Erminio Morenghi

(Parma)

«Von deutscher Baukunst» di Goethe, agli albori della “Geniezeit”
nel segno dell’architettura gotica tedesca

[Goethe’s «Von deutscher Baukunst», at the dawn of the “Geniezeit”
in the name of German Gothic architecture]

abstract. Through an analysis of Goethe’s essay «Von deutscher Baukunst» this study intends to highlight the programatic value of the same for the first authentically German cultural movement, i.e. the «Storm and Stress». The paradigmatic figure of Erwin von Steinbach, the ingenious architect of Strasbourg Cathedral, sympathetically overshadows that of the medieval architect Eudes de Montreuil, whose re-evaluation is due to André Thevet from a patriotic and idealized Renaissance point of view. This is a curious parallelism in the name of creative genius and it represents the starting point of an important process that was to lead to a German aesthetic and literary renewal intended to overcome foreign models, especially French, and also to a re-evaluation of Gothic architecture in a patriotic and nationalist key.

All’indomani del Gothic Revival in area inglese, Goethe offre con il suo saggio Von deutscher Baukunst (ultimato nel 1772, la cui prima parte era già stata ideata l’anno prima a Sesenheim)[1], insieme ad altri scritti come Nach Falconet und über Falconet e Dritte Wallfahrt nach Erwins Grabe im Juli 1775, un originale contributo all’estetica e alla letteratura dello «Sturm und Drang», di cui diventerà, nel periodo di Strasburgo, insieme a Herder, il Bahnbrecher per antonomasia.

Il clima artistico natìo francofortese, in cui Goethe crebbe, non offriva un’educazione particolarmente elevata in materia di arti figurative[2]. Nell’ambiente cittadino borghese e, in particolare, nella casa paterna, facevano bella mostra di sé stampe tedesche e fiamminghe, a seguire quadri di pittori locali allora in voga (Hirt, Schütz, Trautmann, Nothnagel, Junckern, Seekatz)[3] fortemente influenzati della pittura olandese, figurine lavorate al tornio e dipinte in modo lezioso nonché teatrini in legno con bambole per uso domestico, una sorta di Kitsch ante litteram[4] che contrassegnava un collezionismo alto-borghese d’impronta dilettantesca.

Ma lo stile del piccolo mondo francofortese in prevalenza protestante fu, senza dubbio, il Gotico, ben rappresentato dal Kaiserdom Sankt Bartholomäus (esempio eloquente di Hallenkirche), dove venivano incoronati gli imperatori del Sacro Romano Impero, dagli edifici che si affacciavano sul Römer, dalle dimore patrizie come pure dalla torre Eschenheimer[5]. L’impronta medievale delle sue viuzze fiancheggiate dalle tipiche Fachwerkhäuser non poteva sfuggire al giovane Goethe che assisterà, nell’aprile del 1764, all’incoronazione di Giuseppe II e al passaggio del corteo d’onore dei dignitari delle corti tedesche in abiti medievali e dei rappresentanti delle corporazioni cittadine. Egli, pur frequentando gli atelier dei pittori locali e prendendo lezioni di disegno e di pittura sotto l’attenta vigilanza del padre, non ricevette quella solida preparazione riguardo ai principi fondamentali dell’arte. In fatto di pittura la situazione, in cui versava Francoforte, non era molto diversa da quella delle altre città tedesche. I quadri prediletti erano i paesaggi di pittori fiamminghi e tedeschi simili quanto ai soggetti e allo stile[6]. Le stampe della casa paterna che ritraevano le rovine di Roma antica e che ricordavano l’Italienreise compiuto da Johann Kaspar Goethe nel 1740[7], suscitarono certamente curiosità nel figlio, ma il suo gusto era ancora prevalentemente condizionato dal familiare Gotico francofortese. Decisivi per la sua educazione artistica ed estetica saranno gli anni di Lipsia (1765-1768), durante i quali egli, da studente eclettico della facoltà di diritto, si immergerà nell’atmosfera rococò cittadina, espressione del forte legame con la cultura francese così diverso dal clima conservatore della vecchia Francoforte quanto al tenore di vita, al gusto e alle mode[8]. Disertando le lezioni di diritto, qui si nutrì del magistero accademico di Adam Friedrich Oeser che lo introdusse, oltre alla pratica del disegno, alla conoscenza dell’arte classica[9]. Lesse a fondo gli scritti di Winckelmann e il Lakoon di Lessing, seguì alcune lezioni di Gottsched e di Gellert, rimanendone deluso. Singolare fu la visita di Goethe alle collezioni d’arte di Dresda avvenuta nella primavera del 1768, nel corso della quale, si rifiutò di vedere ciò che di antico la città gli poteva offrire. Riguardo poi alla pittura dei maestri italiani ne accettò il valore più per devozione che per conoscenza, rivolgendo la sua attenzione prevalentemente alla pittura olandese ben rappresentata dalle opere di Adrian van Ostade, artista da lui allora molto amato. Dall’insegnamento di Oeser recepì soprattutto la celebre definizione «edle Einfalt und stille Größe» («nobile semplicità e calma grandezza») dell’arte greca che Winckelmann coniò nell’opera Gedanken über die Nachahmung der griechischen Werke in der Malerei und Bildhauerkunst (1755)[10], anche se non subito ne comprese la portata. In lui fece senz’altro breccia il fatto che l’opera d’arte, per definirsi tale, doveva essere nobile e nel contempo grande come la Natura e possedere in se stessa «un nucleo di verità». In una lettera al libraio di Lipsia Reich del 20 febbraio 1770 scriverà in proposito:

[Oesers] Unterricht wird auf mein ganzes Leben Folgen haben. Er lehrte mich, das Ideal der Schönheit sei Einfalt und Stille, und daraus folgt, daß kein Jüngling Meister werden könne.[11]

Il 28 agosto del 1768 Goethe rientrò a Francoforte in preda a una profonda crisi esistenziale che minò la sua salute, mettendo a repentaglio per ben due volte la sua vita. Una volta ristabilitosi, decise di continuare gli studi di giurisprudenza presso l’università tedesca di Strasburgo. Tale soggiorno accademico costituirà una tappa decisiva della sua carriera di scrittore, poeta e intellettuale. Vi approdò il 2 aprile del 1770 e subito si inserì nell’ambiente cameratesco universitario. Conobbe, tra l’altro, Jung-Stilling, il futuro drammaturgo Lenz e, nell’estate dello stesso anno, compì con alcuni amici un viaggio pieno di incanto e di emozioni attraverso l’Alsazia e la Lorena. Ma decisivo fu il suo incontro con Herder che, di ritorno dalla Francia, aveva dovuto interrompere il suo viaggio proprio a Strasburgo per sottoporsi a un delicato intervento alla vista. Goethe si intrattenne con lui, autore già affermato nel panorama estetico-letterario per i suoi scritti Über die neuere deutsche Literatur. Fragmente (1767) e Kritische Wälder oder Betrachtungen, die Wissenschaft und Kunst des Schönen betreffend (1769), in colloqui sul carattere e l’arte dei Tedeschi che daranno vita alla raccolta Von deutscher Art und Kunst. Einige fliegende Blätter pubblicata nel 1773 che contiene, tra l’altro, i saggi herderiani su Shakespeare e Ossian e quello goethiano Von deutscher Baukunst che si andrà qui ad analizzare. Tali colloqui, dal forte valore programmatico, daranno vita al movimento dello «Sturm und Drang». Di grande stimolo per Goethe furono sicuramente le riflessioni di Herder sulla poesia come espressione del carattere, dello spirito e della coscienza di un popolo che lo porteranno a comporre la celebre lirica Heidenröslein da intendersi come espressione poetica di carattere popolare. Ma centrale nella stesura del saggio Von deut­scher Baukunst fu senz’altro l’apporto teorico ed estetico herderiano finalizzato alla riscoperta del Gotico, delle sue caratteristiche e valenze nazionaliste. L’approccio di Herder al Gotico[12] non si circoscrive al tipo di stile, ma si delinea come un preciso orientamento di gusto interconnesso con la lingua, la storia, la poesia e la religione del popolo tedesco. In una recensione alle Oden di Klopstock egli svaluta, in un certo senso, il Gotico come stadio preliminare (Vorstufe) della bellezza di un tempio greco, affermando «Ist es nicht, als ob man aus einem allerdings erhabenen, aber zu künstlichen, dunkeln und ungeheuren Gotischen Gewölbe in einen freien griechischen Tempel käme, und da in einer Melodie, als in einem schönen regelmäßigen Säulengange wandelte?»[13]. L’aggettivazione “erhaben”, “künstlich”, “dunkel”, “ungeheuer” verrà ripresa dallo stesso Goethe nei suoi scritti sull’architettura gotica a riprova dell’influsso rilevante che le conversazioni con Herder esercitarono su di lui. Lo stesso Alexander Pope paragonò l’opera di Shakespeare alla maestosa tecnica costruttiva di un duomo gotico[14]. Herder riprese l’idea di Pope nel suo scritto abbozzato Von gotischem Geschmack[15], affermando che la lingua dei tempi antichi è simile a un «gotisches Gebäude»[16]. Per lui il concetto di Gotico diviene sinonimo di “Deutsch”. Tale concetto verrà applicato alle stesse odi di Pindaro e ad altre arti come la musica e la danza[17]. Se Sulzer giudica il gusto gotico come arbitrario e primitivo[18], Herder ritiene, dal canto suo, l’arte gotica un’arte che rivendica il proprio diritto di esistere “autonomamente” in quanto «arte tedesca» autentica che ha un orientamento di gusto individuale, dipendente dalle condizioni climatiche e dall’indole di un popolo, non priva di una sua maestosa grandiosità («Ein erstes Werk, ein erstes Buch, ein erstes System, eine erste Visite, ein erster Gedanke, ein erster Zuschnitt und Plan, ein erstes Gemälde geht immer bei mir in dies gothische Grosse»[19]). Soffermandosi sulla Perspektivische Kunst, Herder sostiene che l’architettura dei popoli originariamente derivi da «Lauben, Hütten, Alleen und Verschönerungen von Höhlen oder Grotten»[20]. In tale tesi può essere rintracciata la teoria della «capanna primitiva», dalla quale sarebbe derivata la maniera gotica di costruire. Il Gotico come orientamento di gusto individuale, sia pure arbitrario e primitivo, si contrappone al gusto greco e “romantico” francese. Ma riprendendo Sulzer, tale stile, anche se esclude quasi tutte le regole del bello in favore del “Muehsam”, “Geziert”, “Seltsam” e dell’“Abenteurlich”, conserva, ciononostante, alcune tracce del “buon gusto” rintracciabili nella Basilica di San Marco a Venezia e nella cattedrale di Strasburgo («das im dreyzehnten Jahrhundert aufgeführt worden und unter die erstaunlichsten Gebaeude der Welt von ihm gerechnet wird»[21]). Ma una questione fondamentale per i riverberi estetici negli scritti stürmisch herderiani e goethiani, è lo stretto legame sostenuto da Sulzer tra l’opera architettonica e il Genio creativo[22]. Nello «Sturm und Drang» si affermano, infatti, programmaticamente, i concetti-chiave a) di “Natura” considerata come luogo utopico e nostalgico, in cui l’uomo, nella propria solitudine, ritrova l’armonia con il creato, recuperando, secondo la visione ottimistica di Rousseau, quella pacifica dimensione primigenia che le convenzioni sociali in seguito annulleranno, e b) di “Genio creativo” legato strettamente al potenziamento del Gefühl (facoltà usata anche in modo percettivo) nonché della coscienza individuale che, partendo da una dimensione intimista di matrice pietistica, cercherà di affermarsi titanicamente nell’evoluzione delle dinamiche storiche. Se per Hamann il Genio viene esaltato come «riflesso di una celebrazione del sentire dell’uomo in Dio, anche nella parola»[23], per cui il sentire umano geniale è un sentire il divino, assegnando, in tal modo, al Genio prerogative demiurgiche, in Herder invece, sulla scorta della sensibilità pietistica e dello spinozismo, il Genio individuale giunge allo spirito di Dio, attraverso la Natura e la Storia. Si tratta di un Genio individuale che si dilata a quello della lingua e alle manifestazioni artistiche, filosofiche, religiose di ciascun popolo. Dopo la parentesi teorica illuminista e di Hamann nonché quella poetica di Klopstock, gli esponenti dello «Sturm und Drang», da Herder a Goethe, da Schiller a una nutrita schiera di drammaturghi (tra cui Lenz, Klinger, Müller, Leisewitz) tendono, in un primo momento, a interiorizzare le istanze della “creatività geniale”, per poi estrofletterle, attraverso le loro opere, con forti toni critici e polemici nei confronti delle convenzioni sociali e delle istituzioni dell’ancien régime in favore di un dinamismo più maturo della coscienza individuale che dovrà sfidare il cieco fatalismo e l’incontrovertibile corso della Storia. Ciò porterà all’affermazione di una nuova visione dell’uomo inteso come “Übermensch”, “Kraftkerl’[24], “Originalgenie”, novello Prometheus göttergleich, che si avvale della propria capacità creativa per infrangere i canoni letterari e artistici della tradizione e sovvertire “poeticamente e teatralmente” l’ordine costituito. Tutto ciò nasce da un’inquietudine moderna rispetto al quietismo conservatore, in cui versava il Sacro Romano Impero di nazione tedesca, alla stasi delle coscienze e della volontà, al pedante eruditismo e convenzionalismo dell’intellighenzia illuminista. Saranno il Gefühl[25] e lo Herz a rivendicare le proprie urgenze sentimentali e creative in stretto contatto con la Natura già in sé e per sé “geniale”. Ciò aprì il cammino agli inni giovanili di Goethe, ma soprattutto alla rivalutazione del Gotico nello scritto Von deutscher Baukunst[26] concepito nel periodo strasburghese[27] ma steso in poche settimane solo nel 1772, la cui prima pubblicazione di complessivi 500 esemplari (un quadernetto in ottavo di solo sedici pagine privo dell’indicazione dell’autore e del luogo di stampa) avvenne nel tardo autunno dello stesso anno presso l’editore Johann Heinrich Merck di Darmstadt con il sostegno finanziario del padre Johann Caspar. Lo scritto venne ripubblicato più volte: nel 1773 nei Fliegenden Blättern di Herder intitolati Von deutscher Art und Kunst, nel 1789 nell’«Allgemeinem Magazin für die bürgerliche Baukunst» diretto da Gottfried Huth e infine da Goethe stesso nel 1824 nel terzo quaderno del quarto volume Über Kunst und Altertum. Si tratta di un testo fondamentale che dà corpo al programma estetico-artistico dello «Sturm und Drang» ed è da recepire come un contributo fattivo, di grande interesse, al Gothic Revival da un’ottica (Sichtweise) tedesca tardosettecentesca[28]. La scrittura non è immune da un certo sperimentalismo d’avanguardia che, secondo Keller, è assimilabile a «ein merkwürdiges Durcheinander von Gedanken, Stimmungen, Ahnungen, Halbwissen und Theorien, halb Pamphlet, halb Hymnus»[29]. Dello stesso avviso è anche Robert Krause, quando afferma in un suo brillante contributo critico:

dabei deuten eben die stilistischen Merkmale, der zutiefst subjektive und polemische Charakter sowie die argumentative und thematische Polyvalenz des Textes auf die literarische Form des Essays, die doch «gerade aus der Opposition gegen die klassifikatorischen Ordnungen aller Art entstanden ist» und seit Lessing auch in der deutschen Literatur zunehmend Verbreitung findet.[30]

Nel solco della tradizione del saggio a carattere individuale, inaugurata da Montaigne, Goethe rivela nel suo Von deutscher Baukunst una «Multiperspektivität in Verbindung mit einer discontinuierlichen Gedankenführung» caratterizzante la sua Schreibweise basata sul «antisystematisches und methodisch-unmethodisches Verfahren»[31]. Ciò appare perfettamente in linea con il programma di rottura, anticlassicista, eterodosso, proprio dello «Sturm und Drang», rispetto agli schemi tradizionali di scrittura, che trova espressione, oltre che nel saggio goethiano qui considerato, anche nel Journal meiner Reise im Jahre 1769 di Herder e nelle Anmerkungen übers Theater di Lenz. È lecito parlare di un programma che propone una visione estetica aperta, affrancata dalla precettistica dell’Illuminismo francese e tedesco, la quale dà modo all’individuo geniale, ossia dotato di ingĕnium, di esprimere, senza la costrizione di un canone prestabilito, la propria creatività. Quest’ultima trae la sua linfa vitale dall’Erkenntnis della Natura attenta anche all’aspetto emotivo, percettivo e sensoriale della realtà umana. Le opere create dall’individuo geniale saranno pertanto opere «aperte», «molteplici», «anticlassiche», «asistematiche», con nuclei enigmatici, un’eredità che verrà raccolta dai Romantici, in particolare da Friedrich Schlegel nel suo romanzo Lucinde, nel Dialogo sulla poesia e nei suoi scritti di estetica. Hendrik Hellersberg sostiene efficacemente che lo scritto goethiano è una «textuelle Architektonik, die sich in der symmetrischen Anordnung um den dritten Teil, der gleichsam die Mittelachse einer fünfschiffigen Kathedrale, zeigt»[32], tesi ribadita anche da Steffan Bengtsson che scrive in proposito:

Der Text konstruiert sich, während wir ihn lesen, und was konstruiert wird, kann am besten als Gebäude mit unterschiedlichen Räumen beschrieben werden[33].

Il Baukunst-Aufsatz goethiano contempla infatti una quintupla ripartizione: il primo paragrafo è incentrato sull’omaggio in forma di dialogo che il poeta tributa all’architetto Erwin von Steinbach da lui riscoperto, il secondo sulla contrapposizione dell’arte nordica a quella romanza, il terzo pone al centro l’esperienza sensibile e sentimentale dell’osservatore di fronte alla cattedrale, il quarto la polemica contro l’interpretazione distorta dell’architettura gotica con la formulazione di un’estetica del caratteristico, per concludere con il quinto, in cui Goethe affronta la tematica del Genio in stretto collegamento con il saggio Zum Shakespeares-Tag (1771). La nostra attenzione sarà però qui rivolta, sulla scorta degli elementi testuali ed extra-testuali di Von deutscher Baukunst, per un verso alla rivalutazione del Gotico da parte di Goethe di per sé originale ed eterodossa, a volte con qualche licenza polemica pretestuosa, frutto dell’impeto stürmeriano, e per l’altro all’esaltazione entusiastica dell’architettura gotica con i dovuti accenni ai concetti di Genio, di opera d’arte geniale e di Natura che hanno informato la sua visione estetica giovanile. L’approccio goethiano all’architettura gotica è un approccio di per sé sublime, entusiastico, sensibile e sentimentale, segnato da un certo piacere dovuto alla molteplicità delle forme architettoniche («Eine solche Mannigfaltigkeit gibt immer ein großes Behagen»[34]) e condizionato da qualche pregiudizio riconducibile alla sua formazione estetica classica:

Unter Tadlern der gotischen Baukunst aufgewachsen, nährte ich meine Abneigung gegen die vielfach überladenen, verworrenen Zierarten, die durch ihre Willkürlichkeit einen religiös düsteren Charakter höchst widerwärtig machten; ich bestärke mich in diesem Unwillen, da mir nur geistlose Werke dieser Art, an denen man weder gute Verhältnisse, noch eine reine Konsequenz gewahr wird, vors Gesicht gekommen war.[35]

Le sue conoscenze in materia erano piuttosto comuni e adeguate al ceto altoborghese di appartenenza e quindi a una persona dotata del cosiddetto «buon gusto» («hatte ich den Kopf voll allgemeiner Erkenntnis guten Geschmacks»[36]) tipico del clima illuminista imperante. Goethe ha rubricato la parola gotisch con tutti i suoi equivoci sinonimici propinati dagli studiosi del tempo, secondo i quali il Gotico era pertanto espressione stilistica dell’“Unbestimmten, “Ungeordneten”, “Unnatürlichen”, “Aufgeflickten, “Überladenen”, del “Zusammengestollpeten” nonché della «verworrenen Willkürlichkeit gotischer Verzierungen»[37]. Anche per lui il Gotico era sinonimo di barbarico, di tutto ciò che apparteneva a un mondo estraneo, altro, un termine quindi non familiare sino alla scoperta della sublime cattedrale di Strasburgo[38]. Come sostiene G. Baioni[39], nell’elencare le qualità negative del Gotico, Goethe non perde l’occasione di ricollegarlo all’idea «del Kitsch borghese e provinciale, piccolo, grazioso, leziosamente ornamentale» («von dem gedrechselten, bunten Puppen- und Bilderwerk an, womit unsre bürgerliche Edelleute ihre Häuser schmücken, bis zu den ernsten Resten der älteren deutschen Baukunst»[40]). Il Gotico era pertanto lo stile del piccolo mondo di Francoforte a partire dagli edifici sino agli oggetti che arredavano le dimore patrizie, affine allo sdolcinato e affettato rococò. Per il poeta, come del resto per i suoi contemporanei, tale stile non rientrava nel gusto estetico del tempo («was nicht in mein System paßte»)[41].

La cattedrale di Strasburgo suscitò in lui subito stupore e ammirazione, come risulta da una lettera all’amico Röderer del settembre 1771, in cui definì l’edificio sacro come «das größte Meisterstück der deutschen Baukunst»[42], anche se allora non aveva ancora iniziato a stendere il suo saggio, ma a documentarsi con la dovuta perizia. Si fece infatti spedire da Johann Daniel Salzmann una copia delle fondamenta della cattedrale e del grandioso progetto architettonico di Erwin von Steinbach, rimasto purtroppo incompiuto (da segnalare la mancata costruzione della torre gemella), oltre ad avere già, a suo tempo, letto nella biblioteca paterna parecchie pubblicazioni in merito come pure la raccolta biografica intitolata Recueil historique de la vie et des Ouvrages des plus célèbres Architectes di Jean-François Félibien des Avaux[43] (pubblicata la prima volta a Parigi nel 1687 e successivamente nel 1706 ad Amsterdam) e l’opera Straßburger Münster und Thurn-Büchlein, oder kurtzer Begriff Der merckwürdigen Sachen, so im Münster und Thurn zu finden seynd (1732) di Georg Heinrich Behr, medico di Strasburgo, funzionario giudiziario, dal 1743 Presidente della «Teutschen Gesellschaft zu Strasburg» e membro dell’Accademia scientifica leopoldina. L’opera di Félibien des Avaux, oltre ad argomentare l’importante distinzione fra Gothic ancien e Gothic modern, presenta un interessante riferimento allo studioso francese André Thevet che, nel suo trattato Les vrais pourtraits et vies des hommes illustres grecz, latins et payens, recuelliz de leurs tableaux, livres, médalles antiques et modernes (uscito nel 1524 in 9 volumi) esalta la figura dell’architetto medievale Eudes de Montreuil (capitolo 92)[44] il quale, al servizio di Luigi IX di Francia detto il Santo e di alcuni ordini minori, occupò una posizione preminente tra gli architetti del suo tempo. Riferendosi alla rivalutazione di Eudes de Montreuil da parte di Thevet, Nicolas Prouteau afferma che l’autore ha creato il mito dell’“architetto geniale” in un’ottica rinascimentale patriottica e idealizzata[45]. Si potrebbe quindi avanzare l’ipotesi che Goethe non sia rimasto insensibile a tale riferimento, per il fatto che pure lui nel suo saggio Von deutscher Baukunst porterà alla ribalta un altro architetto dal profilo geniale stavolta di area tedesca, vale a dire Erwin von Steinbach, che, come vedremo, il giovane poeta considererà il Prometheus del Gotico tedesco[46], ossia della vera arte di costruire «alla maniera tedesca». Va rimarcato inoltre che la reazione entusiastica e sentimentale che il poeta ebbe alla vista della maestosa cattedrale di Strasburgo[47] andò di pari passo con il desiderio irrefrenabile di approfondire la conoscenza delle parti visibili e di quelle incomplete o mancanti della stessa. Tutto ciò sarebbe sfociato, in modo quasi naturale, nella stesura di un saggio, come egli precisa in Dichtung und Wahrheit:

Je mehr untersuchte, desto mehr geriet in Erstaunen; je mehr ich mich mit Massen und Zeichnen unterhielt und abmüdete, desto mehr wuchs meine Anhänglichkeit, so daß ich viele Zeit darauf verwendete, teils das Vorhandene zu studieren, teils das Fehlende, Unvollendete, besonders der Türme, in Gedanken und auf dem Blatte wiederzustellen.[48]

Il saggio Von deutscher Baukunst costituirà infatti l’acme della recezione del monumento stesso, in particolare della facciata ovest (Westfassade), opera del maestro architetto Erwin von Steinbach vissuto tra il 1240 e il 1318, anno della sua morte. In alcuni documenti datati 1284 e 1293 egli figura come «Werkmeister am Münster», appellativo ribadito anche in tre iscrizioni più tarde. Il frontespizio del saggio Von deutscher Baukunst riporta l’epitaffio in lingua latina «D. M. Ervini a Steinbach», ossia, sciolta l’abbreviazione, «Divis Manibus Ervini a Steibach» («Agli Dei Mani di Erwin von Steinbach)», formula che veniva correntemente incisa sulle antiche tombe romane. Nel suo Baukunst-Aufsatz Goethe, in veste di Beobachter, è alla ricerca della tomba del nobile architetto medievale, ma, con suo grande rammarico («da ward ich tief in die Seele betrübt»[49]), deve constatare che è introvabile e che nemmeno gli abitanti di Strasburgo riescono ad indicargliela, quella stessa tomba che avrebbe dovuto riportare la dicitura: «Anno domini 1318. XVI. Kal. Febr: obiit Magister Ervinus, Gubernator Fabricae Ecclesiae Argentinensis». La genialità del principale artefice della cattedrale, Erwin von Steinbach, viene celebrata dal poeta, a partire dal suo originale e inedito Babelgedanke, ossia dal progetto babelico, che, pur nella sua incompiutezza e, a prima vista, caotica e irrazionale fisionomia, costituisce, senza dubbio, una sfida architettonica inedita rispetto ai canoni classici, come lo fu, del resto, la celebre torre di Babele di reminiscenza biblica; un progetto, quello di Erwin, che lo ha condotto alla grandiosa creazione della facciata principale, dove ogni parte si armonizza con il tutto, ed è necessariamente bella come gli alberi di Dio («ganz, groß, und bis in den kleinsten Teil notwendig schön, wie Bäume Gottes»[50]. La sua forza creativa viene paragonata, nel testo goethiano, a quella di Dio, il quale «Berge auftürmte in die Wolken»[51]. Goethe vorrebbe erigere un monumento al celebre architetto medioevale, valutando le sue disponibilità finanziarie, ma si chiede se sia proprio opportuno farlo («Was braucht’s dir Denkmal! und von mir!»[52]) visto che Erwin stesso ha già provveduto a creare un monumento in sua memoria, vale a dire una parte della cattedrale, ultimata alla sua morte dai figli. Interessante è la tesi di Joachim Heimler, secondo la quale il saggio goethiano potrebbe valere anche come sostituto letterario della vera tomba del celebre architetto («Als fiktionaler Epitaph auf den Künstler soll der gesamte Aufsatz das literarische Substitut seines Grabmales darstellen»[53]) che fu scoperta solo nel 1816 da Sulpiz Boisseré.

A differenza di quella di Erwin von Steinbach, la tomba di Eudes de Montreuil andò irrimediabilmente perduta nel 1580 a causa di un terribile incendio che distrusse la Chiesa dei Cordiglieri, tomba da lui realizzata prima di morire, che recava un epitaffio in memoria di se medesimo e di quella delle due mogli, una delle quali, di nome Mahaut, per le sue virtù provate, ebbe l’onore di accompagnare la regina Margherita di Provenza, consorte di Luigi IX, in Terra Santa.

La prima volta che il poeta vede la cattedrale, rimane «Ganz von Zierat erdrückt!»[54] e con il timore «vom Anblick eines mißgeformten krausborstigen Ungeheuers»[55]. È la colossale mole mostruosa e ispida del monumento che lo colpisce, nonostante gli sia familiare l’andamento delle linee curve del Gotico francofortese. Ma è soprattutto la dimensione, tangibile espressione della genialità del suo progettatore e della sua piena e arbitraria libertà creativa, ad attrarlo. Più volte salirà sulla torre della cattedrale, per godere della vista sulla città e sul circondario. In una incisione più tarda, W. Friedrich lo ritrae sulla terrazza della torre insieme a Herder, Jung-Stilling, Lenz e Salzmann, già membri della Tischgesellschaft strasburghese, mentre si congedano, con un brindisi di addio, dal poeta, in procinto di lasciare definitivamente la città. Anche nella Dritte Wallfahrt nach Erwins Grab im Juli 1775, ideata sempre sulla torre della cattedrale anche per ciò che riguarda la sua suddivisione in Stationen, Goethe riconfermerà lo stupore e la delizia provati nel vedere la prima volta la cattedrale strasburghese:

fühle ich, Gott sei Dank, daß ich bin, wie ich war, noch immer so kräftig gerührt von dem Großen und, o Wonne, noch einziger, ausschließender gerührt von dem Wahren als ehemals.[56]

L’opera realizzata da Erwin von Steinbach si staglia verso il cielo simile a «einem hocherhabenen, weitverbreiteten Baume Gottes, der mit tausend Ästen, Millionen Zweigen und Blättern wie der Sand am Meer ringsum der Gegend verkündet die Herrlichkeit des Herrn, seines Meisters»[57]. Il confronto con l’albero frondoso di Dio, con il mondo vegetale[58], suggerisce l’origine dell’architettura gotica, ritenuta da molti studiosi una sorta di foresta pietrificata[59], in quanto radicata, per ciò che concerne il gioco delle forme, nella Natura stessa. Uno slancio poetico stürmeriano da parte di Goethe lo si nota anche nelle parole «Wie frisch leuchtet’ er im Morgenduftglanz mir entgegen, wie froh konnt ich ihm meine Ärme entgegen strecken, schauen die großen harmonischen Massen, zu unzählig kleinen Teilen belebt: wie in Werken der ewigen Natur»[60]. Sorprendente appare al poeta l’armonia del tutto, cui concorre ogni piccola componente della cattedrale[61] che il genio di Erwin ha saputo realizzare, offrendogli un modello di arte geniale e autentica da emulare in quanto arte libera dalle convenzioni tradizionali e quindi scaturita da un’idea individuale e originale. Un insegnamento prezioso quindi che instilla nell’anima irrequieta e inappagata di Goethe «ein Tropfen (…) der Wonneruh des Geistes, der auf solch eine Schöpfung herabschauen und gottgleich sprechen kann. Es ist gut!»[62]. Il poeta riconosce apertamente al Gotico la propria origine tedesca, e, nel contempo, la forza espressiva pari a quella degli Antichi, affermando che né gli Italiani né i Francesi possono vantarsi di avere un siffatto stile che li possa rappresentare («Das ist die deutsche Baukunst, unsre Baukunst, da der Italiener sich keiner eignen rühmen darf, viel weniger der Franzos»[63]). Essi hanno imitato e rielaborato idee straniere portandoli così a creare opere non durature, prive di originalità («eben als wenn dein neues Babylon mit einfältigem patriarchalischem Hausvatersinn regieren wolltest»[64]). Il forte accento patriottico e nazionalistico[65] balza subito all’occhio e può essere considerato per un verso come un avvio di quel processo di ideologizzazione del Gotico che avrà grande fortuna soprattutto in età romantica, per l’altro come il desiderio del poeta investito del ruolo di portavoce dello spirito del popolo di poter radicare tale stile in una Heimat dal profilo culturale e politico ancora incerto. Nel Libro IX di Dichtung und Wahrheit Goethe ricorda, a distanza di molti anni, che il desiderio di rivendicare per il proprio paese, la Germania, quell’architettura gotica così tanto vituperata, l’ha indotto a scrivere il saggio stürmeriano:

Da ich nun an alter deutscher Stätte dieses Gebäude gegründet und in echter deutscher Zeit so weit gediehen fand, auch der Name des Meisters auf dem bescheidenen Grabstein gleichfalls vaterländischen Klanges und Ursprungs war; so wagte ich, die bisher verrufene Benennung gotische Bauart, aufgefordert durch den Wert dieses Kunstwerks, abzuändern und sie als deutsche Baukunst unserer Nation zu vindizieren, sodann aber verfehlte ich nicht, erst mündlich, und hernach in einem kleinen Aufsatz, D. M. Ervini a Steinbach gewidmet, meine patriotischen Gesinnungen an den Tag zu legen.[66]

In un altro passo del Libro XII il poeta riprende la questione del termine “gotico” sostituito con il termine “tedesco”, avviando così un confronto serrato tra l’architettura tedesca intesa come architettura patria e quella greco-romana, le quali hanno avuto entrambe una diversa origine:

Was ich über jene Baukunst gedacht und gewähnt hatte, schrieb ich zusammen. Das Erste, worauf ich drang, war, daß man sie deutsch und nicht gotisch nennen, nicht für ausländisch, sondern für vaterländisch halten solle; das Zweite, daß man sie nicht mit der Baukunst der Griechen und Römer vergleichen dürfe, weil sie aus einem ganz anderen Prinzip entsprungen sei.[67]

Nella polemica contro l’adesione pedissequa e mimetica, in termini spinoziani di natura naturata, dell’architettura italiana e francese ai canoni di quella classica intesa invece come natura naturans, il poeta vuole rimarcare come il Gotico, ossia l’architettura gotica, abbia prodotto un’arte vera, libera anche perché arbitraria, autentica, bella, armonica nel gioco delle parti e del tutto, presentando la sua Stärke e la sua Rauhheit come attributi positivi, perché riconducibili al profilo prometeico del Kraftgenie, del Kraftkerl, che egli rintraccia nella figura di Erwin von Steinbach e dello stesso Albrecht Dürer, a lui molto caro per la pronuncia virile della sua pittura. La riscoperta dell’architetto medievale francese Eudes de Montreuil dovuta, a suo tempo, a Félibien des Avaux, che si fonda sul trattato di André Thavet sopracitato, corre, in un certo senso, in parallelo, a distanza di quasi un secolo, con quella di Goethe relativamente alla figura di Erwin von Steibach. In entrambi gli autori si nota l’intendimento di affrancare l’architettura dei rispettivi paesi di origine dalla supremazia degli Antichi e degli Italiani nel caso della Francia e da quella francese e italiana nel caso della Germania, conferendole una connotazione mitica e idealizzata nell’ottica della creazione di una storia dell’architettura nazionale[68]. Molti anni dopo, in Von deutscher Baukunst 1823, Goethe ribadirà, con accenti nazionalistici ed elogiativi, che il Gotico è la maniera tipicamente tedesca di costruire, una maniera destinata a prolungarsi nei secoli a venire. Tornando al suo scritto stürmeriano, il poeta si prefigge di superare la dipendenza dai modelli francesi in materia di architettura, quella subordinazione riscontrata negli anni del suo soggiorno a Lipsia e a Strasburgo, una città quest’ultima che, per certi versi, gli ricordava la natìa Francoforte, o meglio la Germania chiusa nel suo particolarismo feudale, per altri «la Francia centralista e cosmopolita»[69], ossia la nazione più moderna del mondo con un monarchia ben salda e unitaria e una burocrazia assai razionale e valida. Come ricorderà nella sua autobiografia, Goethe aveva notato l’adozione da parte della borghesia di Strasburgo della lingua e dei costumi francesi. La tradizionale immagine della vecchia città tedesca stava per essere stravolta dai piani urbanistici dell’intendente Gayot e dell’architetto Blondel: il centro storico con le sue viuzze e i suoi vicoli stretti era stato sventrato per cedere il posto alle larghe e ordinate strade proprie di una città moderna francese. L’avanzata dello stile moderno francese suscitò nel giovane Goethe una certa ritrosia dovuta al suo modo di essere e alla sua natura spesso contraddittoria e talvolta ribelle. Del resto, egli fu testimone diretto dell’avanzata della minacciosa modernità in contrapposizione al becero conservatorismo, del frenetico attivismo a discapito del quietismo dei sentimenti, del clima cosmopolita ed edonista rispetto al rigido nazionalismo luterano, aporie, queste, che connoteranno la sua fase stürmeriana così singolare rispetto a quella vissuta dallo stesso Herder e dagli amici della sua cerchia più intima.

La presa di posizione antiassolutistica e antifeudale che si evince dagli scritti herderiani e goethiani del periodo stürmisch punta però ad opporre, secondo Baioni, «anche virtù tedesca a corruzione francese in una antitesi spesso moralistica, antimodernista e talvolta provinciale e piccolo-borghese»[70]. Lo spirito luterano orgoglioso, combattivo e intransigente emerge qua e là e si contrappone a quello cattolico, modernista, laico e cosmopolita della Francia del tempo. Il patriottismo che Goethe manifesta in Von deutscher Baukunst, è un patriottismo che «non ha per nulla il carattere ottimistico e progressista di quello herderiano che combatte le astrazioni del razionalismo statuale francese in nome dell’umanità e della storia»[71], è un patriottismo che «ha piuttosto un carattere privato, personale e, per molti aspetti, regressivo. Più che una conquista, sembra essere una fuga o una difesa dai turbamenti e dalle angosce della modernità che ha conosciuto nei suoi tre anni lipsiensi»[72]. La recezione di questo scritto da parte della critica del tempo non fu positiva con grande delusione del suo autore. Del resto, alcuni passaggi testuali non sono sempre di facile comprensione e la polemica contro i Francesi, e, come si presume, contro il filosofo dell’architettura Laugier, considerato come corifeo dello stile moderno francese d’impronta classica nonché antagonista dell’architettura gotica, non è suffragata dall’obiettivo giudizio che Laugier espresse, a suo tempo, sulla cattedrale di Strasburgo. Un passo del suo Essai sur l’architecture smaschera il pregiudizio di Goethe nei suoi riguardi:

Rien n’est comparable en ce genre à la tour de la Cathédral de Strasbourg. Cette superbe pyramide est un chef-d’œuvre ravissant pour son élévation prodigieuse, sa diminution exacte, sa forme agréable, par sa justesse des proportions, par sa singulière finesse du travail. Je ne crois pas que jamais aucun Architecte ait rien produit d’aussi hardiment imaginé, d’aussi heureusement pensé, d’aussi proprement exécuté. Il y a plus d’art de génie dans ce seul morceau, que dans tout ce que nous voyons ailleurs de plus merveilleux.[73]

Nella sua recensione non immune da una certa divertita comprensione, Matthias Claudius, pur ammettendo di non aver mai visto la cattedrale di Strasburgo e nemmeno le molte chiese dedicate a San Pietro costruite alla maniera tedesca e straniera, non ha altro da dire sul breve trattato di Goethe se non che «sie mit Enthusiasmus und Vaterlandswärme geschrieben ist»[74]. Claudius rimarca quindi il fatto che l’approccio da parte di Goethe al Gotico è di natura entusiastica e sentimentale e pregno di un caloroso afflato patriottico. L’architettura francese e quella italiana esprimono, secondo il poeta, un’architettura apparente, non vera, non vitale. I suoi esponenti non hanno saputo raggiungere quella libera genialità costruttiva di Erwin von Steinbach, perché la loro creatività è stata troppo succube delle regole canoniche e mimetiche dell’architettura classica.

Secondo Goethe l’arte è da lungo tempo formativa (bildend): in ogni uomo, alla stessa stregua di un semidio, alberga una natura formativa (bildende Natur) che lo porta ad esprimersi artisticamente attraverso forme le più disparate e le più arbitrarie, utilizzando diversi materiali grezzi che l’ambiente naturale gli offre («Denn in dem Menschen ist eine bildende Natur, die gleich sich tätig beweist, wann seine Existenz gesichert ist. Sobald er nichts zu sorgen und zu fürchten hat, greift der Halbgott wirksam in seiner Ruhe, umher nach Stoff, ihm seinen Geist einzuhauchen»[75]). Per questa via egli giunge a creare un’opera «caratteristica» nella sua interezza in forza di un’accentuata Empfindung («denn eine Empfindung schuf sie zum charakteristischen Ganzen»[76]). Nello scritto Nach Falconet und über Falconet, Goethe rimarca il legame stretto che esiste fra l’artista e il Gefühl. L’artista è colui che potenzia il sentimento, grazie al quale ha una visione del mondo profonda, vede i legami tra il mondo e la Natura anche nel quotidiano, ne coglie le cause, gli effetti, le vibrazioni, i toni pacati e irrequieti, l’armonia, la concordanza:

Davon fühlt nun der Künstler nicht allein die Wirkungen, er dringt bis in die Ursachen hinein, die sie hervorbringen. Die Welt liegt vor ihm, möcht’ ich sagen, wie vor ihrem Schöpfer, der im dem Augenblick, da er sich des Geschaffnen freut, auch alle Harmonien genießt, durch die er hervorbrachte und in denen sie besteht. Drum glaubt nicht so schnell zu verstehen, was das heiße: Das Gefühl ist die Harmonie und vice versa.[77]

Con accenti nazionalistici, Goethe rimprovera ai Francesi e agli Italiani, di aver usato, in modo non appropriato, la colonna come componente basilare degli edifici; ne hanno soffocato la vera natura a favore della parte muraria, impedendole in tal modo il naturale slancio. Se, a loro veduta, un edificio deve, necessariamente, avere quattro colonne ai lati, l’architettura tedesca contempla invece quattro muri, uno per ogni lato, escludendo la colonna, come testimoniano molti edifici civili e sacri. L’orgoglio patriottico di Goethe si spinge fino a confutare la cosiddetta teoria della capanna originaria (primitive Bauhütte) sostenuta da Vitruvio e dall’esteta francese Laugier («Was soll uns das, du neufranzösischer philosophierender Kenner, daß der erste zum Bedürfinis erfindsame Mensch vier Stämme einrammelte, vier Stangen drüber verband und Äste und Moos drauf deckte?»[78]) in quanto, a suo parere, è una teoria che limita la creatività. L’architetto francese vorrebbe governare la nuova Babilonia con il semplice buon senso di un padre di famiglia. Alla capanna primitiva di ascendenza classica il poeta contrappone quella tedesca, rurale, che funge da arché e che punteggia i campi e i vigneti, definita come «eine weit primävere Erfindung»[79]:

Zwei an ihrem Gipfel sich kreuzende Stangen vornen, zwei hinten und eine Stange querüber zum Forst, ist und bleibt, wie du alltäglich, an Hütern der Felder und Weinberge erkennen kannst.[80]

La mancanza di una bellezza viva in quanto naturale che connota l’architettura moderna francese, è da ricondursi, secondo Goethe, a una penuria di sentimento e a un esubero di razionale senso della misurazione («Hättest du mehr gefühlt als gemessen»[81]), un monito questo che attraversa tutto lo scritto. L’architettura moderna francese non raggiunge nel suo approccio mimetico alla classicità la geniale forza creativa dell’architettura gotica, arbitraria, rude, non omologata e quindi libera, che ha portato alla creazione della cattedrale di Strasburgo ossia all’edificazione di un caleidoscopico e sorprendente gioco di masse maestose e colossali anche se incompiute. Le colonne gotiche a fascio svettanti, non murate, esprimono la piena libertà dell’artista che è riuscito a svincolarsi dal giogo oppressivo dei principi e delle regole codificati dalla tradizione classica. La cattedrale di Strasburgo ne è un esempio eloquente. Progettata originariamente con due torri slanciate, delle due solo una è stata edificata, anche se in modo parziale, perché privata della copertura decorativa costituita da cinque torrette. Ma il misterioso gioco di «forze germinanti» che Goethe coglie nella realizzazione seppure incompleta dell’edificio sacro rispetto al progetto originale, viene da lui paragonata al punto segreto (geheimer Punkt) delle opere shakespeariane. Da ciò si desume che il saggio goethiano non è solo un originale tentativo di teorizzazione dell’architettura gotica che parte da una formazione classicista dell’autore basata sull’idea di armonia delle proporzioni e sulla triade vitruviana firmitas – utilitas – venustas, ma anche, secondo G. F. Koch, un «faszinierendes Dichtwerk»[82] nonché un manifesto innovatore e programmatico del movimento dello «Sturm und Drang» ai suoi albori. La recezione goethiana della cattedrale, come sostiene A. Coers, sposando la tesi di Klaus Niehr, è prevalentemente soggettiva e sentimentale. L’osservatore coglie, secondo Goethe, «die Idee und die Verhältnisse des Ganzen ähnlich genialisch wie der Künstler, der das Werk schuf»[83]: è la genialità dell’artefice che si riflette nel monumento. Interessante, a questo segno, è considerare, citando R. Liess, come la stessa «Theorieunbedürftigkeit» di Goethe, non penalizzi affatto il Baukunst-Aufsatz, anzi gli conferisca un grande slancio poetico, in cui volutamente l’autore verrebbe a scindere la «Münsterbewunderung» dalla «Architekturtheorie»[84]. Ciò rientrerebbe nella ritrosia tutta stürmeriana verso le regole teoriche codificate che penalizzerebbero il pieno dispiegarsi della creatività geniale. Goethe sostiene infatti che le regole dell’arte non devono essere prestabilite, non devono costituire un canone, a cui attenersi rigidamente, altrimenti si cadrebbe nella pura e semplice imitazione (Nachahmung)[85]. Ciò che colpisce il lettore del saggio goethiano è il fatto che in esso la descrizione oggettiva della cattedrale appare ridotta ai minimi termini, mentre l’afflato poetico investe in termini contemplativi e trasfiguranti la sacra costruzione gotica, conferendole grande maestosità:

Wie über dem Haupteingang, der zwei kleinere zu ’n Seiten beherrscht, sich der weite Kreis des Fensters öffnet, der dem Schiffe der Kirche antwortet und sonst nur Tageloch war, wie hoch drüber der Glockenplatz die kleineren Fenster forderte! Das alles war notwendig, und ich bildete es schön. Aber ach, wenn ich durch die düstern erhabnen Öffnungen hier zur Seite schwebe, die leer und vergebens da zu stehn scheinen. In ihre kühne, schlanke Gestalt hab ich die geheimnisvollen Kräfte verborgen, die jene beiden Türme hoch in die Luft heben sollten, deren ach, nur einer traurig dasteht, ohne den fünfgetürmten Hauptschmuck, den ich ihm bestimmte, daß ihm und seinem königlichen Bruder die Provinzen umher huldigten.[86]

Secondo Giuliano Baioni, il vero tema del saggio goethiano «non è il gotico, ma a ben guardare il sublime»[87] che già Edmund Burke aveva definito in A Philosophical Enquiry into the Origin of our Ideas of the Sublime Beautiful (1757) come «built on terror, or some passion like it, which has pain for its object»[88]. Riflettendo poi sul senso di dolore e di paura, il filosofo inglese afferma che «consist in an unnatural tension of the nerves; that this is sometimes accompanied with unnatural strength, which sometimes changes into an extraordinary weakness»[89]. Per certi versi l’affermazione di Baioni è condivisibile dal momento che la vista della cattedrale di Strasburgo produce in Goethe un’emozione di grande intensità, legata alla sua mole colossale, mostruosa nelle sue forme ispide e deformate («und so graute mir’s im Gehen vorm Anblick eines mißgeformten krausborstigen Ungeheuers»[90]) e confusamente arbitrarie. In un passo cruciale dello scritto il poeta rievoca le emozioni che la cattedrale suscita in lui sia di giorno sia al tramonto (momento mistico e iniziatico), in cui usa esplicitamente l’aggettivo “erhaben”:

Wie oft bin ich zurückgekehrt, von allen Seiten, aus allen Entfernungen, in jedem Lichte des Tags, zu schauen seine Würde und Herrlichkeit. Schwer ist’s dem Menschengeist, wenn seines Bruders Werk so hoch erhaben ist, daß er nur beugen und anbeten muß. Wie oft hat die Abenddämmerung mein durch forschendes Schauen ermattetes Aug mit freundlicher Ruhe gesetzt, wenn durch sie die unzähligen Teile, zu ganzen Massen schmolzen, und nun diese, einfach und groß, vor meiner Seele standen, und meine Kraft sich wonnevoll entfaltete, zugleich zu genießen und zu erkennen.[91]

Il godimento della gigantesca massa muraria della cattedrale si associa allo sguardo che vuole scoprire («eine weit primävere Erfindung»[92]) e conoscere a fondo tale frutto dell’ingegno umano da teorizzare sulla scorta della sinnliche Erfahrung des Naturhaften. All’idea del sublime subentra gradatamente la concezione del bello che nell’osservatore produce, secondo Burke, un effetto di profonda armonia legato alla sfera sensoriale. La conoscenza sempre più approfondita della cattedrale consente a Goethe di cogliere la bellezza delle proporzioni e la sua maestosità. Come sottolinea Jan Büchsenschuß, citando Dichtung und Wahrheit, il poeta ha saputo unire nel modo più armonico possibile «das Erhabene mit dem Gefälligen, das Angenehme mit dem Ungeheuren»[93]. Goethe invita poi il «lieber Bruder im Geiste des Forschens nach Wahrheit und Schönheit»[94] a non dare ascolto alle millanterie verbali sull’arte figurativa e ad ammirare la cattedrale, godendone pienamente il gioco delle forme. A tale esortazione fa seguito un ammonimento dal tenore nazionalistico a non profanare il nome di uno dei più nobili architetti e ad apprezzarne, con vivo trasporto, il capolavoro. A coloro, tra gli amici tedeschi, che non intendono riconoscere la genialità di Erwin, raccomanda espressamente di imboccare la strada che porta a Parigi. Da tale esortazione emerge che la vera arte tedesca, cioè il Gotico, si contrappone fermamente a quella francese. Se all’inizio Goethe ha una visione sublime della cattedrale, ora ne rileva la bellezza anche a costo di essere deriso alla stessa stregua di un sognatore («bald mich einen Träumer schilts, daß ich da Schönheit sehe, wo du nur Stärke und Rauheit siehst»[95]). La bellezza del monumento e la genialità del suo artefice fungono in Goethe da rigeneratori del suo sentire e della sua pratica di scrittura, mettono in moto quella forza creativa geniale che già aveva individuato, a suo tempo, nelle opere di Shakespeare. La recezione della cattedrale di Strasburgo rappresenta quindi per il poeta un autentico itinerario poetico-estetico che parte dallo stupore, dal senso di meraviglia e che lo porta, via via, ad affrancarsi dalla formazione classico-rococò degli anni lipsiensi, senza però rinnegarla, per ricercare una forma letteraria adeguata e uno stile personale e geniale che diano voce alla tempesta dei suoi moti interiori, del suoi sentimenti. La cattedrale diviene pertanto simbolo e metafora[96] nel contempo di una nuova maniera di sperimentare la scrittura creativa di tenore saggistico, una scrittura appassionata, libera da schemi predisposti, sentita e meditata interiormente. Come scrive Giampiero Moretti, ««sentire» significa per gli Stürmer aderire all’intima necessità del naturale sviluppo dell’arte in forma architettonica. Chi, sentendo, opera per la bellezza, è il genio»[97]. Il Baukunst-Aufsatz goethiano diventa da un lato un approccio ermeneutico ed estetico alla stessa, dall’altro il catalizzatore e lo specchio di un’architettura testuale in fieri, ossia di una ricerca formale e stilistica che trae la propria linfa vitale dal gioco intricato, talvolta oscuro e misterioso, delle decorazioni a traforo gotiche, quasi un geroglifico da decifrare o un grande arabesco da ripercorrere nel suo labirintico andamento che coglie di sorpresa l’osservatore impreparato, non kultiviert, come pure un banco di prova del talento autoriale. La cattedrale di Strasburgo costituisce per Goethe una sorta di via di Damasco, una conversione in seguito alla quale subentra una significativa Offenbarung Hier glaubte ich eine neue Offenbarung zu erblicken, indem mir jenes Tadelnswerte keineswegs erschien, sondern vielmehr das Gegenteil davon sich aufdrang»[98]) e palingenesi. Si può anche parlare di un’esperienza vissuta assimilabile al pietistico Erweckungserlebnis anche se secolarizzato, grazie al quale il poeta si scopre un «Uomo nuovo», rigenerato nel gusto e nella creatività. Ma il riappropriarsi nazionalistico del Gotico è una sorta di suggello indispensabile per dar corso a una nuova stagione culturale, a una nuova antropologia, quella dello «Sturm und Drang», autenticamente e autonomamente “tedesca”, libera dalle secolari ipoteche culturali straniere, un modo di vendicare la vituperata (verrufen) architettura tedesca in quanto arte caratteristica dei Tedeschi. Ci si accorge, a questo punto, che rivendicare la paternità dell’architettura gotica da parte del popolo tedesco è senza alcun dubbio una forzatura goethiana rispetto alla verità storica[99] che vede invece nella nazione francese la scaturigine del gotico in particolare a partire dalla costruzione del coro della celebre abbazia di Saint-Denis voluta dall’abate Suger[100] nel 1136, forzatura però necessaria per ragioni identitarie e culturali. A ben guardare la cattedrale di Strasburgo costruita in pietra arenaria dei Vosgi che le conferisce il caratteristico colore rossiccio, si rifa all’eleganza e all’armonia dei moduli hochgotisch francesi pur con peculiarità tedesche[101], come ad esempio l’esiguo impiego degli archi rampanti e la presenza della massiccia struttura muraria alleggerita da un sapiente e suggestivo lavoro di traforo. Goethe non ne coglie né la valenza mistica e metafisica ricollegabile alla concezione teologica ed estetica medievale, secondo la quale Dio[102] viene considerato come l’elegante architetto (elegans architectus) del Palazzo reale che è il cosmo, di cui la cattedrale gotica è una manifestazione analogica e simbolica, né la manifestazione del Divino attraverso il gioco della trasparenza della luce filtrata dalle ampie vetrate e dal rosone fruibile al suo interno, ma piuttosto il gioco dinamico delle forze della massa muraria esterna che si irradiano attraverso le contrafforti, gli archi a sesto acuto, i pilastri e pilastrelli, le guglie e le nicchie. Il poeta rintraccia nella facciata esterna, ossia nella torre e nel complesso murario della cattedrale, un processo[103], un divenire, che stimola l’osservatore ad agire con la forza del Gefühl e dell’empfindsames Auge. Si tratta per un verso di metamorfosi fruitive continue che mimano quelle della Natura, ossia di una percezione non statica e in sé conclusa, come accade per le chiese romaniche pur nella loro composta, scarna ma proporzionata funzionalità, e per l’altro di una dialettica tra la molteplicità necessaria delle sue componenti e l’unità del tutto, tra le forze statiche e dinamiche, tra il compiuto e l’incompiuto, tra l’organicità e il frammentario. Se la recezione del romanico è una ricezione passiva e conciliante[104], quella del gotico è attiva e si profila come un’ars inveniendi, in cui c’è sempre posto per lo stupore, la meraviglia, la scoperta di nuovi particolari, quello che per i Romantici sarà l’arabesco. Nel Gotico sacro strasburghese Goethe percepisce quel quid di frammentario, di incompiuto, di arbitrario che lo affascina e che in fondo rispecchia il suo modo di sentire, di sperimentare, di testimoniare la sua genialità di poeta e di scrittore, ma non solo, in esso vede un organismo colossale, vero e necessario che, tra le tensioni ascensionali e le trasformazioni formali, rimanda all’arcano flusso della Natura, serbatoio della molteplicità delle belle forme e fonte del sublime, del bello e dei cicli rigenerativi. A lui interessa prevalentemente l’esterno della cattedrale, la Mannigfaltigkeit della stessa, più che la Zweck­mäßigkeit cultuale, perché è proprio lì che rinviene l’organicità del tutto e del molteplice: la verità della cattedrale è il suo graduale disvelamento dall’ester­no, un disvelamento poetico (valenza allegorica) ed estetico (gioco delle belle e imponenti forme) operato con la forza del sentimento, una sorta di secolarizzazione della «chiesa del cuore» dei pietisti inserita in un processo mimetico della creatività della Natura, passaggio, questo, obbligato dell’estetica goethiana[105]. Da buon protestante l’interno della cattedrale, ossia lo spazio destinato alle pratiche cultuali, al servizio divino, non lo affascina minimamente, al contrario suscita in lui un sentimento di ostilità verso lo scenario tetro, oppressivo e pretesco del Medioevo («auf dem eingeschränten düstern Pfaffenschauplatz des medii aevi»[106]), su cui rifulge il capolavoro di Erwin von Steinbach, espressione forte e rude dell’anima tedesca («aus starker, rauher, deutscher Seele»[107]). Un punto di vista già sostenuto, a suo tempo, da Hans-Georg von Arburg, quando scrive:

Jenseits der ästhetischen Prämissen drückt sich im Desinteresse am Innentraum auch eine dezidiert individuelle Haltung aus, die sich leicht an den Ort kollektiven christlichen Kults binden möchte, indem sie ihn betritt.[108]

L’architettura tedesca viene rivisitata da Goethe, per certi versi, anche in termini di una fuga nostalgica verso un passato tedesco fiero e pugnace («in echter deutscher Zeit»[109]), sicuramente partendo da una visione estetica classico-razionalista, ribaltando nella fruizione visiva e intimista della cattedrale gotica di Strasburgo il cosiddetto «buon gusto» che aveva raggiunto e coltivato negli anni di Lipsia, capitale per eccellenza del lezioso rococò tedesco. Quanto alla rivalutazione del Medioevo, Wolfram von den Steinen considera Goethe come un Vorläufer der Romantik[110], ma è necessario sottolineare che l’accesso goethiano al Medioevo è un acceso sovratemporale, intuitivo e soggettivo, come del resto il concetto di Gotico che, secondo Joachim Heimler, «ist demnach beim jungen Goethe, (…) ebenfalls als anthropologisches und künstlerisches Ideal, als Chiffre und Inbegriff einer neuen Ästhetik zu verstehen, in dessen Mitte das Ideal des Mensch einer neuen Zeit, das Genie steht»[111]. Lo stesso Albert Coer sostiene che «(die) Architektur wird im Aufsatz über das Straßburger Münster als Tat eines Einzelnen gefeiert, im Gegensatz zu historischer oder religiöser Interpretation»[112]. Nel saggio Von deutscher Baukunst Goethe non ci restituisce, dal punto di vista della ricezione, una descrizione analitica e storicizzata[113] della cattedrale di Strasburgo, bensì una fruizione soggettiva, sensitiva e sentimentale o meglio poetica e poetologica. Sarà la figura di Shakesperare, nume tutelare per eccellenza dello «Sturm und Drang», prescindendo da Rousseau e da Hamann, a traghettare il poeta verso la cultura del sentimento creativo e geniale, anche se ancora in parte debitrice della fervida stagione pietistica delle anime belle e dei fühlbaren Jünglinge. La Gelassenheit pietistica viene infatti via via superata a favore di un individuale ed originale titanismo dinamico e ribelle. L’opera di Erwin von Steinbach viene quindi approcciata da Goethe con il riconoscimento del «tiefste Gefühl von Wahrheit und Schönheit der Verhältnisse»[114] e ritenuta espressione massima della forte e rude anima tedesca nello scenario del limitato, cupo e pretesco Medioevo («wirkend aus starker, rauher, deutscher Seele auf dem eingeschränkten düsteren Pfaffenschauplatz des medii aevi»[115]). In quest’ultimo passo lo spirito luterano si contrappone a quello cattolico medievale, la sensibilità nordica a quella latina e d’area romanza. Ma già nel primo paragrafo del Baukunst-Aufsatz Goethe recupera il topos sacrale e cultuale degli antichi Germani, il bosco, lo Hain, dove vuole incidere sul tronco di un alto e sottile faggio che ricorda la torre della cattedrale di Strasburgo, il nome di Erwin von Steinbach, appendendo a uno dei rami un fazzoletto annodato ai quattro angoli, su cui depositare doni in suo onore:

hier in diesem Hain, wo ringsum die Namen meiner Geliebten grünen, schneid ich den deinigen, in eine deinem Turm gleich schlank aufsteigende Buche[116], hänge an seinen vier Zipfel dies Schnupftuch mit Gaben dabei auf.[117]

Si tratta quindi di un’offerta votiva fatta di fiori, gemme, foglie, erba secca, muschio e funghi spuntati nella notte che, per passatempo, ha raccolto durante le sue escursioni nei boschi, catalogandoli con fredda razionalità, ma che acquistano, in questo contesto, uno speciale valore propiziatorio. Ne emerge infatti una sacralità secolarizzata, quasi neopagana, oltre a un recupero del memento mori barocco, ossia della caducità della condizione umana, per cui tutto è vano, fugace e transeunte, solo l’arte geniale, come è stata quella di Erwin von Steinbach, può infondere in Goethe la speranza di potersi proiettare nell’eternità attraverso le sue opere. Significativo è l’accostamento degli xenia boschivi alla visione evangelica dell’apostolo Pietro in Atti degli apostoli 10, 1-16 («Nicht ungleich jenem Tuche, das dem heiligen Apostel aus den Wolken herabgelassen ward, voll reiner und unreiner Tiere»[118]), il quale, in preda ai morsi della fame, viene soccorso da Dio, che fa scendere dalle nuvole un lenzuolo pieno di animali puri e impuri, dandogli l’opportunità di alimentarsi. Pietro fa resistenza, non può cibarsi secondo i precetti della legge giudaica di animali impuri, ma Dio lo esorta a uccidere gli animali e a consumare le loro carni che sono state da lui precedentemente purificate. L’apostolo non accetta, inizialmente, il cambio di mentalità che lo accosterebbe ai pagani, ossia non aderisce, con sollecitudine, alla volontà divina («Ciò che Dio ha purificato, tu non chiamarlo profano» v. 15). In questa citazione presa dalle Sacre Scritture emerge la religiosità protestante di Goethe, profondo conoscitore della Bibbia, il «Libro dei libri» («verbindende Urdokument der Menschheit»), cui farà riferimento più volte nelle sue opere, anche se il suo sentimento religioso della maturità diverrà sempre più personale, aperto anche alle altre confessioni e venato di pansofismo e di panteismo. Il fazzoletto votivo che contiene elementi vegetali puri (fiori, gemme, foglie) e impuri (erba secca, muschio, funghi) esprime simbolicamente un cambiamento di prospettiva, una svolta, una rinascita poetico-estetica che vedrà nello «Sturm und Drang» il proprio raggio d’azione e il proprio compimento. È l’accettazione da parte del poeta di nuove sfide letterarie, la sua apertura verso un nuovo orizzonte in nome dello spirito popolare e nazionale. Il bosco come luogo sacro degli antichi Germani, è in Goethe un luogo di rigenerazione delle sue capacità creative, ma non solo. Esso diventerà pure il luogo di raduno privilegiato da alcuni giovani provenienti dal popolo e dall’aristocrazia che, nel 1772, daranno vita allo Hain di Göttingen. Trattasi di un gruppo di poeti e simpatizzanti, tra cui Voss, E. L. Stolberg, Hölthy, Miller, Leisewitz, Claudius e Bürger, i quali animati da un sentimentalismo fresco sostanziato da sentimenti patriottici e dal culto dei valori popolari[119], si porsero, simpateticamente, sulla scia dello «Sturm und Drang». Essi erano soliti intrecciare «una danza intorno alle sacre querce e, per non essere inferiori ai germani di tacitiana memoria, vuotavano coppe colme di latte»[120]. Goethe ammette che lo stile antecedente il Gotico è quello dei Goti anche se imperfetto («die Gothen schon wirklich so gebaut haben, wo sich einige Schwürigkeiten finden werden»[121]). Nulla nasce dal nulla, afferma. Anche Omero ha avuto del resto un suo precursore. Nello sviluppo del saggio, il poeta si chiede a un certo punto che ne sarà della sua epoca. A tale interrogativo risponde con una certa amarezza: «Und unser aevum? Hat auf seinen Genius verziehen, hat seine Söhne umhergeschickt, fremde Gewächse zu ihrem Verderben einzusammeln»[122]. L’allusione alla colonizzazione culturale francese è evidente, ma anche la strumentalizzazione del Gotico, ovvero dell’arte tedesca, da parte del Francese «superficiale» (leicht), il quale si avvale, nel costruire un tempio meraviglioso come è quello della Magdalene, non solo di colonne greche, ma anche di volte tedesche («deutschen Gewölben»[123]). In contrapposizione alla maniera leziosa, femminea, rococò, dei pittori francofortesi di bambole, Goethe esalta la virilità delle incisioni di Albrecht Dürer, la cui forza espressiva non viene colta e apprezzata dai suoi connazionali. Ciò va a detrimento del Genio tedesco, il quale vuole «auf keinen fremden Flügeln, und wären’s die Flügel der Morgenröte, emporgehoben und fortgerückt werden»[124], un Genio che non vuole librarsi su ali straniere, ma su quelle del crepuscolo mattutino in un cielo finalmente libero. La genialità e la forza creativa di Erwin von Steinbach[125] sono scaturite dalla Natura, in cui alberga il gioco molteplice delle belle forme. La stessa bellezza dell’opera è il risultato delle percezioni e dei sentimenti in azione e non è comprensibile razionalmente, ma in virtù della forza dirompente del fühlbares Herz. La figura di Erwin assume quindi una valenza geniale, mitica, prometeica, che corre, sorprendentemente, in parallelo con quella attribuita da Thevet all’architetto medioevale Eudes de Montreuil. Erwin, nel progettare la cattedrale di Strasburgo, ha manifestato la stessa forza degli dèi ed è perciò degno di essere accolto, secondo l’accorata invocazione del poeta[126], dalla Bellezza celeste, mediatrice fra l’Olimpo e gli uomini, affinché egli, più dello stesso Prometeo[127], possa recare in terra la felicità e la beatitudine degli dèi. Una chiusa di tenore classico, quella di Goethe, che celebra il Gotico come espressione elevata della forza creativa e geniale dei Tedeschi, un ambito di ricerca, quello dell’arte gotica, che, con il passare degli anni, diverrà sempre più presente, nonostante la virata classicista, in ulteriori scritti molto suggestivi e promettenti[128].

Nel Libro XII di Dichtung und Wahrheit il vecchio Goethe traccia una sorta di bilancio del suo Baukunst-Aufsatz giovanile che getta luce sulla Stimmung e sul clima culturale, in cui è nato, confessando a se stesso che la Schreibweise di allora avrebbe dovuto essere più chiara e meno criptica agli occhi dei lettori. Ma è proprio sotto l’influsso delle meditazioni misteriosofiche herderiane e hamanniane, che i pensieri e le considerazioni sulla cattedrale di Strasburgo sono nati, avviluppati in una sorte di nube polverosa di parole e frasi «strane e singolari». Ciononostante l’elaborato finale è stato accolto favorevolmente da Herder nell’opuscolo Von deutscher Art und Kunst:

Hätte ich diese Ansichten, denen ich ihren Wert nicht absprechen will, klar und deutlich, in vernehmlichem Stil abzufassen beliebt, so hätte der Druckbogen «Von deutscher Baukunst, D. M. Ervini a Steinbach» schon damals, als ich ihn herausgab, mehr Wirkung getan und die vaterländischen Freunde der Kunst früher aufmerksam gemacht; so aber verhüllte ich, durch Hamanns und Herders Beispiel verführt, diese ganz einfachen Gedanken und Betrachtungen in eine Staubwolke von seltsamen Worten und Phrasen, und verfinsterte das Licht, das mir aufgegangen war, für mich und andere. Demungeachtet wurden diese Blätter gut aufgenommen und in dem Herderschen Heft «Von deutscher Art und Kunst» nochmals abgedruckt.[129]

In conclusione, il saggio goethiano Von deutscher Baukunst è da ritenersi di grande valore programmatico anche per la sua fortuna germinativa[130], poiché al centro della trattazione viene posto la figura paradigmatica, mitica e idealizzata di Erwin von Steinbach, che, al di là del suo profilo storico, è diventato il simbolo e l’espressione più alta di una nuova forza creativa e stilistica sul versante delle arti plastiche, inaugurando la cosiddetta Geniezeit, ovvero la grande stagione culturale, autenticamente germanica, quella dello «Sturm und Drang», che fungerà da straordinario propellente per l’approdo da parte dell’anima tedesca a nuove e inedite latitudini.

Bibliografia

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[1] Goethe ripubblicò questo saggio nel 1824 in «Über Kunst und Altertum», IV, 3. Sugli scritti del periodo stürmisch del poeta si è diffuso Norbert Christian Wolf nel suo saggio Streitbare Ästhetik. Goethes Kunst- und literaturtheoretischen Schriften 1771-1789, De Gruyter, Göttingen, 2001.

[2] Si veda in proposito il valido saggio, anche se datato, di Charles H. Handschin, Goethe und die bildende Kunst: Italien, in «Modern Philology», University of Chicago Press, February, Chicago, 1915 nonché O. Stelzer, Goethe und die bildende Kunst, Teubner Verlag, Wiesbaden, 1949 e a seguire W. G. Oschilewski, Goethe und die bildende Kunst, Arani-Verlag, Berlin/Grunewald, 1957, H. von Einem, Beiträge zu Goethes Kunstauffassung, Von Schröder, Hamburg 1956 e T. Volbehr, Goethe und die bildende Kunst, Nabu Press (ristampa della celebre edizione del 1895), Firenze, 2011.

[3] Cfr. J. W. Goethe, Aus meinem Leben Dichtung und Wahrheit, erstes Buch, in Goethes Werke, Hamburger Ausgabe, Band IX, Christian Wegner Verlag, Hamburg, 1964, p. 29 (d’ora in poi DW seguita dall’indicazione del libro).

[4] Cfr. G. Baioni, Il giovane Goethe, Einaudi, Torino, 1996, p. 145.

[5] Nel Corpus der Goethezeichnungen figura solo un disegno dedicato all’architettura gotica. Si tratta della raffigurazione della Leonhardskirche di Francoforte.

[6] Cfr. DW, erstes Buch, p. 29.

[7] Cfr. ivi, p. 14. Johann Kaspar Goethe, dopo aver compiuto la sua Kavalierstour in Italia, scrisse al ritorno in patria un rendiconto di viaggio steso originalmente in italiano e intitolato Viaggio per l’Italia, la cui versione tedesca recita Reise durch Italien im Jahre 1740.

[8] Cfr. G. Baioni, Il giovane Goethe, cit., pp. 45-80.

[9] Charles H. Handschin, Goethe und die bildende Kunst: Italien, cit., pp. 335-336. Sulla figura di A. F. Oeser si veda la biografia di Timo John, Adam Friedrich Oeser 1717-1799. Studie über einen Künstler der Empfindsamkeit, Sax-Verlag Beucha, Markkleeberg, 2001, M. Wenzel, Adam Friedrich Oeser: Theorie und Praxis in der Kunst zwischen Aufklärung und Klassizismus, VDG, Weimar, 1999 e G.-H. Vogel, A. F. Oeser. Götterhimmel und Idylle. Zum 300. Geburtstag des Künstlers, Lukas Verlag, Berlin, 2017.

[10] Cfr. Charles H. Handschin, Goethe und die bildende Kunst: Italien, cit., p. 490.

[11] Goethe’s Briefe in den Jahren 1768-1832, Julius Wunder’s Verlagsmagazin, Leipzig, 1837, p. 2.

[12] Si veda in proposito Hendrik Hellersberg, Architekturvorstellungen in der deutschen Literatur der Goethezeit, University Heidelberg Neuphilologische Fakultät. Germanistisches Seminar 2006, in particolare i capitoli dedicati all’Illuminismo e allo Sturm und Drang.

[13] J. G. Herder, Rezension von Klopstocks Oden, in J. G. Herder, Werke in X Bänden, Band II, Bibliothek deutscher Klassiker, Frankfurt am Main, 1985, p. 789. Sull’uso del termine “gotisch” nel Settecento si veda Klaus Niehr, Gotisch, in Ästhetische Grundbegriffe, Bd. II, Verlag J. B. Metzler, Stuttgart/Weimar, 2001, p. 862.

[14] Nella sua prefazione all’edizione da lui curata delle opere di Shakespeare, Alexander Pope scriveva: «man könne, ungeachtet aller seiner Fehler und aller Unregelmäßigkeit seines Dramas, seine Werke, in Vergleichung mit andern die regelmäßiger und auspolierter sind, so ansehen, wie man ein altes Majestätisches Werk von Gothischer Bauart in Vergleichung mit einem feinen neuen Gebäude ansieht: das letztere ist zierlicher und schimmernder, aber das erste ist dauerhafter und feyrlichter» in Wielands gesammelte Schriften. hrsg. von der Preußischen Kommission der Preußischen Akademie der Wissenschaften, 2. Abt.: Übersetzungen. Bd. I, Weidmann, Berlin, 1909, p. 10.

[15] J. G. Herder, Vom gotischen Geschmack in J. G. Herder, Sämtliche Werke in XXXIII Bänden, Band XXXII,Weidmann, Berlin, 1877-1913, p. 29 e sg. [Das Skizzenblatt wurde von Herder mit keinem Titel versehen. Der Titel stammt von dem Herausgeber Bernd Suphan].

[16] J. G. Herder, Fragmente von der neueren deutschen Literatur, in J. G. Herder, Werke in X Bänden, Band I, cit., p. 385.

[17] Cfr. J. G. Herder, Auszug aus einem Briefwechsel über Ossian und die Lieder alter Völker, in J. G. Herder, Werke in X Bänden, Band II, cit., p. 493.

[18] »Gothisch, (Schöne Künste) – Man bedienet dieses Beywort in den schönen Künsten vielfältig, um dadurch einen barbarischen Geschmack anzudeuten» (J. G. Sulzer, Allgemeine Theorie der schönen Kunst, Zweither Theil, neue vermehrte Auflage, Weidmann, Leipzig, 1792, p. 433).

[19] J. G. Herder, Journal meiner Reise im Jahr 1769, in J. G. Herder, Werke in X Bänden, Band IX/2, cit., p. 104.

[20] «Wo also die Perspektivische Kunst zuerst zu einiger Vollkommenheit kommen konnte, war an Gebäuden, sollten es ursprünglich nur Lauben, Hütten, Alleen, und Verschönerungen von Höhlen oder Grotten gewesen sein» (J. G. Herder, Viertes Kritisches Wäldchen, in J. G. Herder, Werke in X Bänden, Band II, cit., p. 325).

[21] J. G. Sulzer, Allgemeine Theorie der schönen Kunst, Bd. II, cit., p. 319.

[22] «Das Genie, wodurch jedes gute Werk der Kunst seine Wichtigkeit und innerliche Groeße, oder die Kraft bekommt, sich der Aufmerksamkeit zu bemächtigen, den Geist oder das Herz einzunehmen; den guten Geschmak, wodurch es Schoenheit, Annehmlichkeit, Schicklichkeit, und ueberhaupt einen gewissen Reiz bekommt, der die Einbildungskraft fesselt: diese Talente muß der Baumeister so gut, als jeder andre Kuenstler besitzen» (J. G. Sulzer, Allgemeine Theorie der schönen Kunst, Band II, cit. p. 5).

[23] Sul concetto di genio in Hamann e Herder cfr. G. Moretti, Il genio, Il Mulino, Bologna, 1998, pp. 74-80.

[24] Cfr. L. Mittner, Storia della letteratura tedesca. Dal Pietismo al Romanticismo (1700-1820), Einaudi editore, Torino, 1964, pp. 345-346. Nell’incipit del suo saggio su Shakespeare del 1773 Herder delinea l’immagine dell’uomo shakespeariano inteso come autentica «forza della natura» in questi termini: «Wenn bei einem Manne mir jenes ungeheure Bild einfällt: “hoch auf einem Felsengipfel sitzend! zu seinen Füßen, Sturm, Ungewitter und Brausen des Meers; aber sein Haupt in den Strahlen des Himmels!” so ist’s bei Shakespeare!» (J. G. Herder, Shakespeare, in Von deutscher Art und Kunst. Einige fliegende Blätter (1773), G. J. Göschen’sche Verlagshandlung, Stuttgart, 1892, p. 53).

[25] Sulla cultura del sentimento in ambito tedesco si veda il capitolo «Sturm und Drang. Sturm um Kant» con relativo apparato di note, in G. Moretti, Il genio, cit., pp. 66-101 nonché le monografie di P. Mog, Ratio und Gefühlskultur. Studien zu Psychogenese und Literatur im 18. Jahrhundert, Max Niemeyer Verlag, München 1976 e di A. Aurnhammer – D. Martin – R. Seidel, Einleitung in Gefühlskultur in der Aufklärung, De Gruyter, Berlin, 2011.

[26] Tra la cospicua Sekundärliteratur dedicata al Baukunst-Aufsatz goethiano qui considerato si segnalano i seguenti studi: E. Beutler, Von deutscher Baukunst. Goethes Hymnus auf Erwin von Steinbach. Seine Entstehung und Wirkung, F. Bruckmann Verlag, München. 1943; R. Otto, “Von deutscher Baukunst”. Aspekte, Wirkungen und Probleme eines ästhetischen Programms, in «Impulse», 1978, pp. 67-88; N. Knopp, «Zu Goethes Hymnus D. M. Ervini a Steinbach», in «Deutsche Vierteljahresschrift für Literaturwissenschaft und Geistesgeschichte», 53 (1979), pp. 617-650; R. Liess, Goethe vor dem Straßburger Münster. Zum Wissenschaftsbild der Kunst, Seemann Verlag, Leipzig, 1985; P. Beckmann, Zur Semiotik der Straßburger Münsterfassade und der beiden Goethe-Aufsätze «Von deutscher Baukunst» (1772; 1823), in Kodikos/Code Ars semeiotica», N. 314, 1990, pp. 151-176; L. Unbehaun, «Von deutscher Baukunst», Hain-Verlag, Rudolstadt & Jena, 1997; J. Binsky, Poesie der Baukunst. Architekturästhetik von Winckelmann bis Boisserée, Hermann Böhlhaus Nachfolger, Weimar, 2000; A. Forty, Parole ed edifici. Un vocabolario per l’architettura moderna, Edizioni Pendragon, Bologna, 2004; M. Cometa, Appropriazioni. Goethe e l’architettura, in AA.VV., Paesaggi europei del Neoclassicismo, a cura di Giulia Cantarutti e Stefano Ferrari, Il Mulino, Bologna, 2007, pp. 61-72; J. Büchsenschuß, Nach­denken über deutsche Baukunst. Goethe und die Architekturtheorie, DOM Publishers, Berlin, 2020; P. Orru, Goethes Rezeption des Genies. Zum Rezeptionsproblem in Goethes architekturtheoretischer Schrift «Von deutscher Baukunst. D. M. Ervini a Steinbach» (1772-1773), Grin-Verlag, München, 2021.

[27] R. C. Zimmermann, Zur Datierung von Goethes Aufsatz “Von deutscher Baukunst”, in «Euphorion», 51, 1957, pp. 438-442.

[28] La paternità dello scritto viene confermata nei Gespräche da Gottlob Ernst von Schönborn nell’ottobre 1773, quando afferma «“Die deutsche Baukunst” ist von ihm».

[29] H. Keller, Goethes Hymnus auf das Straßburger Münster und die Wiedererweckung der Gotik im 18. Jahrhundert 1772/1792, in Sitzungsberichte der Bayerischen Akademie der Wissenschaften, Philosophisch-Historische Klasse, Heft 4, München, 1974, p. 7. Si veda anche lo studio critico di W. D. Robson-Scott, Goethe and the Gothic Revival, in PEGS, 1955/1956, pp. 83-113 come pure dello stesso autore The Literary Background of the Gothic Revival in Germany. A Chapter in the History of Taste, Clarendon Press, Oxford/Nex York, 1965.

[30] R. Krause, Die Architektur des Genies. Zu Goethes Essay «Von deutscher Baukunst», in «Goethe-Jahrbuch», 127, 2010, p. 95.

[31] Ivi, p. 99.

[32] H. Hellersberg, Architekturvorstellungen in der deutschen Literatur der Goethezeit, University Heidelberg Neuphilologische Fakultät. Germanistisches Seminar 2006, p. 77. Si prenda in considerazione, a questo riguardo, anche H.-W. Kruft, Goethe und die Architektur, in Pantheon, XL, 1982, pp. 282-289. L’autore sostiene che il saggio goethiano è «eine merkwürdige Kombination von Gotik mit klassischer Sichtweise» (p. 282).

[33] S. Bengtsson, Von der deutschen Baukunst. Über einen deutschen Text, Texte zu bauen, in AA. VV., «Darum ist die Welt so groß». Raum, Platz, Geographie im Werk Goethes, a cura di M. Pirholt – A. H. Møller, Universitätsverlag Winter, Heidelberg, 2014, p. 130.

[34] DW, neuntes Buch, p. 384. In proposito si veda il pregevole studio di R. Ewald, Goethes Architektur. Des Poeten Theorie und Praxis, Ullerich Verlag, Weimar, 1999.

[35] DW, neuntes Buch, p. 385.

[36] J. W. Goethe, Von Deutscher Baukunst: D. M. Ervini a Steinbach, esemplare a stampa, 1773, s. l., consultato nelle digitale Sammlungen der Herzogin Anna Amalie Bibliothek di Weimar, p. 8 (d’ora in avanti VDB). In versione italiana si segnalano J. W. Goethe, Scritti sull’arte e sulla letteratura, a cura di Stefano Zecchi, Bollati Boringhieri, Milano 1992 e J. W. Goethe, Baukunst. Dal gotico al classico negli scritti sull’architettura (trad. it. di Renata Gambino), Medina, Palermo, 1994.

[37] VDB, pp. 8-9. In merito cfr. M. Eicheldinger. «Gotik», in B. Witte und andere, Goethe-Handbuch, Bd. IV/1, Metzler, Stuttgart/Weimar, 1998, pp. 437-438.

[38] A questo riguardo si veda H.-J. Schings, Beobachtungen über das Gefühl des Erhabenen bei Goethe, in Begegnungen mit dem “Fremden”, Grenzen – Traditionen – Vergleiche. Akten des VIII. Internationalen Germanisten-Kongresses (a cura di E. Iwasaki), Bd. VII, Tokyo 1990, Iudicium Verlag, München, 1991.

[39] G. Baioni, Il giovane Goethe, cit., p. 145.

[40] VDB, p. 9.

[41] Ibidem. Riguardo al suo rapporto con il Gotico il poeta si definisce pertanto nel suo Aufsatz, «ein abgesagter Feind der verworrenen Willkürlichkeiten gotischer Verzierungen» (iviS, p. 8).

[42] Brief an den Freund Röderer vom September 1771, in J. W. Goethe, Briefe, Tagebücher, Gespräche, Digitale Bibliothek, Band IX, 2004, p. 367.

[43] «Elle [la tour] contient plus de quatre cent quatre vingt pieds […] ce qui ne peut sans doute passer que pour merveilleux, sur tous lors qu’on connoit la délicatesse» in Jean-François Félibien des Avaux, Recueil historique de la vie et des Ouvrages des plus célèbres Architectes, Aux Dépens d’Estienne Roger, Amsterdam, 1706, p. 166 e sg.

[44] Eudes de Montreuil (1220-1289) fu un architetto e scultore francese. Sotto il regno di Luigi IX il Santo progettò a Parigi molti edifici civili e sacri, tra questi ultimi la Cappella dell’Hôtel de Dieu, la chiesa di Santa Maria Maddalena dei Cordiglieri e di Santa Caterina. Gli fu attribuito anche il portale principale della chiesa di Mautes-la-Ville. Seguì il sovrano nella VII crociata in Palestina, dove realizzò le fortificazioni di Jaffa. Fu attivo anche a Cipro e a Famagosta. Eudes de Monteuil morì nel 1289 e fu sepolto a Parigi nella chiesa dei Cordiglieri, non prima di aver scolpito la propria tomba visibile fino al 1580, l’anno in cui l’edificio sacro fu distrutto da un terribile incendio.

[45] Cfr. N. Prouteau, Eudes de Montreuil, maître des oeuvres des fortifications de Jaffe, une légende franciscaine?, in «Bulletin Monumentale», Tomo 164-1, 2006, pp. 109-112. In merito significativo è il seguente passo: «Le cas d’Eudes renvoie plus largement à une conception patriotique et idéalisée de l’artiste à la Renaissance, celle du mythe de l’architecte de génie, ici, au service des ordres Mineurs» (p. 111).

[46] Alla figura di Erwin von Steibach lo scrittore e teologo Theodor Schwarz (1777-1850) ha dedicato un romanzo intitolato Erwin von Steinbach edito nel 1834 in tre parti presso il Verlag Friedrich Perthes di Amburgo. Da ricordare anche l’opera Geschichte des deutschen Volkes di Eduard Duller pubblicata a Lipsia nel 1840, che contiene la leggenda di Erwin von Steinbach e la misteriosa figlia Sabina.

[47] Il giovane poeta fu fortemente influenzato, dal punto di vista tematico e soprattutto linguistico, dai giudizi espressi da Herder sull’architettura gotica in particolare quello riportato nel Viertes kritisches Wäldchen, in cui l’autore ricorre all’uso dei verbi “imponieren” e “frappieren” per esprimere il dialogo serrato tra le masse murarie e gli elementi ornamentali non privi di leggerezza e di audacia, frutto delle doti geniali dell’uomo nonché fonte di un’esperienza sensoriale duratura e insolita (“ungewöhnlich’) che trascende la quotidianità (“alltäglich”): «Die Gothischen Gebäude imponieren durch ihre Masse und Leichtigkeit, die mit der größten Kühnheit verbunden ist. Sie geben dem Geist finstre Ideen; aber diese finstre Ideen gefallen. Die Vielheit ihrer Zierraten und ihrer Proportionen geben mehr eine Folge von Sensationen, als eine fortdauernde Sensation […]. Die regelmäßige Architektur eines Gebäudes frappiert anfänglich durch die Ausbreitung, […], durch eine Art von Einförmigkeit, die im Auge dieselben Vibrationen vervielfältigt. Sie erinnert an die Macht und Genie des Menschen: sie vereinigt wie die Gothische Leichtigkeit und Kühnheit» (J. G. Herder, Viertes kritisches Wäldchen, in Herders Werke, Band II, cit., p. 371).

[48] DW, neuntes Buch, p. 386.

[49] VDB, p. 3.

[50] Ivi, p. 9.

[51] Ivi, p. 3.

[52] Ivi, p. 4.

[53] J. Heimler, «Divis Manibus»: Goethe und Erwin von Steinbach, in «Estudios Literarios» (Revista de Filologia Alemana) 2004, 12, p. 12.

[54] VDB, p. 9.

[55] Ibidem.

[56] J. W. Goethe, Dritte Wallfahrt nach Erwins Grab im Juli 1775, DjG3 V, p. 240.

[57] VDB, p. 8.

[58] Il rapporto tra l’architettura e il mondo vegetale viene ribadito anche da Schelling quando scrive: «Die Architektur hat vorzugsweise den Pflanzenorganismus zum Vorbild» (F. W. J. Schelling, Ausgewählte Werke, Bd. V: Philosophie der Kunst, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, Darmstadt, 1980, p. 227).

[59] Nei Grundzüge der gotischen Baukunst (1804-1805) Friedrich Schlegel, descrivendo il duomo di Colonia, ne evidenzia il carattere vegetale, paragonandolo alla pietrificazione di una foresta. Georg Forster, dal canto suo, considera le colonne fascicolate dello stesso edificio sacro come gli alberi di una foresta primigenia.

[60] VDB, p. 11.

[61] Si ricordi al riguardo i seguenti passi: «Dieses Rätsel ist auf das glücklichste gelöst. Die Öffnungen der Mauer, die soliden Stellen derselben, die Pfeiler, jedes hat seinen besonderen Charakter, der aus der eignen Bestimmung hervortritt; dieser kommuniziert sich stufenweis den Unterabteilungen, daher alles im gemäßen Sinne verziert ist, das Große wie das Kleine sich an der rechten Stelle befindet, leicht gefaßt werden kann, und so das Angenehme im Ungeheueren sich darstellt. Ich erinnere nur an die perspektivisch in die Mauerdicke sich einsenkenden, bis ins Unendliche an ihren Pfeilern und Spitzbogen verzierten Türen, an das Fenster und dessen aus der runden Form entspringende Kunstrose, an das Profil ihrer Stäbe, sowie an die schlanken Rohrsäulen der perpendikularen Abteilungen. Man vergegenwärtige sich die stufenweis zurücktretenden Pfeiler, von schlanken, gleichfalls in die Höhe strebenden, zum Schutz der Heiligenbilder baldachinartig bestimmten, leichtsäuligen Spitzgebäudchen begleitet, und wie zuletzt jede Rippe, jeder Knopf als Blumenknauf und Blattreihe, oder als irgend ein anderes im Steinsinn umgeformtes Naturgebilde erscheint. Man vergleiche das Gebäude, wo nicht selbst, doch Abbildungen des Ganzen und des Einzelnen, zu Beurteilung und Belebung meiner Aussage. Sie könnte manchem übertrieben scheinen: denn ich selbst, zwar im ersten Anblicke zur Neigung gegen dieses Werk hingerissen, brauchte doch lange Zeit, mich mit seinem Wert innig bekannt zu machen» (DW, neuntes Buch, pp. 384-385).

[62] VDB, p. 11.

[63] Ibidem.

[64] Ivi, p. 6.

[65] A tale proposito si veda lo studio interessante di Dieter Borchmeyer, Was ist deutsch? Die Suche einer Nation nach sich selbst, Rowohlt, Berlin, 2017.

[66] DW, neuntes Buch, p. 386.

[67] DW, zwölftes Buch, p. 508.

[68] Al riguardo è doveroso segnalare la brillante tesi di laurea di Silvia Malacarne intitolata Il Gotico nell’architettura francese tra XVII e XVIII secolo discussa nell’anno accademico 2011/2012 presso l’Università Ca” Foscari di Venezia (relatore Prof. Elisabetta Molteni), in particolar modo il paragrafo 2 «Les […] édifices qu’on nomme Gothiques ou Modernes» del II capitolo «Contesto culturale», pp. 27-41.

[69] G. Baioni, Il giovane Goethe, cit., p. 103.

[70] Ivi, p. 104.

[71] Ibidem.

[72] Ibidem.

[73] Marc-Antoine Laugier, Essai sur l’architecture, Chez Duchesne, Paris, 1755 p. 201 e sg.

[74] Recensione a Von deutscher Art und Kunst. Einige fliegende Blätter di Herder in Mattias Claudius, Der Deutsche, sonst Wandsbecker Bothe (4. Mai. 1793), p. 4.

[75] VDB, p. 13.

[76] Ibidem.

[77] J. W. Goethe, Nach Falconet und über Falconet, in Goethes Werke, Band XII, cit., p. 24.

[78] VDB, p. 6.

[79] Ibidem.

[80] Ibidem.

[81] Ivi, p. 5.

[82] G. F. Koch, Goethe und die Baukunst, in J. W. Goethe – Versuch einer Annäherung, Lehrdruckerei der TH., Darmstadt, 1984. p. 237.

[83] A. Coers, Metamorphosen der Gotik. Die gotische Kathedrale in Beschreibung der Goethezeit und ihre Rezeption, in AA. VV., Ein Dialog der Künste: Beschreibungen und Innenarchitektur und Interieur in der Literatur von der Frühen Neuzeit bis zur Gegenwart, Michael Imhof Verlag, Peterberg, 2014, p. 81. La tesi di Klaus Niehr è riportata in Gotikbilder – Gotiktheorien. Studien zur Wahrnehmung und Erfassung mittelalterlicher Architektur in Deutschland zwischen ca. 1750 und 1850, Gebrüder Mann Verlag, Berlin, 1999, p. 53.

[84] R. Liess, Goethe vor dem Straßburger Münster – Zum Wissenschaftsbild der Kunst, Seemann Verlag, Leipzig, 1985, p. 41 e sg.

[85] Si veda in proposito il breve saggio Einfache Nachahmung der Natur, Manier, Stil apparso nel febbraio 1789 in «Der Teutsche Merkur» anche nella versione italiana in J. W. Goethe, Scritti sull’arte e sulla letteratura, cit., pp. 61-65.

[86] VDB, p. 10.

[87] G. Baioni, Il giovane Goethe, cit., p. 145.

[88] E. Burke, A Philosophical Enquiry into the Origin of our Ideas of the Sublime and Beautiful, sixth Edition, J. Dodsley, London, 1770, p. 253.

[89] Ivi, p. 248.

[90] VDB, p. 9.

[91] Ivi, pp. 9-10.

[92] Ivi, p. 6.

[93] J. Büchsenschuß, Nachdenken über deutsche Baukunst. Goethe und die Architekturtheorie, cit., p. 21.

[94] VDB, p. 12.

[95] Ibidem.

[96] Anche Albert Coers, nel suo saggio precedentemente citato Metamorphosen der Gotik. Die gotische Kathedrale in Beschreibung der Goethezeit und ihre Rezeption, ribadische il valore metaforico del’”edificio sacro, quando scrive: «Die Kathedrale fungiert als Gegenstand und Metapher von Selbstbildung» (p. 82).

[97] G. Moretti, Il genio, cit., p. 72.

[98] DW, neuntes Buch, p. 385.

[99] Hans Bäzinger sostiene, nel suo contributo Disillusione nell’immaginario architettonico e letteratura tedesca, l’approccio mistificatorio e illusionistico di Goethe alla cattedrale di Strasburgo che si manifesta nella proiezione della sua Innigkeit e dei suoi moti d’animo sulla facciata esterna della stesso edificio sacro, escludendo l’interno (cfr. AA.VV., Testo letterario e immaginario architettonico, Jaka Book, Milano, 1996, p. 85). In riferimento al giudizio espresso da Bäzinger è bene ricordare che per Goethe l’arte non è chiamata a rappresentare il vero, ma il verosimile e perciò deve creare una sorta di illusione consapevole, da cui scaturisce il piacere estetico.

[100] Cfr. E. Panofsky, Architettura gotica e filosofia scolastica, Aesthetica, Milano, 2014, pp. 12-22 e passim nonché L. Grodecki, Architettura gotica, Electa, Milano 1978; F. Deuchler, Kunst der Gotik: Malerei, Plastik, Architektur, Sonderausgabe, Belser Verlag, Stuttgart /Zürich, 1991; O. von Simson, La cattedrale gotica. Il concetto medievale di ordine, Il Mulino, Bologna, 2008 e F. Prina, Storia dell’architettura gotica, Electa, Milano, 2009, p. 125.

[101] In merito si prendano in considerazione le cattedrali di Limburg, Magdeburg, Marburg, Colonia e Treviri.

[102] Cfr. E. Panofsky, Architettura gotica e filosofia scolastica, cit., pp. 21-60.

[103] «Der gotische Kirchenbau befindet sich dagegen in einem Zustand des Werdens, er entsteht gleichsam vor unseren Augen und stellt einen Prozeß, nicht ein Ergebnis dar» (A. Hauser, Sozialgeschichte der Kunst und Literatur, C. H. Beck, München, 1970, p. 232).

[104] «Die romanische Kirche ist ein in sich abgeschlossenes, in sich ruhendes, stabiles Raumgebilde mit einem verhältnismäßig weiten repräsentativen, nüchternen Innenraum, der den Blick des Beschauers auf sich ruhen und in vollkommener Passivität verharren läßt» (A. Hauser, Sozialgeschichte der Kunst und Literatur, cit., p. 176). Si veda inoltre P. Kidson, Romanik und Gotik: Architektur, Malerei, Plastik, Glasfenster, Buchmalerei, Bertelsmann Kunstverlag, Gütersloh, 1968.

[105] Si veda al riguardo il recente saggio di Klaudia Hilgers, «… bis auf’s geringste Zäserchen, alles Gestalt und alles zweckend zum Ganzen …» – Natur und Kunst in Goethes “Von deutscher Baukunst”, in «Jahrbuch für Internationale Germanistik», Reihe A, Kongreßberichte, Bd. LXVIII, 2020, pp. 93-116.

[106] VDB, p. 14.

[107] Ibidem.

[108] H.-G. von Arburg, “Oberfläche” in der deutschsprachigen Architektur- und Literaturästhetik 1770-1870, Fink Verlag, München, 2008, p. 84.

[109] DW, neuntes Buch, p. 386.

[110] «das Epochale der Rede liege” darin, daß hier ein mittelalterliches Meisterwerk weder geschulmeistert noch etwa contra rationem bewundert […], vielmehr als paradigmatische Erfüllung der höchsten Forderungen vorgeführt wird» (Wolfram von den Steinen, Mittelalter und Goethezeit, in «Historische Zeitschrift» 183 (1975), pp. 249-302, qui p. 275 e sg. Si prenda in considerazione anche lo studio critico di K. Gerstenberg, Die deutsche Baukunstbildnisse des Mittelalters, Deutscher Verlag für Kunstwissenschaft, Berlin, 1966.

[111] J. Heimler, «Divis Manibus»: Goethe und Erwin von Steinbach, cit., p. 12.

[112] A. Coer, Metamorphosen der Gotik. Die gotische Kathedrale in Beschreibung der Goethezeit und ihre Rezeption, cit., p. 82.

[113] A una recezione soggettiva della cattedrale espressa in Von deutscher Baukunst subentrerà nel tardo Goethe, e precisamente nel neuntes Buch di Dichtung und Wahrheit (p. 383), una restituzione più oggettiva e analitica della stessa: «Vor allem widmen wir unsere Betrachtungen, ohne noch an die Türme zu denken, allein der Fassade, die als ein aufrecht gestelltes längliches Viereck unsern Augen mächtig entgegnet. Nähern wir uns derselben in der Dämmerung, bei Mondschein, bei sternheller Nacht, wo die Teile mehr oder weniger undeutlich werden und zuletzt verschwinden; so sehen wir nur eine kolossale Wand, deren Höhe zur Breite ein wohltätiges Verhältnis hat. Betrachten wir sie bei Tage und abstrahieren durch Kraft unseres Geistes vom Einzelnen; so erkennen wir die Vorderseite eines Gebäudes, welche dessen innere Räume nicht allein zuschließt, sondern auch manches Danebenliegende verdeckt. Die Öffnungen dieser ungeheueren Fläche deuten auf innere Bedürfnisse, und nach diesen können wir sie sogleich in neun Felder abteilen. Die große Mitteltüre, die auf das Schiff der Kirche gerichtet ist, fällt uns zuerst in die Augen. Zu beiden Seiten derselben liegen zwei kleinere, den Kreuzgängen angehörig. Über der Haupttüre trifft unser Blick auf das radförmige Fenster, das in die Kirche und deren Gewölbe ein ahndungsvolles Licht verbreiten soll. An den Seiten zeigen sich zwei große senkrechte, länglich-viereckte Öffnungen, welche mit der mittelsten bedeutend kontrastieren und darauf hindeuten, daß sie zu der Base emporstrebender Türme gehören. In dem dritten Stockwerke reihen sich drei Öffnungen an einander, welche zu Glockenstühlen und sonstigen kirchlichen Bedürfnissen bestimmt sind. Zu oberst sieht man das Ganze durch die Balustrade der Galerie, anstatt eines Gesimses, horizontal abgeschlossen. Jene beschriebenen neun Räume werden durch vier vom Boden aufstrebende Pfeiler gestützt, eingefaßt und in drei große perpendikulare Abteilungen getrennt».

[114] VDB, p. 14.

[115] Ibidem.

[116] Il faggio aveva per gli antichi Germani un alto valore religioso. Sul suo tronco incidevano caratteri segreti e interrogavano, prima di prendere decisioni importanti, i loro bastoni solcati di simboli magici come fossero oracoli. Si ricordi poi che l’albero del mondo definito anche cosmico, era per gli antichi Sassoni un alto faggio chiamato Irminsul (grande colonna o axis mundi), all’ombra del quale si tenevano le riunioni dei saggi e che fungeva da collegamento tra terra e cielo, tra il mondo degli umani e quello degli dei, tra quello dei vivi e quello dei defunti (cfr. G. Chiesa Isnardi, i miti nordici, Euroclub, Milano, 1996, p. 482 e sgg).

[117] VDB, p. 4.

[118] Ibidem.

[119] In proposito si veda lo studio di Patrick Peters, Männer aus dem Hain. Studien zur Männlichkeitskonstruktion in der Lyrik der Göttinger Hainbündler, Oldib Verlag, Universität Duisburg/Essen, 2014.

[120] L. Mittner, Storia della letteratura tedesca. Dal Pietismo al Romanticismo (1700-1820), cit., p. 277.

[121] VDB, p. 12.

[122] Ivi, p. 14.

[123] Ivi, p. 15.

[124] Ibidem.

[125] «Seine eigne Kräfte sind’s, die sich im Kindertraum entfalten, im Jünglingsleben bearbeiten, bis er stark und behend, wie der Löwe des Gebürges auseilt auf Raub» (Ivi, p. 15).

[126] «und wert bist, auszuruhen in dem Arme der Göttin, wert, an ihrem Busen zu fühlen, was den vergötterten Herkules neu gebar, nimm ihn auf, himmlisch Schönheit, du Mittlerin zwischen Göttern und Menschen und mehr als Prometheus leit’ er die Seligkeit der Götter auf die Erde» (Ivi, p. 16).

[127] Sulla figura di Prometeo nell’opera del giovane Goethe cfr. tra l’altro E. Braemer, Goethes Prometheus und die Grundposition des Sturm und Drang, «Beiträge zur deutschen Klassik», Bd. VIII e J. Heimerl, Systole und Diastole. Studien zur Bedeutung des Prometheussymbols im Werk Goethes. Versuch einer Neubestimmung, Iudicium Verlag, München, 2001.

[128] Si ricordino in proposito Dritte Wallfahrt nach Erwins Grab im Juli 1775, Von deutscher Baukunst 1823 e i libri IX, X, XII di Dichtung und Wahrheit.

[129] DW, zwölftes Buch, p. 508.

[130] Il saggio Von deutscher Baukunst fu un punto di riferimento fondamentale per scrittori e filosofi che si occuparono dell’architettura gotica alla luce della rivalutazione del Medioevo cristiano europeo come, tra l’altro, W. Heinse (Die Beschreibung des Straßburger Münster im Tagebuch von 1781), G. Forster (Ansichten vom Niederrhein, von Brabant, Flandern, Holland, England und Frankreich im April, Mai und Juni 1790), L. Tieck (Franz Sternbalds Wanderungen), F. Schlegel (Grundzüge der gotischen Baukunst, frutto di una rielaborazione dei Briefe auf einer Reise durch die Niederlande, Rheingegenden, die Schweiz, und einen Theil von Frankreich), J. Schelling (Philosophie der Kunst) e G. W. F. Hegel (Vorlesungen über die Ästhetik).