal testo heiniano: «Diede occasione a questo scritto la prefazione che Enrico Heine pubblicò per una edizione in tedesco illustrata del “Don Quichotte” [sic], uscita nel 1837. Le impressioni e osservazioni carducciane furono pubblicate la prima volta nei primissimi numeri […] del Don Chisciotte “periodico politico letterario quotidiano” bolognese […]» (ivi, p. 473).

[36] Catalogo dei manoscritti di Giosuè Carducci, vol. I, a cura di A. Sorbelli, Comune di Bologna, Bologna 1921, p. 70 (si tratta, nello specifico, della descrizione dei materiali con segnatura: Casa Carducci, Mss., cart. iv, 9, I-VI).

[37] Per l’originale tedesco del brano tradotto cfr. H. Heine, Zur Geschichte der Religion und Philosophie in Deutschland [1834], in Id., Sämtliche Schriften, Bd. 3, hrsg. v. K. Briegleb, DTV, München 2005, pp. 638-641 (il passo volto in italiano da Carducci costituisce la parte conclusiva del trattato, con incipit: «Die deutsche Philosophie ist eine wichtige, das ganze Menschengeschlecht betreffende Angelegenheit …» ed explicit: «… eine Göttin, die, obgleich umgeben von lauter Fröhlichkeit und Kurzweil, dennoch immer einen Panzer trägt und den Helm auf dem Kopf und den Speer in der Hand behält. Es ist die Göttin der Weisheit»).

[38] H. Heine, [Sulla storia della religione e della filosofia in Germania]. Frammento di traduzione di Giosue Carducci, in G. Cordibella, Indagini nell’archivio di Carducci. Su una traduzione inedita e sulla sua funzione intertestuale, cit., pp. 74-78, qui p. 74.

[39] Cfr. B. Croce, Storia di un paragone, in « La Critica », IV, 1906, pp. 87-88.

[40] Ivi, p. 87.

[41] Cfr. A. Gramsci, Quaderni del carcere, vol. II, a cura di V. Gerratana, Einaudi, Torino 1975, pp. 1471-1473.

[42] Cfr. E. Sanguineti, Carducci giacobino, in Carducci nel suo e nel nostro tempo, cit., pp. 545-558.

[43] Cfr. G. Cordibella, Indagini nell’archivio di Carducci. Su una traduzione inedita e sulla sua funzione intertestuale, cit., pp. 71-74.

[44] Cfr. H. Heine, [Sulla storia della religione e della filosofia in Germania]. Frammento di traduzione di Giosue Carducci, cit., p. 75.

[45] Ibidem.

[46] Nell’ampia bibliografia sul tema rimando, in area italiana, almeno al saggio di S. Pavarini, «Un grande poeta e libero pensatore»: Carducci nella «Montagna incantata» di Thomas Mann, in «Filologia e critica», III, 2004, pp. 337-360, così come, per ulteriori indicazioni bibliografiche, ai recenti commenti al romanzo: Th. Mann, Der Zauberberg. Kommentar, hrsg. und textkritisch durchges. von M. Neumann, S. Fischer, Frankfurt am Main 2002, ad indicem (eccellente commento dove si riscontrano tuttavia purtroppo alcuni refusi nelle citazioni italiane, cfr. «Odi barbari»), nonché Id., La montagna magica, a cura e con una introduzione di L. Crescenzi e un saggio di M. Neumann, trad. it. di R. Colorni, Mondadori, Milano 2010.

[47] Un primo elenco della Corrispondenza di carattere culturale con relativo regesto dei documenti epistolari, non privo tuttavia di lacune e di imprecisioni, è stato compilato nei primi anni Sessanta e consultabile in R. Dalmonte, Giosue Carducci e la Germania, in «Convivium», XXXI, 1963, pp. 312-346, nello specifico pp. 326-333. Da quanto risulta, solo alcune delle lettere di Carducci scambiate con intellettuali germanofoni sono state date alle stampe. Tra queste va annoverato il carteggio con Karl Hillebrand, intellettuale cosmopolita, assiduo frequentatore dei salotti fiorentini e amico intimo di Nietzsche, cfr. Karl Hillebrand. Mostra di documenti (Firenze, Palazzo Strozzi 2-19 novembre 1984), a cura di L. Borghese, Mori, Firenze 1984. Ben diverso lo stato editoriale della corrispondenza con personalità e intellettuali di Francia. Oltre alle non poche missive comprese nei tomi dell’Edizione Nazionale delle Lettere carducciane, cfr. almeno Corrispondenti francesi di Giosuè Carducci, a cura di L. Pighi, Zanichelli, Bologna 1962.

[48] Cfr. G. Cordibella, Una lettera inedita di Aby Warburg a Giosue Carducci, in «Lettere italiane», IV, 2007, pp. 575-581.

[49] Cfr. Nachträge (Stand Ende 1986) und Register zu Friedrich Nietzsches sämtlichen Briefen. Sonderdruck aus Kritische Studienausgabe sämtlicher Briefe Nietzsches, hrsg. v. G. Colli u. M. Montinari, de Gruyter, Berlin-New York 1987, p. 25 («Egregio Signore, so troppo bene quanto Lei comprenda bene il tedesco. Potrebbe prendere in considerazione di presentare agli italiani questo scritto N[ietzsche] c[ontra] W[agner]? In Italia si deve pur cominciare a occuparsi di me: ho dalla mia parte le migliori intelligenze d’Europa – Monsieur Taine ad esempio xxx»). Ho già avuto modo di segnalare questa missiva in G. Cordibella, Carducci traduttore dei tedeschi, in M.A. Bazzocchi, S. Santucci (cur.), Carducci e i miti della bellezza, Catalogo della mostra (Bologna, 1° dicembre 2007 – 1° marzo 2008), Bononia University Press, Bologna 2007, pp. 150-161.

[50] Cfr. M. Bodmer, Eine Bibliothek der Weltliteratur, Atlantis-Verlag, Zürich 1947.

[51] G. Carducci, Monte Mario, autografo dell’ode con lettera del poeta a F. Martini recante data 31 gennaio 1882, Cologny (Genève), Fondation Martin Bodmer, C-5.1.

[52] Cfr. G. Carducci, Odi barbare, ed. critica a cura di G. A. Papini, Mondadori, Milano 1998, pp. 607-609. Qui è riproposta la trascrizione di Monte Mario che è apparsa in G. Carducci, Lettere, 22 voll., Zanichelli («Edizione Nazionale delle Lettere»), Bologna 1938-1968, qui vol. XIII, pp. 249-251. Come si ricava dalla nota a questa missiva (ivi, p. 326), la redazione autografa, in questo tomo dell’Edizione Nazionale delle Lettere, è «tratta dalla rivista Dante. Bulletin mensuel de culture latine, Paris, novembre 1932, dove è riprodotta la lettera in fac-simile».

[53] F. Gentili di Giuseppe, La prima versione del «Monte Mario» di Giosuè Carducci, «Dante. Bulletin mensuel de culture latine», I, 7, novembre 1932, pp. 1-4, qui p. 1.

[54] Così Gentili di Giuseppe è definito nel ben informato saggio di L. Frassinetti, Passioni, interessi e antagonismi tra eredità e collezioni. Su un mancato acquisto montiano di Carlo Piancastelli, in P. Brigliadori, P. Palmieri (cur.), Carlo Piancastelli e il collezionismo in Italia tra Ottocento e Novecento, Il Mulino, Bologna 2003, pp. 91-111, in particolare pp. 104-109.

[55] G. A. Papini, [Nota] a Su Monte Mario, in G. Carducci, Odi barbare, cit., p. 599. Si veda inoltre la nota di Valgimigli in G. Carducci, Odi barbare, testimonianze, interpretazione, commento di M. Valgimigli, Zanichelli, Bologna 1959, p. 251.

[56] G. A. Papini, [Nota] a Su Monte Mario, cit., p. 599.

[57] G. Carducci, Pel regno d’Italia, 1 c., autografo, in calce firma del poeta e nota «Composta fine a questo punto il 19 giugno 1861», Cologny (Genève), Fondation Martin Bodmer, C-5.2.

[58] Cfr. Ich kenne den Zauber der Schrift. Katalog und Geschichte der Autographensammlung Stefan Zweig mit kommentiertem Abdruck von Stefan Zweigs Aufsätzen über das Sammeln von Handschriften, hrsg. v O. Matuschek, Inlibris, Wien 2005. Per la descrizione dell’autografo carducciano cfr. ivi, p. 182.

[59] Cfr. G. Carducci, Levia Gravia, ed. critica a cura di B. Giulattini, Mucchi («Edizione Nazionale delle Opere», VI, 2), Modena 2006, pp. 211-219.

[60] Tra questi segnalo: G. Carducci, Einladung an Unbekannt (Invito a sconosciuto), [Bologna], 5 apr[ile] 1866, Basel, Universitätsbibliothek, UBH Autogr. Geigy-Hagenbach 1562 (una convocazione, sottoscritta da Carducci, a una riunione della Deputazione di Storia patria); un telegramma a Julius Gregorovius, con data 28.04.1891, Bayerische Staatsbibliothek München, Nachlass Ferdinand Gregorovius (Gregoroviusiana 23.a Deputazione di Storia Patria per le Province di Romagna). Questo primo censimento ha portato inoltre a identificare un autografo, con firma dell’autore, che presenta tre versi del Congedo di Rime e ritmi («Fior tricolore, / tramontano le stelle in mezzo al mare / e si spengono i canti entro il mio core»), s.d., vergati su una carta con stemma del «Senato del Regno», St. Gallen, Kantons­bibliothek Vadiana, Sammlung Robert Alther (VadSlg NL 202, 96, 66qG).

[61] G. Carducci, lettera a Matilde [Serao], Bologna, 13 nov[embre] 1884, UB Leipzig, Sammlung Nebauer, Slg. Nebauer/L/C-G/L100. Nella missiva Carducci annuncia la difficoltà di contribuire al periodico «La Rassegna» e di inviare a breve propri scritti a Serao: «Cara Signora Matilde, anzitutto. Non due articoli al mese promisi scrivere di tanto in tanto. I doveri miei d’insegnante mi portano ora, o, meglio, mi occupano […] molto del mio tempo. E la sera non so scrivere. Farò di tutto per mandare qualche cosa mercoledì. Ma, se non potessi? […] Voi, che siete giovine e piena ancora di promesse, potete affrontare il pubblico. A me piacerebbe tanto starmene in disparte. Addio, Giosuè Carducci».

[62] [F. Sandvoß], Giosuè Carducci. Brief an den Herausgeber des «Magazins», in «Magazin für die Literatur des In- und Auslandes», LIX, 8, 1890, pp. 115-117 (le citazioni si leggono alle pp. 116-117).

[63] G. Carducci, lettera a F. Sandvoß, Bologna, 27 apr[ile] 1890, autografo, Goethe- und Schiller-Archiv, Klassik Stiftung Weimar, Bestand Sandvoß, Franz (GSA 162/16, Blatt 1-2).