LA PAROLA E IL SILENZIO IN VIRGINIA WOOLF E NATHALIE SARRAUTE

Autori

  • Annalisa Federici

DOI:

https://doi.org/10.13130/2282-0035/4574

Abstract

L’idea della creazione letteraria come equivalente verbale di una realtà altra, come trasposizione dall’ordine della sensazione o del pensiero all’ordine della parola, accomuna la concezione estetica di Virginia Woolf a quella di Nathalie Sarraute. Ambedue le scrittrici manifestano una smisurata fascinazione nei confronti del linguaggio pur non perdendone di vista i limiti e le manchevolezze, che rendono necessario lo sforzo di  ricondurlo alle sue origini preverbali, emotive, pulsionali. L’enfasi, infatti, è posta sull’incommensurabilità tra una realtà fluttuante e amorfa quale è l’universo psichico, o la labilità delle impressioni, e la fissità, la rigidezza, la linearità del medium linguistico, che rischia in ogni momento di immobilizzare e devitalizzare la sensazione o il pensiero di cui è espressione. Entrambe le autrici esplorano dunque le potenzialità della sfera del nondetto, di quel silenzio che talvolta possiede un valore comunicativo superiore a quello della parola e ne evidenzia/compensa i limiti, manifestando una assenza e al contempo un surplus di significato. Lo stile di Virginia Woolf e di Nathalie Sarraute si farà quindi vago e allusivo, secondo un’estetica dell’indeterminatezza e dell’incompiuto (data, tra l’altro, dall’uso pervasivo dell’ellissi e dei puntini di sospensione) finalizzata a congiungere la sfera psichica e la realtà del linguaggio, anche tramite la sua assenza.

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Pubblicato

2014-12-19

Fascicolo

Sezione

Saggi