Quello che le mapp (non) dicono. Uno sguardo ai metodi geografici per lo studio della violenza del territorio

Autori

  • Giulia Marchese UNAM, Città del Messico

DOI:

https://doi.org/10.13130/cross-12562

Parole chiave:

metodi geografici, violenza, criminalità organizzata, teoria femminista, analisi spaziale

Abstract

Il fenomeno della violenza, in alcune specifiche forme e modalità, richiede uno studio territoriale contestualizzato che possa rivelarne la distribuzione spaziale, il funzionamento, le relazioni tra gli attori coinvolti, statali, parastatali e extrastatali. A partire da una revisione critica dei metodi di ricerca geografici, che includono l'analisi territoriale, l'analisi di contesto e l'analisi geospaziale, discuto le relazioni che tessono la mappa della produzione e riproduzione della violenza di genere e mafiosa come mezzo e fine dell’esercizio del potere politico nel territorio. Le mappe sono uno strumento politico-estetico storicamente usato per creare il mondo e le sue relazioni, piuttosto che 'semplicemente' rappresentarlo. Nel discorso ufficiale, lo Stato-nazione ha costruito la criminalità organizzata come un concorrente territoriale, un attore-associazione 'parallelo' che sfida il monopolio della violenza: discorso che si converte geo-graficamente, per esempio nel caso messicano, come una rielaborazione delle unità amministrative locali con i confini -poligoni, in cartografia- dei cosiddetti cartelli. Quali sono le problematiche di questa lettura? Di questo punto di vista? Come contribuisce la geografia e la metodologia che suggerisce per affrontare criticamente le responsabilità della (ri)produzione narrativa e materiale della violenza, la mappa di attori coinvolti in fenomeni violenti? 

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Pubblicato

2019-12-13