Democrazia diretta e circolazione di modelli: Svizzera e Paesi baltici
DOI:
https://doi.org/10.54103/2464-8914/21916Parole chiave:
Circolazione, democrazia diretta, Referendum, iniziativa popolare, revocaAbstract
L’articolo tende ad individuare in alcuni Stati europei (Svizzera Estonia, Lettonia e Lituania) punti in comune in relazione alla democrazia diretta, i cui istituti potrebbero essere in grado di riportare l’elettorato al voto.
Una circolazione di modelli in questo ambito che appare chiara è quella tra la Svizzera, in cui la democrazia diretta è così fortemente presente da essere quasi un tratto distintivo dell’identità nazionale, e gli Stati baltici, proprio nel periodo immediatamente successivo alla prima guerra mondiale, quando furono adottate le Costituzioni degli anni ‘20, su ispirazione di modelli già esistenti. In quel periodo, infatti, in cui le neonate Repubbliche baltiche dovevano darsi una Costituzione democratica senza averne avuto alcuna esperienza diretta, esse si ispirarono, da un lato, alla Costituzione di Weimar del 1919, e, dall’altro, alla democrazia diretta svizzera, abbastanza nota anche perché molti esuli dagli Imperi centrali avevano vissuto nella piccola Repubblica alpina o, comunque, ne conoscevano i particolari istituti.
Alla base di tale democratizzazione c’erano probabilmente anche alcune delle idee della Rivoluzione francese che, al di là delle Costituzioni dell’epoca rivoluzionaria che avevano avuto vita assai breve, erano comunque transitate nel costituzionalismo europeo.
Furono previsti quindi sia il referendum, spesso però promosso dall’alto, che l’iniziativa popolare, oltre alla revoca (di diretta derivazione dalle prime idee discusse in epoca rivoluzionaria) non del singolo parlamentare, bensì dell’intero Parlamento e, in alcuni casi, del Capo dello Stato.
In altri casi, e cioè nell’ipotesi di contrasto tra i due massimi organi, il corpo elettorale era chiamato a decidere, non certo in imitazione del modello elvetico, ma piuttosto di quello weimariano.
Durante il lungo periodo d’incorporazione nell’URSS (1940-1990), non fu usato nessun autentico strumento di democrazia diretta, salvo la revoca del singolo rappresentante del popolo, del tutto diretta però dall’onnipresente e onnipotente Partito comunista e quindi molto distante da un reale intervento del corpo elettorale.
Tale periodo, però, non eliminò il sentimento nazionale né il desiderio d’indipendenza; anzi, per dimostrare l’illegittimità dell’occupazione sovietica, si volle proprio sostenere la continuità con il periodo precedente all’incorporazione anche dal punto di vista costituzionale e legislativo.
Molti degli istituti delle Costituzioni degli anni ‘20 relativi alla democrazia diretta sono sopravvissuti quindi in quelle degli anni ‘90, facendo proseguire il legame ideale con la ben viva e funzionante democrazia diretta svizzera.
A conclusione delle riflessioni di queste pagine, non si può che notare ancora una volta come il trapianto d’istituzioni giuridiche, specie se a livello costituzionale, spesso porti a risultati che differiscono fortemente dal modello originario, dal momento che si basa su storie, culture, situazioni politiche e sociali assai diverse.
Come ultima, importante domanda rimane infine da chiedersi se la democrazia diretta, specie laddove non siano richieste alta affluenza alle urne o maggioranze particolari, sia sempre compatibile con i diritti delle minoranze.
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