Gianluca Esposito
(Napoli – Osnabrück)
Il potere come dimensione politica e
antropologica nel romanzo
«Cox oder Der Lauf der Zeit» (2016) di Christoph Ransmayr
[Power as
political and anthropological dimension in the novel
«Cox or the Course of Time» (2016) by Christoph Ransmayr]
abstract. The essay analyses the characterisation of power in Christoph Ransmayr’s novel Cox oder Der Lauf der Zeit. Specifically, power is analysed on its political level, with the social implications that it necessarily entails on both the human and personal level, showing the individual in charge locked in the solitude of his distance from others; and on its gender level, which is expressed in the novel by the subjugation of the female to the male. In conclusion, nature and time in the novel are highlighted in their function as obstacles to limitless power.
Cox oder Der Lauf der Zeit, la «favola orientale», così Luca Crescenzi[1], di Christoph Ransmayr, uno dei narratori pressoché universalmente riconosciuti dalla critica tra i più rappresentativi della prosa contemporanea in lingua tedesca, è un romanzo incentrato sul personaggio dell’inventore e orologiaio Alister Cox, una rielaborazione finzionale dello storico inventore britannico James Cox (1723-1800). Nell’opera di Ransmayr, Cox, ricco borghese britannico del XVIII secolo e inventore di fama internazionale, riceve una commissione da emissari dell’Imperatore cinese Qiánlóng (1711-1799), il sovrano più potente del mondo, il quale non vuole semplicemente acquistare uno dei meravigliosi orologi che l’inventore realizza o commissionarne uno; piuttosto, chiede all’inventore di recarsi in Cina, una destinazione che, vista l’epoca in cui la trama è ambientata, viene descritta come esotica specialmente agli occhi occidentali del protagonista, per costruire sul posto automi e meraviglie meccaniche secondo i desideri dell’Imperatore. Cox accetta e si reca in Cina, probabilmente anche per alleviare la sua sofferenza di fronte alla morte della sua unica figlia Abigail all’età di cinque anni e il conseguente mutismo della sua amata moglie Faye.
Nell’immenso paese asiatico, e in un’ambientazione che Ransmayr crea combinando l’opulenza e la bellezza della corte imperiale con l’orrore delle torture, delle esecuzioni e del potere totalitario, Cox costruirà tre orologi per l’Imperatore: un orologio misurerà il tempo dell’infanzia, che scorre irregolarmente, a volte veloce e a volte lento, a seconda del piacere del momento vissuto; un altro misurerà il tempo della morte, il tempo provato dal condannato alla pena capitale, che sembra non passare mai e sembra essere parte della punizione stessa; infine, un terzo orologio dovrà stagliarsi oltre il tempo per misurare l’eternità stessa. Si tratta di un perpetuum mobile, paradossalmente un orologio senza tempo che non ha più bisogno di essere riattivato e può misurare il tempo all’infinito, superando la durata stessa della vita umana. Questo terzo orologio non sarà mai messo in moto da Cox e probabilmente nemmeno dall’Imperatore stesso: il suo funzionamento attesterebbe a quest’ultimo la caducità e la fragilità di un comune mortale che ha voluto pensare di essere Dio e Wàn suì yé, il Signore dei diecimila anni, ovvero dell’infinito.
Come si evincerà dalla seguente analisi, una delle peculiarità sviluppate nel romanzo sta nella sua tematizzazione del potere, sia su base individuale e sociale, analizzando le conseguenze psicologiche di chi il potere lo possiede e di chi lo subisce, mettendo in luce quanto l’immagine tipicamente propagandata dai regimi dittatoriali “dell’uomo solo al comando” sia in realtà falsa e che al contrario il totalitarismo si manifesti tramite la burocrazia al potere, sia in una prospettiva di genere, analizzando il rapporto che connette la dittatura del potente sul popolo e il potere dell’uomo sulla donna e, in ultima analisi, gli elementi naturali, ineffabili e incontrollabili, che questo potere annichiliscono.
1. Il rapporto col potere politico
Nel romanzo, la dimensione del potere è impersonificata in prima istanza dall’onnipotente Imperatore cinese. Anche se non sviluppato al pari di Alister Cox, nel romanzo anche Qiánlóng risulta essere un personaggio tutt’altro che stilizzato. A una prima lettura, si può osservare che l’Imperatore semplicemente rappresenti il potere assoluto e violento, ma approfondendo in realtà appare che l’esercizio del potere sia un elemento alle volte indipendente dal volere del sovrano stesso (CLZ, pp. 9s)[2].
L’imperatore è sin da subito inquadrato come «der mächtigste Mann der Welt» (CLZ, p. 9), un uomo dotato di tanto potere, che gestisce in modo autoritario comminando pene esemplari ai trasgressori della sua volontà. Inoltre, inizia sin da qui a possedere delle caratteristiche sovrannaturali, al punto che anche la natura è chiamata a sottostare al suo volere, che risulta infallibile. È proprio a partire da questo aspetto che l’Imperatore si pone come una sorte di “nemesi” del protagonista. Alister Cox e Qiánlóng appaiono e agiscono nel segno dell’eccellenza, in quanto Cox viene raffigurato come il migliore degli orologiai e Qiánlóng il più potente dei sovrani. Il rapporto in qualche modo complementare di Cox e Qiánlóng è designato fin dalle prime pagine, quando l’unico a poter distogliere l’attenzione della folla dal volere dell’Imperatore è proprio Cox che arriva via nave (CLZ, p. 10). Il primo capitolo ha quindi una funzione marcatamente introduttiva dei due personaggi, che polarizzano equamente lo spazio narrativo anche per il bilanciato numero di pagine dedicate[3].
Il romanzo sin dall’inizio offre un’immagine contrastante dell’Imperatore. Mentre ne descrive l’onnipotenza e la natura divina, altri elementi sembrano degradarne contemporaneamente la figura. Nello stesso capitolo 1 e poi nel successivo capitolo 2, elementi quali lo stato di malattia dell’Imperatore, così come il suo temere per la propria vita a causa di possibili congiure (CLZ, pp. 25-27), mettono in crisi la narrazione precedente di onnipotenza, divinità e assoluta obbedienza del popolo nei confronti del suo sovrano. In particolare, la voce narrante sembra “stare al gioco” e, mentre da un punto di vista estetico continua a esaltare la (presunta) natura divina dell’Imperatore, dall’altro descrive un uomo che sembra tutt’altro che potente nella condizione di malattia in cui si trova, apparendo come un «Wiegenkind» (CLZ, pp. 12s).
Proprio perché non appare mai direttamente sulla scena almeno fino al quinto capitolo (CLZ, pp. 76-84), quando a Cox è concesso per la prima volta di avere udienza dall’Imperatore, si ha la percezione che il sovrano possa neppure esistere, visto che non compare in pubblico, non lo si vede governare e non incide personalmente in alcun evento fino a quel momento narrato.
Proprio nell’episodio dell’udienza con l’Imperatore viene esplicitato un elemento già sibillinamente menzionato in precedenza (CLZ, pp. 48s e p. 60) che viene riproposto poi frequentemente nel testo. Anche senza ascoltare la propria voce dell’Imperatore, né dare particolare peso alle traduzioni dell’interprete Kiang, Cox sembra già aver capito cosa l’Imperatore si aspetti da lui (CLZ, pp. 81s). Questa specie di connessione mentale sembrerà perdurare anche oltre, fino anche alla commissione dell’ultimo orologio (CLZ, p. 217). Qiánlóng e Cox sono personaggi come interconnessi, due facce della stessa medaglia che vogliono la stessa cosa, ma per fini diversi.
Entrambi vogliono la costruzione dell’orologio in grado di misurare l’eternità. Cox aspira a costruirlo sia per una sorta di ambizione professionale personale, sia perché convinto che quest’orologio sarebbe in qualche modo in grado di ridare la parola alla moglie ammutolita; Qiánlóng invece vorrebbe quest’orologio per elevarsi ulteriormente, avere una prova tangibile del suo essere “ein Herr über zehntausend Jahre”, dove diecimila anni sta, appunto, per “infinito”. In realtà, l’orologio accelererà la decadenza di Qiánlóng, la sua degradazione prima a mortale e poi semplice uomo.
La degradazione di Qiánlóng ha in effetti inizio sin da subito; accanto ai titoli che generosamente sono riservati a lui dalla voce narrante, come visto altri elementi in contemporanea sembrano smontare la figura dell’Imperatore, facendole perdere la sua sacralità e grandezza. Ma tale tendenza si esplicita maggiormente a partire da capitolo 5, che non a caso è intitolato in cinese shí jiān (間時)[4], vale a dire “il tempo”, e non corrisponde al cinese nella traduzione tedesca, ein Mensch. L’essenza dell’umanità, con la sua connaturata caducità, è una peculiarità che l’Imperatore tenterà invano di rigettare, ma che sarà ineluttabile. Non è un caso che, mentre precedentemente la voce narrante affermava che l’Imperatore fosse un Dio (CLZ, p. 12), la presentazione del sovrano ora cambia:
Ein Mann, der sich als Herr der Welt, Der Erhabene, Der Allerhöchste und Herr der zehntausend Jahre und mit so vielen, unzähligen, anderen Titeln und Namen himmelhoch über den Rest der Menschheit hinausheben ließ, würde ihm einen Wunsch vortragen, den er entweder erfüllen oder an dem er scheitern – und vielleicht sterben konnte. (CLZ, p. 71)
L’imperatore non è più un Dio, smette di esserlo; ora “si fa chiamare” con questi titoli altisonanti, i quali risultano quindi avere oramai più una funzione ornamentale, piuttosto che esprimere un effettivo stato delle cose. A questa prima degradazione fa seguito una ulteriore, probabilmente più pesante, che banalizza definitivamente agli occhi del lettore la figura di Qiánlóng durante l’udienza, dove anche la solennità del cerimoniale stride eccezionalmente con la banalità e l’inconsistenza del pensiero di Qiánlóng sul trascorrere del tempo (CLZ, pp. 78s). Successivamente, la degradazione arriva a essere anche fisica («ein schlanker, feingliedriger Mann», CLZ, p. 210) e l’imperatore verrà poi ulteriormente sminuito, fino a venire accostato a un animale e a un contadino (CLZ, pp. 265s). Tuttavia, proprio in queste scene in cui l’Imperatore cessa di preservare anche la sua funzione puramente estetica, si assiste a una sua rappresentazione molto più tenera e naturale nel suo rapporto con la concubina Ān, lontano dal contesto cerimoniale della corte. Alla luce di ciò, nonostante gli elementi di crudeltà che la sua figura racchiude, Qiánlóng non può essere considerato un puro villain, così come Cox non può essere puramente una figura positiva, come la nostra analisi metterà in seguito in luce.
Malgrado il suo rango, Qiánlóng è certamente la figura che esce sconfitta. L’oggetto del suo desiderio, l’orologio in grado di misurare l’eternità che avrebbe dovuto certificare la sua natura divina, in realtà certifica l’ineluttabilità della sua caducità. È la prossimità della morte che Qiánlóng sente quando sta per avviare l’orologio. Il «kalter Hauch» (CLZ, p. 298) sta a simboleggiare nient’altro che la morte, tanto che poi la custodia dello strumento per l’avviamento dell’orologio dell’eternità viene chiamato «Kuhle» (CLZ, p. 298). Se tra le coordinate tracciate da Doren Wohlleben sulla poetica di Ransmayr si poteva trovare nell’incipit del romanzo la Ankunft nel caso di Alister Cox, altra coordinata rintracciabile nel romanzo è il Verschwinden, propria in questo caso di Qiánlóng nell’epilogo. Il motivo dello svanire si ritrova nell’ultimo Qiánlóng, quello raffigurato proprio nelle ultime pagine del capitolo 17 menzionate sopra. Davanti alla possibilità di certificare la propria esistenza terrena e la propria caducità tramite l’attivazione dell’orologio che può misurare l’eternità, Qiánlóng sparisce e viene ridimensionato. L’essenza del motivo del Verschwinden sta nel «Bewusstsein menschlicher Vergänglichkeit, die Demut vor dem Sein»[5]. La percezione del divino svanisce a favore dell’affermazione dell’umana caducità.
Non è solo l’uomo Qiánlóng con le sue certezze a dissolversi nell’epilogo del romanzo. È interessante notare quanto la rappresentazione del potere assoluto, che nei romanzi di Ransmayr gode spesso di ampia trattazione (si pensi alla rappresentazione a tinte fosche dell’Impero Romano in Die letzte Welt), abbia la caratteristica di mettere in luce quanto l’immagine tipicamente propagandata dai regimi dittatoriali “dell’uomo solo al comando”, sicuro, autoritario e indipendente, sia in realtà falsa e che al contrario il totalitarismo si manifesti tramite la burocrazia al potere, piuttosto che tramite il singolo al potere.
Nell’opera più conosciuta di Ransmayr, Die letzte Welt (1988), ambientata agli albori di un Impero Romano augusteo, ricco però di anacronismi, il governo dello Stato è gestito dai funzionari e dall’apparato burocratico, che “interpreta” a proprio piacimento il volere del sovrano, di fatto esautorandolo e gestendo autonomamente il potere[6]. In Cox oder Der Lauf der Zeit, per molti tratti la situazione è simile. Più volte all’interno del romanzo è specificato quanto fossero i mandarini a definire le scelte e le priorità di governo. Sin dalle prime pagine, infatti, viene messo in luce quanto l’Imperatore non avesse necessità di “vedere” o “dire”, in quanto «was zu sehen oder zu sagen war, sahen und sagten Untertanen für ihn» (CLZ, p. 12).
L’Imperatore non sembra esprimere direttamente gli ordini, piuttosto le direttive giungono dalla cerchia dei mandarini, come se loro stessi fossero responsabili del governo. Come si legge nel capitolo 4 riguardo all’errata profezia degli astrologi, davanti al volere poco chiaro dell’Imperatore, che tuttavia sembra non essere propenso a punire gli indovini, questi ultimi supplicano in realtà i mandarini di aver salva la vita (CLZ, pp. 57s); oppure, qualche pagina più tardi, quando sono i mandarini stessi a decidere l’appellativo dell’Imperatore, Wàn suì yé, il “Signore dei diecimila anni” (CLZ, p. 61). Un’esplicitazione più palese del potere dei mandarini è evidente verso la conclusione del romanzo, quando gli inglesi, che ottengono sempre più favore agli occhi di Qiánlóng, scombussolano l’ordine costituito dalla Corte. Infatti, la diretta volontà dell’Imperatore crea un notevole malcontento che culmina nel quartultimo capitolo con delle minacce alla vita stessa degli inglesi, la cui sicurezza era garantita dal favore che avevano presso l’Imperatore, scritte col sangue sui muri.
Selbst ein Kaiser
spricht nur mit einer Stimme,
sieht nur mit zwei Augen,
hört nur mit zwei Ohren.
Sein Hof dagegen
spricht und flüstert
mit tausend Stimmen,
sieht mit tausend Augen,
hört mit tausend Ohren
und tut mit tausend Händen,
was ein Meer von Augen
nicht sieht,
wenn alle Lider sich schließen
vor dem,
was getan werden muß. (CLZ, pp. 235s)
In questo frammento è chiara la presa di posizione della corte che si erge per competenza e potere al di sopra del sovrano. Nonostante sia l’Imperatore, Qiánlóng non è quindi libero di ospitare e stabilire regole nuove per gli ospiti, in quanto è la corte stessa a dettare le regole.
Non solo a essere messi in discussione sono gli ordini che riguardano gli ospiti inglesi, ma lo stesso Qiánlóng è obbligato indirettamente e inconsapevolmente a sottostare alla volontà e ai protocolli della corte. Per esempio, quando ordina di restare da solo insieme a Ān, mandarini e militari continuano a seguirlo e a controllarlo (CLZ, pp. 262-68).
Se nel Die letzte Welt gli imperatori Augusto e Tiberio si disinteressano del governo poiché concentrati sulla frivolezza e l’ozio, analogamente in Cox oder Der Lauf der Zeit l’imperatore Qiánlóng sembra disinteressarsi dell’esercizio del potere perché intento alle arti amorose con Ān e le altre concubine, impegnato nello scrivere poesie e ossessionato dalla sua curiosità per la costruzione dei tre orologi (CLZ, pp. 169-71).
In questa prospettiva, l’esercizio del potere non avviene in ragione del tradizionale motivo della sete di dominio del singolo; piuttosto in Ransmayr il potere appare come un mezzo, l’accessorio tramite il quale il singolo che sembra detenere il potere può dedicarsi indisturbato ad altro, disinteressandosi della cosa pubblica, degradando così la figura della “guida” del popolo a un mero ruolo di rappresentanza: essa non gestisce in alcun modo il potere né sembra essere interessata a farlo, rivestendo de facto una mera funzione estetica. Qui avviene anche la dissoluzione del sovrano in quanto il custode e difensore del popolo: il sovrano se ne disinteressa, non venendo in soccorso, né mostrando compassione quando i suoi sudditi soffrono, venendo ironicamente chiamato dalla voce narrante «Kriegsherr» (CLZ, p. 171), condottiero che però in realtà non combatte le proprie battaglie. Ciò riporta alla mente la critica spiccatamente illuminista alla nobiltà, che ritroviamo nelle figure dei principi non interessati alla guida politica, ma al solo proprio divertissement come, per esempio, in Emilia Galotti (1772) di Gotthold Ephraim Lessing e in Kabale und Liebe (1784) di Friedrich Schiller. Uno dei pochi elementi tradizionali della figura del sovrano assoluto è la sua incomparabile ricchezza messa a confronto con la povertà del suo popolo (CLZ, p. 142), elemento che tuttavia nel romanzo non gode di ampia trattazione e che infatti viene appena accennato.
2. L’amore e le sue forme: Faye, Abigail e Ān
Se Qiánlóng incarna il potere dal punto di vista politico, anche Cox non risulta estraneo a questa dinamica del potere, questa volta specialmente nel caso del suo rapporto col sesso femminile.
Le tre figure femminili presenti nel romanzo, Faye e Abigail, rispettivamente moglie e figlia di Cox, e Ān, concubina dell’Imperatore, sono personaggi senza una profonda caratterizzazione. Le prime due sono solamente menzionate in analessi o riflessioni di Cox oppure della voce narrante, ma non compaiono mai sulla scena. Ān compare qualche volta, ma non influisce particolarmente con le sue azioni sulla trama. Ciononostante, le figure femminili sopra elencate rivestono una certa importanza ai fini interpretativi dell’opera. Esse risultano rilevanti non per quello che fanno o pensano (né le azioni, né i pensieri dei personaggi femminili godono di particolare trattazione), ma per quello che simboleggiano e soprattutto quello che esse suscitano nella psiche di Alister Cox. Non casualmente, le figure femminili sono tutte introdotte contemporaneamente nel capitolo 2 e i confini tra le tre figure femminili appaiono molto sfumati.
Il presunto amore tra Alister Cox e Faye è descritto in realtà come un rapporto di dominio basato sulla bramosia di lui. Ciò che colpisce è che il dominio si manifesti anche da un punto di vista fisico-sessuale. Se la descrizione iniziale di un padre di una figlia morta in tenera età e di una moglie amata, che a causa del trauma si era ammutolita, aveva potuto certamente suscitare nel lettore un sentimento di pietà e benevolenza verso il personaggio di Alister Cox, la percezione cambia quando viene rappresentato il rapporto di coppia tra il protagonista e sua moglie:
Faye hatte ihm niemals ihren Willen aufgezwungen und nichts von ihm gewollt, jedenfalls nichts von dem, wonach Cox Nacht für Nacht und den ganzen Tag über und wann immer er mit ihr zusammen war, gierte. Faye hatte nicht gewollt, daß er sie küßte, nicht, daß er sie in seine Arme nahm, und nicht, daß er ihr die Kleider vom Leib zerrte und sie unter sich begrub wie ein Raubtier seine Beute unter sich begräbt … Und sie hatte nicht gewollt, niemals, daß er sich stöhnend auf ihr wand, bis sie, überwältigt von Wut, Schmerz und Ekel, spürte, wie sein Samen sie tief in ihrem Inneren berührte, an ihr Innerstes schlug!, und dann wie ein gestaltloses, wässriges Ungeziefer daraus hervorkroch und ihre Schenkel und das Bettuch besudelte. (CLZ, p. 43)
Questo è nient’altro che il racconto di una forma di stupro perpetrato su base regolare, anche se non espressamente narrato in questi termini. L’immagine positiva dell’inventore razionale è indebolita a causa delle prove che la vita gli ha riservato, e vacilla nonostante il narratore non esprima alcuna forma di condanna esplicita o alcun giudizio morale. Faye non prova alcuna attrazione fisica per Alister Cox, piuttosto un vago sentimento di affetto, nato probabilmente dal fatto che, vista la grande differenza d’età tra i due, Faye aveva conosciuto Alister Cox da bambina, quando, figlia di un operaio della ditta di Cox, ammirava l’inventore creare mirabili oggetti (CLZ, pp. 45s). Ciò introduce un altro tema di rilevante importanza. Riguardo Faye, viene detto che ella ha circa trent’anni meno di Alister Cox e che al momento della morte della piccola Abigail sia poco più di una bambina (CLZ, p. 37) e ciò in qualche modo “aggrava” la caratterizzazione negativa di Alister Cox, che sembra indirettamente tendere verso la pedofilia. Infatti, anche in occasione della presentazione del personaggio di Ān, si nota come l’attenzione di Cox, nonostante la presenza di molteplici concubine dell’Imperatore, ricada proprio su Ān, che in qualche modo richiama alla mente Faye e Abigail e che viene definita «Kindfrau» (CLZ, p. 41). Denominatore comune di queste tre figure è certamente l’essere definite bambine. Per l’universo femminile, Alister Cox sviluppa un sentimento sia di brama che di tenerezza, sebbene per Abigail non venga inclusa anche la dimensione fisico-sessuale, smorzando così l’immagine di un Cox pedofilo.
La caratterizzazione di Ān segue un percorso diverso rispetto a quella di Faye, in quanto non viene messa in evidenza la natura violenta del rapporto tra lei e Qiánlóng (CLZ, pp. 263s). Ān viene infatti presentata secondo il canone della donna-angelo, sebbene ciò, come spesso accade nelle rivisitazioni dei tòpoi letterari, contenga in sé dell’ironia. L’aspetto ironico sta nel fatto che il richiamo al motivo della donna-angelo che ispira l’arte poetica provenga non da una donna con determinate virtù morali o posizione sociale, come nella tradizione della lirica stilnovista, ma piuttosto da una concubina. La caratterizzazione di Ān come donna-angelo viene già introdotta nel capitolo 2, quando viene messa in evidenza il suo essere «Himmelswesen» (CLZ, p. 41). Inoltre, anche il titolo del capitolo a lei dedicato risulta confermare questa tesi. Ān è sì un nome di persona, ma anche un aggettivo che significa “quieto”, “tranquillo” (安). Ān si configura quindi come l’amata che in quanto divina possiede calma e tranquillità. Tuttavia, così come di Faye, anche di Ān non vi è un’ulteriore caratterizzazione e di certo non è una figura indipendente.
Oltre che per il mancato sviluppo durante la narrazione, si può notare come sia Ān che Faye siano in qualche modo sovrapponibili anche dal punto di vista affettivo-sentimentale e socioeconomico. Faye non ama Alister Cox e Ān non ama Qiánlóng e ciò configura un’ulteriore somiglianza anche tra i personaggi di Alister Cox e Qiánlóng. Entrambi sono alla ricerca di amore ed entrambi non sono amati, ma abusano della loro posizione dominante per riuscire a ottenere la donna del desiderio. Il narratore sviluppa la linea di congiunzione tra Ān e Faye presentando le loro relazioni di coppia in maniera simile in punti diversi della trama (CLZ, p. 265). Il rapporto tra Ān e Qiánlóng non è certo quello di un amore corrisposto e simile è il sentimento di Faye nei confronti di Alister Cox (CLZ, pp. 43-5). Sia Faye che Ān sono sottomesse ai propri partner per motivi socioeconomici. Faye deve sottostare ad Alister Cox poiché proveniente da una famiglia umile, la quale ha deciso il destino della propria figlia in ragione della sua povertà; Ān è costretta a sottostare a Qiánlóng a causa del suo status di concubina del sovrano assoluto.
Le figure femminili appaiono dunque sovrapponibili. Non è solo una percezione che la narrazione tenta di infondere nel lettore, ma sin dall’inizio è un qualcosa che viene percepito dallo stesso Alister Cox (CLZ, p. 68). Ciò che principalmente accomuna Faye, Abigail e Ān viene chiarito tuttavia verso la fine del romanzo: la loro irraggiungibilità (CLZ, pp. 280s). Faye risulta per Cox irraggiungibile poiché ella non prova un reale e forte sentimento per lui ed è ammutolita, mentre Ān è la concubina prediletta dell’Imperatore ed è per questo motivo parimenti irraggiungibile. Allo stesso tempo, anche Abigail è irraggiungibile poiché morta prematuramente.
La sovrapposizione non è basata sull’oggettività, ma è piuttosto l’espressione della soggettività. Guglielmo Gabbiadini ben descrive il processo mentale compiuto da Cox.
Tali immagini del femminile costituiscono nell’opera una serie o concatenazione del desiderio. La «corrispondenza» interna di queste immagini del femminile […] «non consisteva in forme e colori», ma era «il modo particolare in cui lo guardavano quegli occhi» (30). Esse aprono inoltre squarci sulla psiche di Cox, facendone emergere il lato notturno, la componente pulsionale in cui «Sehnsucht» si mescola a «Gier», in cui all’affetto tenero si mescola la brama della libidine[7].
In Alister Cox convergono due pulsioni, una che con Gabbiadini definiamo “notturna”, fatta di lussuria e bramosia, e una più innocente, che riconduce al tema del gioco. Abigail riesce brevemente a distanziarsi da Faye e Ān in quanto racchiude la personificazione del gioco. Non solo il gioco infantile proprio di una bambina, ma anche un “gioco” più maturo e adulto, che si manifesta in Cox con la costruzione di automi e orologi che sembrano a tutti gli effetti giocattoli. Per quanto riguarda questo aspetto, Alister Cox sembra incarnare la creatività propria dell’homo ludens. Il tema del gioco ha una florida tradizione letteraria, volta a caratterizzarlo come elemento imprescindibile del soggetto umano. A riguardo, Schiller scriveva nella quindicesima delle Lettere sull’educazione estetica dell’uomo che «[…] Der Mensch spielt nur, wo er in voller Bedeutung des Worts Mensch ist, und er ist nur da ganz Mensch, wo er spielt»[8]. Successivamente, nella prima metà del ’900, Johan Huizinga sosteneva che il gioco fosse una condizione primaria e necessaria per lo sviluppo della cultura e che fosse in realtà un elemento pre-culturale, non solo universale tra gli uomini delle varie epoche e culture, ma anche tra gli animali[9] e tra le varie espressioni del gioco, Huizinga, citando lo stesso Schiller e il concetto di Spieltrieb[10], menziona la produzione artistico-decorativa[11]. Nel romanzo, il gioco si manifesta con Alister Cox quando può costruire gli orologi, che esteticamente vengono descritti come giocattoli molto elaborati e decorati (CLZ, p. 92). Il primo orologio commissionato da Qiánlóng, la nave d’argento, ha la funzione di ponte di collegamento tra lui e Abigail, vale a dire il mondo dell’innocenza e del gioco. È grazie a esso che Cox torna vitale, grazie al gioco in quanto tale e al fatto che il “gioco” di inventare e costruire sia per Cox anche un modo per esorcizzare la perdita della cara figlia.
L’analizzare le figure femminili ha ulteriormente complicato le caratterizzazioni anche di Alister Cox e Qiánlóng. Nessuno dei due sembra poter assurgere a figura esemplare. Se Alister Cox sembra inizialmente emergere per la sua intelligenza, maestria e il sincero amore per la figlia defunta, egli viene poi ridimensionato dalla caratterizzazione che si fa del suo rapporto con la moglie; se il personaggio di Qiánlóng viene posto sotto una cattiva luce quando viene messo in evidenza che egli accetti la crudeltà del sistema di potere e ne sia parte, tuttavia viene parzialmente riabilitato grazie alle ultime immagini di lui, quelle di un uomo semplice al fiume e alla maggiore tenerezza del suo rapporto con Ān, presentato senza violenza rispetto a quello tra Alister Cox e Faye, nonostante Ān sia una concubina. Il romanzo in qualche modo offre sempre un motivo al lettore per non immedesimarsi, rinunciando a creare una figura in qualche modo esemplare.
A conclusione della riflessione sui personaggi femminili si può affermare che il romanzo non offra una rappresentazione positiva del rapporto affettivo-sessuale tra uomo e donna. Inoltre, non c’è nessun personaggio femminile che si elevi in qualche modo, che esprima il proprio punto di vista o che partecipi allo svolgimento della trama e ciò stona con la rappresentazione contemporanea del femminile. Sicuramente una tale rappresentazione risulta inaccettabile nella società contemporanea, poiché gli orizzonti ermeneutici di un lettore del XXI secolo sono molto diversi da quelli di una trama ambientata nel XVIII secolo. Ransmayr ha anticipato questa critica semplicistica e ingenua, chiarendo nello Zuletzt che i suoi personaggi sono «keine Gestalten unserer Tage» (CLZ, p. 302).
3. Natura e Tempo come antidoti al potere assoluto
Se fin qui abbiano analizzato le dinamiche del potere nelle loro manifestazioni inarrestabili, sociali politiche e di genere, ora la nostra attenzione si sposta su quelli che sono i limiti che il romanzo pone a tali manifestazioni. Sin dalle primissime pagine del romanzo, si viene a creare una polarizzazione forte tra il potere assoluto di Qiánlóng e la natura nella sua manifestazione più spontanea e imprevedibile (CLZ, p. 9), mettendo in luce che qui non si ha a che fare con una natura in una prospettiva religiosa, con un creato che segue un qualche ordine superiore, ma piuttosto con una natura espressione di eventi fortuiti e casuali, quindi caotici, che si oppongono a ragione della loro stessa essenza alla furia ordinatrice di un potere assoluto. In tal senso, nonostante gli auspici dell’incipit, l’intero romanzo rappresenta, in un continuo climax discendente, l’inesorabile sgretolarsi di questa certezza di dominio sulla natura e su un altro aspetto che certamente può essere considerato parte integrante di essa: lo scorrere del tempo. La natura, nelle sue manifestazioni indipendenti e incontrollabili, e il tempo, col suo scorrere inesorabile, rappresentano la prova della temporaneità e soprattutto dell’effimera illusione del potere assoluto umano. Del resto, subito dopo l’aver espresso la posizione di dominio sulla natura da parte dell’Imperatore, la narrazione riporta la natura al “potere”:
Und der Kaiser war unsichtbar. Das Schiff dagegen war es nicht – oder war den Blicken zumindest immer nur für einige Herzschläge entzogen, bevor die Nebelschwaden es wieder in eine untrügliche Wirklichkeit entließen. (CLZ, p. 11)
È la natura stessa, in questo caso rappresentata dalla nebbia, a decidere cosa debba essere visto e cosa no. L’Imperatore è invisibile, la nebbia invece rende visibile o meno, senza uno schema definito e definibile, determinate cose piuttosto che altre, indipendentemente dal volere umano.
La crudeltà e il dispotismo dell’Imperatore, ovvero in nome dell’Imperatore, ottengono una caratterizzazione sempre maggiore nell’evidenziare che anche la natura con il suo semplice manifestarsi compia “sbagli”, qualora la volontà dell’imperatore sia diversa. La natura stessa è sottoposta al volere dell’Imperatore tramite l’uso della forza, che però successivamente fallisce e costringe l’imperatore ad arrendersi a essa. Emblema di questo tentativo di controllo sulla natura e sul tempo sono i tentativi da parte di Qiánlóng di “allungare” l’estate a Jehol. Anche se ironicamente il narratore afferma che l’estate abbia ubbidito al comando, in realtà si legge che le manifestazioni tipiche del cambio di stagione procedono regolarmente (CLZ, p. 246). La serie di «obwohl» che caratterizzano questa pagina è il meccanismo tramite il quale l’ironia si manifesta: il narratore non afferma direttamente che gli ordini dell’Imperatore sono chiaramente disattesi, ma minimizza i fenomeni naturali dell’autunno, come se anche questi in realtà fossero non rilevanti, quando al contrario rappresentano esattamente le manifestazioni più comuni della stagione: pioggia, nuvole, foglie che cadono, temperature più basse. Tuttavia, la finzione scenica del potere resta viva nelle figure degli acquarellisti, costretti a fingere che sia ancora estate. Il potere assoluto di Qiánlóng si manifesta qui nella sua impotenza e nella sua mera funzione estetica. Il culmine arriva nel capitolo successivo tramite una formulazione ossimorica: «Die Pavillons und Paläste der Sommerresidenz lagen verschneit und froststarr in der Windstille». (CLZ, p. 261).
Oltre che per il regolare corso delle stagioni, che condensano lo scorrere inesorabile del tempo con le manifestazioni inderogabili della natura, la sconfitta del potere di Qiánlóng nei confronti della natura è definitivamente certificata da un oggetto che naturale non è, vale a dire lo «zeitlose Uhr» (CLZ, p. 234) che rappresenta il regolare scorrere del tempo, ma facendolo per l’eternità riesce a ridimensionare un uomo che credeva (o voleva credere) di essere onnipotente. Il tempo non conosce le regole dell’autorità umana. Il tempo è in questo modo sovversivo delle leggi del potere umano, che vengono ridicolizzate dall’inconsapevole e caotico manifestarsi della natura stessa (CLZ, p. 241).
3.1 Gli orologi come allegorie
Se ci si immagina in maniera intuitiva e semplice un orologio, ci si figurerà molto probabilmente e banalmente, a giusto titolo, uno strumento atto a misurare lo scorrere del tempo. Immaginando un buon orologio, si penserà che esso sia costante e preciso, conservi un ritmo regolare per non accumulare ritardi o anticipi. A partire da questa considerazione lapalissiana si nota facilmente come i primi due degli orologi descritti nel romanzo contravvengano al loro ruolo originario. Ciò significa che hanno un’altra funzione e questa alterità è espressa nel romanzo tramite l’utilizzo dell’allegoria, come messo in evidenza già da Ijoma Mangold[12].
Gli orologi non devono semplicemente misurare il tempo, ma piuttosto la percezione che si ha di esso. È un invito a considerare la soggettività di un qualcosa, lo scorrere del tempo, che solitamente e razionalmente è in realtà scandito in maniera uniforme e costante. È questo che permette ad Alister Cox come di entrare in contatto con la figlia Abigail nel produrre l’orologio che misura il tempo del bambino, nonostante lei sia morta due anni prima. Non è un caso che il capitolo 6 in cui il tema del primo orologio è maggiormente affrontato abbia anch’esso una titolazione particolare. La prima parte del titolo che è in cinese, Hái zi (孩子), sta per la parola “bambino” oppure “figlio/a”; la seconda parte del titolo, in tedesco, invece si riferisce alla forma dell’orologio, Das Silberschiff. Il significato allegorico qui è scritto chiaramente, ma viene nascosto dalla barriera linguistica che certamente il lettore-medio tedesco ed europeo ha davanti. La nave d’argento, l’orologio che misura il tempo del bambino, rappresenta per Alister Cox un legame con la figlia Abigail.
La visione soggettiva scaturita dagli orologi riguarda naturalmente anche il loro committente. Gisa Funck osserva che l’Imperatore commissiona gli orologi per misurare il tempo del bambino e quello della morte per rivivere la sua infanzia e prepararsi a ciò che avverrà. In altre parole, cerca tramite queste opere di comprendere il senso della sua esistenza[13]. L’Imperatore cerca quindi un modo per percepire il tempo passato e quello futuro. Una percezione del tempo soggettiva e irregolare, tuttavia, scombussola un altro orologio, più nascosto, che è presente all’interno del romanzo anche se non esplicitamente: il potere assoluto statale. Lo Stato come orologio, fatto di ingranaggi ordinati che funzionano all’unisono come un’unica entità, è un’immagine che ha un’ampia tradizione (per lo stesso Schiller lo Stato è una macchina, un “orologio’[14]). Nel romanzo, l’apparato statale, specialmente all’interno della Città proibita, scandisce con regolarità la vita di tutti (per esempio CLZ, pp. 34s), non solo dei sudditi, ma persino anche quella dell’Imperatore stesso. Gli orologiai britannici, che vengono a costruire orologi che non rispettano l’ordinario corso del tempo, rappresentano una minaccia all’ordine costituito, poiché tale ordine statale affonda la propria forza ed efficacia nel regolare processo delle cose. Da qui l’ostilità della corte verso gli orologiai britannici.
L’orologio più importante, tuttavia, è senza dubbio l’ultimo, quello in grado di poter misurare l’eternità. Lo stesso Qiánlóng riconosce infatti che il suo vero obiettivo non fossero i precedenti due, ma proprio il perpetuum mobile (CLZ, p. 216). A riguardo, Friedmann Harzer mette in evidenza come l’orologio sia una sorta di summa dei due estremi temporali misurati dai primi due orologi: inizio e fine, fanciullezza e morte[15]. La produzione dell’orologio non è importante solo per Qiánlóng, ma anche per Cox in quanto rappresenta la possibilità di un ponte con la moglie ammutolita (CLZ, p. 296). Il romanzo si conclude prima che questa possibilità venga posta a verifica. Si è portati a pensare tuttavia che questa possa essere solo una suggestione di Alister Cox, risultando essere anche l’espediente per la rielaborazione del mito, quando Jacob Merlin, collaboratore di Cox, nell’ultimo capitolo paragona Alister Cox a Penelope dell’Odissea (CLZ, 285-87).
Infine, l’orologio dell’eternità è nondimeno anche uno strumento in qualche modo terribile e diabolico.
Auch wenn außer den Beamten kaum ein Bewohner Jehols das Monster je zu Gesicht bekommen hatte, wußte hier mittlerweile jeder, der danach fragte, daß dieser endlose Sommer allein mit der unter den Händen und Werkzeugen der Engländer wachsenden Maschine zu tun haben mußte, die im Pavillon der vier Stege als Spuk, der von keinem Priester, keinem Bannspruch und Gegenzauber zu beherrschen war, von Tag zu Tag unheimlicher wurde. (CLZ, p. 248)
L’utilizzo della parola «Monster» crea una connessione con la parola latina originaria, monstrum, quindi prima di tutto un “prodigio”, per la cui realizzazione Cox aveva messo tanto impegno. Il fatto che la parola «Monster» sia in corsivo e che sia ripetuta per altre due volte in relazione all’orologio nel testo (CLZ, p. 290 e p. 297) è indice di un utilizzo del termine certamente non casuale. L’orologio è definito “mostro” per metterne in risalto sia il suo aspetto terrificante che meraviglioso. Qiánlóng esperirà entrambi, passando dall’ammirazione e dal desiderio per quel prodigio della tecnica, al terrore, dato dal fatto che quello strumento certifica la sua caducità e la sua finitezza umana e terrena. L’orologio, essendo in grado di misurare il tempo fino e oltre l’eternità, quindi anche oltre la stessa vita terrena di Qiánlóng, mostra l’ineluttabilità della morte a un uomo che si dipingeva come un dio onnipotente, rimarcando il motivo della caducità del singolo nei confronti del tutto, le cui origini si rintracciano sin dagli albori del canone letterario occidentale[16].
4. Trasversalità della rappresentazione del potere
La critica del potere assoluto può essere considerata come una tematica ricorrente nella produzione di Christoph Ransmayr, non solo nel già menzionato Die letzte Welt. Anche nella raccolta con forti elementi autobiografici e di non-fiction dal titolo Atlas eines ängstlichen Mannes del 2012, per esempio nel secondo racconto, Reviergesang, viene esplicitamente criticato Mao Tse-tung e la Cina viene definita «sogenannte Volksrepublik»[17].
Dall’analisi qui proposta, appare chiaro che in questo romanzo la tematizzazione del potere non si esaurisca tuttavia nella sola e più palese dimensione politica. Il potere infatti risulta essere tematizzato non solo come espressione dell’assolutismo di Qiánlóng, ma anche più in generale della figura maschile quando declinato in una prospettiva di genere, con la completa sottomissione del femminile e la sua oggettivizzazione nella cornice storica del romanzo. Non a caso, frequenti sono i paralleli proposti dalla voce narrante, come visto, tra le figure di Cox e Qiánlóng, nonostante il loro diverso status politico, di semplice cittadino o “borghese” il primo, solo teoricamente detentore del potere assoluto il secondo.
Nella cupa atmosfera in cui il potere dispotico e maschilista sembra prevalere, il romanzo tuttavia propone anche una speranza, mettendo in evidenza i limiti di questa rappresentazione spregiudicata del potere e la sua inevitabile sconfitta davanti a potenze più forti di ogni costruzione sociale, antropologica o politica. Nell’assenza di individualità esemplari nel romanzo, anche il personaggio che racchiuderebbe il potere assoluto viene banalizzato. L’essenza divina di Qiánlóng viene quindi innanzitutto messa in discussione dalle manifestazioni della natura, che non risultano influenzate dal suo presunto potere. La natura, è importante rimarcarlo, non ha però una funzione antitotalitaria “volontaria”, bensì questa sua funzione si manifesta non nell’ordine di una sorta di giustizia metafisica, ma nel disordine a tratti anche nichilista di un universo naturale caotico e scevro da ogni prospettiva deterministica, che si oppone inevitabilmente alla violenta tendenza ordinatrice dello stato totalitario.
Inoltre, in particolar modo il tempo, elemento onnipresente nel testo, mette in evidenza come colui che apparentemente sembrerebbe il detentore di un potere politico con sembianze divine, l’Imperatore Qiánlóng, sia nient’altro che un uomo, un mortale tra i mortali. Tale elemento viene messo in evidenza in maniera più chiara tramite quello che potremmo definire nell’universo del romanzo il “paradosso dell’orologio”: l’oggetto che doveva manifestare l’atemporalità del potere assoluto dell’imperatore, il perpetuum mobile, certifica in realtà la sua caducità e soprattutto la sua delegittimazione politica, rendendolo soltanto un uomo tra gli uomini.
La banalizzazione, poi, non include soltanto la dimensione in qualche modo spirituale della necessità di accettare la finitezza della vita umana, ma più concretamente viene banalizzata nel romanzo anche la stessa dimensione politica, mettendo in evidenza quanto il potere non sia realmente nelle mani del sovrano, ma che lui sia piuttosto la facciata dietro cui si cela un meccanismo più complesso, mosso da ingranaggi che si possono identificare con la burocrazia e il cerimoniale della corte imperiale, veri anonimi – in quanto impersonali – detentori del potere politico, che tutto controllano, finanche l’imperatore stesso, il quale si configura in un’ultima istanza come vittima dello stesso potere che dovrebbe rappresentare.
Riferimenti
Christoph Ransmayr, Atlas eines ängstlichen Mannes, Fischer, Frankfurt a.M. 2014.
Christoph Ransmayr, Cox oder Der Lauf der Zeit, S. Fischer, Frankfurt a.M. 20177.
Christoph Ransmayr, Die letzte Welt, Fischer, Frankfurt a.M. 201719.
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Luca Crescenzi, La favola orientale di Ransmayr, in: «Alias», 17/06/2018.
Marco Fantuzzi, Caducità dell’uomo ed eternità della natura: Variazioni di un motivo letterario, in: «Quaderni Urbinati di Cultura Classica», vol. 26, nr. 2, 1987, pp. 101-110.
Gisa Funck, Christoph Ransmayr’Cox oder Der Lauf der Zeit”: Parabel über Kunst und Macht. In: «Deutschlandfunk», 20/11/2016. https://www.deutschlandfunk.de/christoph-ransmayr-cox-oder-der-lauf-der-zeit-parabel-ueber-100.html (ultima consultazione, 10.09.2022).
Guglielmo Gabbiadini, Il perpetuum mobile del desiderio: Cox di Christoph Ransmayr e la raffigurazione letteraria del cosmopolitismo settecentesco tra esotismo e vanità, in: «Altre Modernità», numero speciale 2019, pp. 149-63.
Friedmann Harzer, Alchemie der Zeit: Über Ewigkeit und Augenblick in Christoph Ransmayrs Roman «Cox oder der Lauf der Zeit», in: «Text+Kritik», 220, X/18, pp. 53-61.
Johan Huizinga, Homo Ludens, Routledge, London 1980.
Bernhard-Arnold Kruse, L’estetica di Schiller come fondazione del soggetto moderno, in: L’io del poeta: figure e metamorfosi della soggettività, a cura di Ingrid Hennemann Barale e Patrizio Collini, Pacini, Pisa 2002, pp. 117-165.
Ijoma Mangold, Christoph Ransmayr, Zum Roman wird hier die Zeit, in: «Die Zeit», 47/2016, 10/11/2016.
J. C. Friedrich von Schiller, Ueber die ästhetische Erziehung des Menschen in einer Reihe von Briefen. In: Schillers Werke. Nationalausgabe, zwanzigster Band. Philosophische Schriften. Erster Teil, unter Mitwirkung von Helmut Koopmann herausgegeben von Benno von Wiese, Böhlau, Weimar 1962, pp. 309-411.
Doren Wohlleben, Christoph Ransmayr – Kalligraph und Kartograph, in: «Text+Kritik», 220, X/18, pp. 9-15.
[1] Luca Crescenzi, La favola orientale di Ransmayr, in «Alias», 17/06/2018.
[2] Christoph Ransmayr, Cox oder Der Lauf der Zeit, S. Fischer, Frankfurt a.M. 20177 (segnalato nel testo con la sigla CLZ).
[3] Circa 8 pagine ciascuno, pp. 9-17 per Qiánlóng e pp. 17-24 per Alister Cox (G.E.).
[4] Per l’indispensabile aiuto per la trasposizione dal cinese si ringrazia la Dr. Na Schädlich. Altre fonti utilizzate a tal fine sono state il dizionario cinese-inglese on-line Collins, LINK, e l’Enciclopedia Treccani on-line, LINK (ultima consultazione 10.09.2022).
[5] Doren Wohlleben, Christoph Ransmayr – Kalligraph und Kartograph, in «Text+Kritik», n° 220, X/18, p. 14.
[6] Cfr. Christoph Ransmayr, Die letzte Welt, Fischer, Frankfurt a.M. 201719, pp. 63-65 e pp. 112-23.
[7] Guglielmo Gabbiadini, Il perpetuum mobile del desiderio: Cox di Christoph Ransmayr e la raffigurazione letteraria del cosmopolitismo settecentesco tra esotismo e vanità, in «Altre Modernità», numero speciale 2019, p. 159.
[8] J.C. Friedrich von Schiller, Ueber die ästhetische Erziehung des Menschen in einer Reihe von Briefen. In: Schillers Werke. Nationalausgabe, zwanzigster Band. Philosophische Schriften. Erster Teil, unter Mitwirkung von Helmut Koopmann, herausgegeben von Benno von Wiese, Böhlau, Weimar 1962, p. 359.
[9] Cfr. Johan Huizinga, Homo ludens, Routledge: London 1980, pp. 1-13.
[10] J.C. Friedrich von Schiller, cit., pp. 352-55 – Lo Spieltrieb, l’istinto del gioco risulta essere nella quattordicesima lettera il punto di connessione tra l’istinto sensuale (der sinnliche Trieb o Stofftrieb) e l’istinto della forma (Formtrieb). Per ulteriori letture si rimanda a Bernhard Arnold Kruse, L’estetica di Schiller come fondazione del soggetto moderno, in L’io del poeta: figure e metamorfosi della soggettività, a cura di Ingrid Hennemann Barale e Patrizio Collini, Pacini, Pisa 2002, pp. 144-49.
[11] Cfr. Johan Huizinga, cit., pp. 158-72.
[12] Ijoma Mangold, Christoph Ransmayr, Zum Roman wird hier die Zeit, in: «Die Zeit», n° 47/2016, 10.11.2016.
[13] Gisa Funck, Christoph Ransmayr. “Cox oder Der Lauf der Zeit”: Parabel über Kunst und Macht, in: «Deutschlandfunk», 20/11/2016. LINK (ultima consultazione, 10.10.2022).
[14] J. C. Friedrich von Schiller, cit., pp. 313-315.
[15] Friedmann Harzer, Alchemie der Zeit: Über Ewigkeit und Augenblick in Christoph Ransmayrs Roman «Cox oder der Lauf der Zeit», in: «Text+Kritik», 220, X/18, p. 56.
[16] Cfr. Marco Fantuzzi, Caducità dell’uomo ed eternità della natura: Variazioni di un motivo letterario. In: «Quaderni Urbinati di Cultura Classica», vol. 26, nr. 2, 1987, pp. 101-10.
[17] Christoph Ransmayr, Atlas eines ängstlichen Mannes, Fischer, Frankfurt a.M. 2014, pp. 26s.