The quest for myriad strains
DOI:
https://doi.org/10.54103/2465-0137/16865Parole chiave:
Musica elettronica, Creatività musicale, Musica e nuove tecnologieAbstract
In un’epoca in cui il web sta dimostrando pienamente il suo potenziale archivistico, sempre più compositori fanno uso di archivi di suoni, melodie, librerie informatiche. Si tratta di una tendenza molto spiccata nella popular music, ma che si sta insinuando sempre più anche nelle roccaforti della composizione accademica. Oggi gli autori hanno accesso – e contribuiscono alla creazione – di una miriade di materiali audio, di procedure e linguaggi, dove storicità e innovazione coesistono in un eterno presente. A prima vista può sembrare una rivoluzione. Tuttavia, uno sguardo più attento rivela radici antiche nella storia della musica che la riproduzione dell’audio ha reso solo più evidenti: la possibilità di fissare la musica su nastro magnetico, in un primo momento, ha portato alcuni compositori (ad esempio Bruno Maderna) a creare librerie di suoni da riutilizzare in opere diverse, facendo sfuocare così i confini dell'opera musicale; in seguito, la smaterializzazione e l’atomizzazione delle procedure, tipiche delle tecnologie dell’informazione, hanno spinto verso una ‘filosofia della condivisione’ (ad esempio le librerie per i sistemi di Composizione Assistita all’Elaboratore), esaltata oggi dalla capillarità e dalla fulmineità della distribuzione via web, sollevando interrogativi profondi sul concetto stesso di autore. Ma muovendosi molto più indietro, verso le pratiche di riutilizzo in Rossini e Mozart, o verso le formule anonime del canto gregoriano, non si potrebbe scorgere la ricorrenza di una ricerca di un mondo di «milioni di melodie che un giorno risuoneranno», dove il compositore può tendere una mano per un’idea musicale, meravigliosamente intravista da Busoni nel suo Abbozzo per una nuova estetica della Musica?
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