L’insidioso fascino di narrare l’erotismo della Cina imperiale: un’analisi semiotica delle tra-duzioni del Rouputuan (Il tappeto da preghiera di carne), XVII secolo
DOI:
https://doi.org/10.13130/2037-2426/12049Abstract
Il Rouputuan è un romanzo erotico cinese del XVII secolo, pubblicato sotto pseudonimo ma tradizionalmente attribuito – non senza contestazioni – al poliedrico letterato, poeta, editore, saggista, pittore, nonché autore e impresario teatrale, Li Yu (1610-1680). Il romanzo si distingue anche per la raffinatezza dello stile, l’eccellenza della struttura narrativa e l’acume che lo permea – in bilico precario ma sofisticatamente ambiguo tra sarcastica ironia e fedele adesione al credo buddhista. A lungo bandito dalla censura governativa durante l’ultima dinastia imperiale e tendenzialmente giudicato un’opera pornografica, perché priva di un’esplicita denuncia sociale verso i costumi corrotti dell’epoca – così come si ritrova in altri romanzi erotici come il Jinpingmei – il Rouputuan è un’opera letteraria che sembra essere detentrice di un doppio codice comunicativo: da una parte, la scelta lessicale derivata dalla lingua vernacolare, legata alla tradizione orale e quindi più facilmente veicolabile; dall’altra parte l’elemento figurativo, proteso a conferire maggiore enfasi ed efficacia al soggetto descritto, in un contesto sociale come quello cinese che ha visto sin dall’antichità una simbiotica connessione tra calligrafia, poesia e pittura. Questo contributo a due voci intende prendere in esame le problematiche relative alla traduzione dei contenuti scabrosi del romanzo anche in riferimento al suo apparato iconografico, per riflettere sulle scelte estetiche e letterarie di definire i confini (culturali) nella Cina tardo imperiale tra lecito ed illecito, eros e pornografia, repressione moralista ed evasione, volgarità e aspirazione artistica, ortodossia ed eterodossia.
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