Abstract
Protagonista indiscusso dell’avanguardia nell’ambito dell’A.A.C.M. (Association for the Advancement of Creative Musicians), il violinista afroamericano Leroy Jenkins (1937-2007) è una figura ancora poco studiata. Nella sua opera sintetizza musica sacra, blues, jazz, improvvisazione radicale e musica europea; materiali musicali che si collegano e si scontrano, quasi drammatizzando gli eventi di una vita piena di contraddizioni. Il focus di questo saggio è un approfondimento analitico (ove possibile comparato tra versioni diverse) di alcuni brani di L. Jenkins da cui risulta evidente la sua particolarissima attenzione per la voce del basso; i brani in esame (Looking for the Blues, Through the Ages Jehovah, Bird Eddie and Monk) coprono un arco temporale che va dal 1978 al 1992, periodo in cui parte della sua ricerca musicale si concentra sulle potenzialità degli strumenti elettrici. Gli unici testi di cui disponiamo sono le tracce fonografiche, per cui l'analisi musicale si avvale di due strumenti: la trascrizione in notazione tradizionale e gli schemi formali. L’analisi musicale mostra come il suo pensiero di compositore/improvvisatore non si limiti al proprio strumento. I brani esaminati infatti sono tutti basati su riff o linee di basso, e la loro forma è organizzata in modi sempre diversi. Il suono del suo violino dirige in modo sicuro il flusso sonoro, ma la musica rimane estremamente libera. Questa è forse l’essenza paradossale del cosiddetto free jazz: la coesistenza di anarchia e gerarchia.
Riferimenti bibliografici
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