Storia del prete che si innamorò e perse tutto. Uso e abuso della giustizia ecclesiastica nella toscana carolingia
DOI:
https://doi.org/10.13130/2464-8914/14889Parole chiave:
Giustizia carolingia; regole di procedura; giurisdizione ecclesiastica; disciplina del clero.Abstract
Grazie a due chartae toscane risalenti all’età carolingia possiamo ancora oggi conoscere la lunga, complessa e sfortunata vicenda giudiziaria di cui fu protagonista il prete Alpulo. Da una semplice liason tra un prete e una monaca nacque infatti una controversia che finì per coinvolgere un re, un conte, un missus imperiale, cinque vescovi e una lunga schiera di persone tra laici ed ecclesiastici. Dietro tanto dispendio di attività processuali, non è difficile riconoscere il disegno dell’episcopato lucchese teso ad accrescere il proprio patrimonio immobiliare nel territorio della Diocesi. Rileggere oggi i due documenti significa però soprattutto poter osservare più da vicino il funzionamento della giustizia carolingia. È noto come la monarchia franca avesse promesso una giustizia che fosse più vicina ai debiliores (o pauperes): maggiormente accessibile e capace, all’occorrenza, anche di proteggerli delle angherie dei potenti. Il caso qui analizzato par confermare i dubbi che la storiografia più recente ha avanzato circa l’effettivo mantenimento di tale promessa. A richiamare l’interesse dello storico giurista sul lungo iter giudiziario vi sono peraltro taluni passaggi che denotano, nel personale coinvolto, una certa attenzione per il rispetto di una disciplina processuale nient’affatto elementare.
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