La Biblioteca di Carte Romanze è una collana di volumi monografici o miscellanei, ispirati agli stessi criteri del periodico e sottoposti preliminarmente alla medesima procedura di double blind peer review utilizzata per gli articoli. Essi sono liberamente scaricabili in formato PDF dal nostro sito, mentre possono essere acquistati in formato cartaceo da Ledizioni, a questa pagina.

 

1.

La Guerra di Troia in ottava rima. Edizione critica a cura di Dario Mantovani, Milano, Ledizioni, 2013.

Immagine Mantovani

 















A partire dalla metà del Trecento, una gran parte dei temi narrativi della grande letteratura europea, ma anche molti materiali folclorici, storici e religiosi, furono tradotti in versi nelle ottave canterine. Tra i cantari antichi, databili cioè entro il XIV secolo, la Guerra di Troia è un esempio del tutto singolare, per le sue ampie dimensioni e per la sua dipendenza da fonti scritte. Quasi un poema, pur nelle vesti di un cantare, essa è prova del grande impatto che ebbero, non solo presso il pubblico dei mercanti, ma anche presso uditorî più vasti, materie fortunatissime come quella troiana, che a partire dal Roman de Troie di Benoît de Sainte-Maure (XII secolo) si sono spinte dal centro alla periferia della letteratura romanza medievale.

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2.

La Virago evirata. La Dame escoillée (NRCF, 83), edizione critica a cura di Serena Lunardi, Milano, Ledizioni, 2013.

La Dame escoillee è un fabliau anonimo composto nel Nord della Francia intorno alla metà del Duecento: l’autore offre una versione per molti aspetti originale della celeberrima “Bisbetica domata”, un nucleo narrativo assai prolifico nella lettera tura e nel folclore, dal quale trae spunto anche la nota commedia di William Shakespeare, The Taming of the Shrew. Il racconto antico-francese è per molti versi affine a un coevo Schwankmäre medio-alto tedesco, la Vrouwen Zuht di Sibote: entrambi gli autori tendono ad accentuare la valenza esemplare della vicenda nar rata e ad attenuarne i risvolti comici, attuando trasformazioni profonde rispetto al nucleo narrativo di partenza. La rielaborazione in chiave misogina e moraleggian te proposta dai due racconti raggiunge il culmine nell’episodio conclusivo, tutto giocato sull’ambiguo confine tra violenza e ruse, scherzo e verità, realtà e finzione: se le altre ricorrenze del motivo tendono a fare della megera una figura essenzial mente comica ed esaltano perciò gli aspetti buffi e farseschi del nucleo narrativo di partenza, i due testi medievali si chiudono invece sulla terribile e brutale puni zione della “Virago”, che viene appunto evirata e costretta finalmente mediante la violenza a sottomettersi al potere maschile che aveva osato sfidare. Di là dalle implicazioni antropologiche e psicologiche inquietanti sottese alla vicenda, rimane in primo piano il messaggio di cui il fabliau vuol essere portatore, principalmen te rivolgendosi alla coeva società aristocratica chiamata a reggere e difendere lo status quo: l’immagine snaturata e mostruosa della “Dama castrata” si propone infatti come il rovescio del ritratto cortese della donna, la sua immagine grottesca spinta sino alle estreme conseguenze al fine di mettere in guardia gli uomini spo sati rispetto alla necessità di mantenere ben saldo il confine tra realtà e finzione letteraria. Il libro offre anzitutto una nuova analisi delle procedure narrative, degli echi parodici di cui è intessuta l’architettura del racconto, dei procedimenti di riscrittura, degli effetti di dissonanza e risonanza creati dall’anonimo autore per dare maggior risalto al messaggio esemplare; viene inoltre proposta una nuova edizione critica del testo, fondata sulla classificazione di tutti e sei i testimoni, ac compagnata da una traduzione in italiano, da osservazioni sulla lingua dell’autore e dei copisti, da note di commento e da un glossario.

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3.

Moralitas Sancti Heustacii. Mistero provenzale, edizione critica a cura di Luca Bellone, Milano, Ledizioni, 2013.

La Moralitas Sancti Heustacii è esponente tra i più autorevoli del corpus dei Misteri alpini, pregevole repertorio di otto testi drammatici provenzali tardo-medievali redatti e successivamente messi in scena in alcuni villaggi nei dintorni di Briançon in una forbice cronologica assai ristretta (tra la fine del Quattrocento e l’inizio del secolo successivo) e in un’area sorprendentemente circoscritta. L’edizione critica che qui si presenta si fonda su «un ritorno al testo nella prospettiva di una nuova e rigorosa trascrizione, maggiormente attenta alla fenomenolo gia grafica del copista, integrata da indagini particolareggiate volte ad accertare, con piglio scientifico, veste linguistica, connotati metrico-stilistici [e] modelli di riferimento», e acquisisce un particolare rilievo soprattutto se raffrontata alla re cente ristampa anastatica (Kessinger Publishing, 2010) della prima e, fino a ora, unica edizione della sacra rappresentazione (1883).

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4.

Antonio Montinaro, La tradizione del De medicina equorum di Giordano Ruffo, Milano, Ledizioni, 2015.

Copertina Montinaro

Fra il 1250 e il 1256 Giordano Ruffo, nobile calabrese al servizio dell’imperatore Federico II, portava a compimento in latino il De medicina equorum, l’opera che segna la rinascita della trattatistica veterinaria medievale. Essa godette di una diffusione talmente ampia da potersi ritenere un vero e proprio best seller, la cui fortuna si evince dal numero di testimoni superstiti censiti, ben 189 (173 manoscritti e 16 a stampa) in 8 varietà linguistiche differenti: latino, italoromanzo, francese, occitanico, catalano, galego, ebraico e tedesco. A fronte di una tradizione così ricca e articolata, il trattato risulta poco studiato. Manca l’edizione critica del testo latino e sono pochissime, solo cinque, le traduzioni edite: tale situazione editoriale rende assai difficoltosa l’identificazione dei percorsi che hanno caratterizzato la diffusione romanza e non romanza dell’opera e problematica l’individuazione delle famiglie dei testimoni. Il volume intende fare il punto della situazione sulla frastagliata tradizione testuale del De medicina equorum: dopo aver fornito dettagliate informazioni su Giordano Ruffo e il suo trattato, si presentano i dati ricavati dalla collazione di un campione di codici e i risultati di un minuzioso censimento dei testimoni manoscritti e a stampa che tramandano l’opera e delle edizioni moderne ad essa relative.

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5.

Il Lucidario bergamasco (Biblioteca Civica Angelo Mai, ms. MA 188). Edizione critica a cura di Marco Robecchi, Milano, Ledizioni, 2017.

Copertina Robecchi

Composto al volgere del secolo XI, l’Elucidarium di Onorio Augustodunense godette di un’enorme fortuna nel corso di tutto il Medioevo. I manoscritti dell’originale latino sono centinaia, e altrettanto eccezionale è il numero di versioni nelle varie lingue europee. In ambito italiano si contano una traduzione dal francese, conservata da una trentina di codici, e tre volgarizzamenti dal latino, uno milanese, uno bolognese e uno bergamasco. Di quest’ultimo, tramandato da un unico manoscritto della metà del XV secolo, si offre qui per la prima volta l’edizione critica. Lo studio che la correda ne ricostruisce la genesi entro l’ambiente delle confraternite laiche che nella Bergamo quattrocentesca collaborarono strettamente con gli ordini mendicanti. All’interesse che ne consegue sul piano storico documentario si assomma quello linguistico, trattandosi di un testimone importante del volgare impiegato nella cittadina orobica, aperto agli usi delle scriptae sovramunicipali padane ma ancora poco permeabile all’influsso del toscano in via di affermazione.

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