Milano 1923-1936. Tre guerre contro la misura dialogica
DOI:
https://doi.org/10.13130/2282-0035/15693Abstract
Oltre alla guerra dal cielo del 1943-44 che ha distrutto un quarto del suo patrimonio abitativo, prima e dopo, Milano ha conosciuto altre due guerre non meno devastanti: 1) la macelleria urbana del fascismo con l’abbattimento di oltre 135.000 vani abitativi nel centro storico; 2) il completamento, negli anni della Ricostruzione e del boom economico, del lavoro iniziato nel ventennio. Nel mettere a ferro e fuoco il cuore urbano, il fascismo insegue due obiettivi: allontanare i ceti popolari dal centro e fare spazio alla presenza di attività direzionali e finanziarie. Il disegno politico trova alleanze in un pensiero urbanistico che vede nei tessuti della città storica sia un focolaio di malattie e di degenerazione morale che un ostacolo alla libera circolazione delle automobili. L’urbanistica può farsi così complice e strumento attuatore del disegno del regime. Anche nella Ricostruzione pesa un’inadeguatezza nell’interpretazione dei fatti urbani (i valori e le regole depositati nel corpo storico della città) a cui corrisponde una inadeguatezza di politici e pubblici amministratori sul significato e l’importanza del fare città. Così, salvo la realizzazione di quartieri di iniziativa pubblica, si registrerà una sostanziale continuità con la politica urbanistica d’anteguerra.
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