Call for papers 2022

2021-04-28

Prospettive sulla sovranità

Il Comitato di Direzione dell’Italian Review of Legal History invita tutti gli studiosi a pubblicare nel numero 8 del 2022 un articolo per contribuire al dibattito sulla tematica della sovranità in prospettiva storica e/o nell’attualità con riferimento sia al contesto europeo sia a quello extraeuropeo e globale.

Il concetto di sovranità è da secoli al centro del dibattito giuridico, politico, filosofico e economico e pochi termini relativi alle istituzioni hanno assunto nella storia una gamma così ampia di significati. In ogni ambito culturale e da una pluralità di piani prospettici non si arresta la riflessione sul contenuto polisemico e sulle tante declinazioni del concetto nelle differenti aree del mondo non solo tra passato e presente, ma anche sulle possibili configurazioni che esso potrebbe assumere in un futuro più o meno prossimo.

Il termine per l’invio del contributo è fissato al 30 giugno 2022.

Si possono pubblicare articoli in lingua italiana, inglese, francese, tedesca, spagnola, portoghese.

Gli articoli saranno pubblicati, a scelta dell’autore:

  1. in italiano (o in un’altra delle lingue indicate) e in inglese
  2. soltanto in lingua italiana (o in un’altra delle lingue indicate) con un abstract in inglese di almeno quattromila caratteri.

Per ogni ulteriore informazione, anche relativa a come redigere e a come inviare i contributi, vi invitiamo a visitare il sito della Rivista https://riviste.unimi.it/index.php/irlh e, in  particolare, ai link https://riviste.unimi.it/index.php/irlh/about e https://riviste.unimi.it/index.php/irlh/about/submissions

Si prega di compilare entro il 31 dicembre 2021 il seguente modulo (file pdf compilabile con Acrobat Reader) e di inviarlo a segreteria.irlh@unimi.it e a claudia.storti@unimi.it 

Allo scopo di sollecitare il dibattito tra studiosi il Comitato di direzione presenta, in contrappunto, due schemi di riflessione:  

  1. Sovranità e feudalità

Il fascino ed insieme il dramma dell’epoca attuale, oramai identificata con l’attribuzione della qualifica di postmoderna, è ben riassumibile nel termine crisi. È questo termine a rappresentare in forma sintetica il tempo presente: crisi dei saperi, crisi di certezze, crisi anche dei parametri di svolgimento della stessa quotidianità dell’esistenza, che l’uomo pensava di avere messo al riparo da alterazioni profonde, attraverso la neutralizzazione dall’imprevisto nel percorso compreso tra l’alfa e l’omega della vita individuale e collettiva (Hartmut Rosa).

Una consolidata chiave di lettura storica della relazione tra Sovranità e Feudalità pone l’una in rapporto con l’altra in una prospettiva diacronica, tal che la prima si presenta come l’esito del progressivo abbandono della seconda forma di relazione tra soggetti e tra soggetti e beni, consumatosi tra la fine dell’età medievale e l’età moderna, per consentire alla Sovranità di divenire il paradigma esclusivo della titolarità del potere e delle forme del suo esercizio, destinato a dare alla società un ordine ben diverso da quello feudale (Montesquieu).

In questa direzione, la Sovranità si afferma come il perno di un sistema politico e giuridico insieme (fino all’età delle rivoluzioni i due termini procedono fianco a fianco) «che consente allo Stato moderno di affermarsi sull’organizzazione medievale del potere» basata sulla dialettica particolare/universale. Affrancandosi dall’intreccio delle reciproche dipendenze, che lo rendevano potere relativo in un contesto essenzialmente pluralistico, il sovrano elimina così i poteri feudali, i privilegi dei ceti e delle autonomie locali, per ridurre il loro ruolo di mediazione fra stato e individuo. Tra la fine dell’epoca moderna e l’inizio di quella contemporanea, assolutezza e carattere originario diventano così i fondamenti della Sovranità, destinati ad essere declinati nella inalienabilità, nella imprescrittibilità, nella perpetuità (Matteucci).

Tutto ciò, benché non siano assenti nell’età contemporanea (epoca di trionfo per la categoria della sovranità dello Stato) tentativi di individuare vie di fuga da essa, nella forma di soluzioni di eccezione (Carl Schmitt).

La prospettiva esclusivamente diacronica di lettura della dialettica tra Sovranità e Feudalità appare ora messa in discussione dalla considerazione delle forme assunte da taluni fenomeni sociali e politici del tempo presente, che pare orientare la riflessione sul rapporto tra le due categorie dispiegato attraverso la loro contemporanea presenza su di un piano sincronico, talché la società attuale, le strategie politiche e le architetture giuridiche che la contraddistinguono sembrano vedere intrecciarsi tra loro, senza soluzione di continuità, Sovranità e Feudalità nella costruzione delle relazioni intersoggettive e di quelle tra soggetti e beni. (Guido Rossi, 2015, Ricolfi, 2019).

Sul terreno del diritto l’effetto potrebbe allora essere quello dell’affermazione di un “sistema policentrico”, con un ordine caratterizzato dalla presenza, accanto al diritto uguale di originaria matrice rivoluzionaria, di un “diritto diseguale aggiuntivo”, capace di coesistere con il primo. Secondo questa chiave di lettura, il tempo attuale sarebbe poi contrassegnato da una completa sostituzione anche di un simile ordine plurale con una dinamica dominata dalla contingenza: una fase di decadenza che «sembra travolgere la stessa pensabilità dell’ordine», producendo «equilibri sempre provvisori e instabili che rispondono, di volta in volta, a compatibilità altrettanto provvisorie e instabili» (Mario Barcellona).

Tutto questo induce a porre una rinnovata attenzione alle categorie Sovranità e Feudalità su di un piano storico, per verificare, in particolare, i livelli di intersezione tra l’una e l’altra categoria, tanto sul piano della storia del diritto, quanto su quello della storia istituzionale, quanto, infine, sul piano della storia del pensiero. In conclusione, ecco talune questioni che, ovviamente senza esaurire il panorama dei nodi problematici riconducibili alla dialettica Sovranità/Feudalità, rappresentano la proposta di altrettante linee suggestive dello sviluppo della riflessione:

- I rapporti tra i due modelli di gestione del potere e il processo di secolarizzazione messo a segno tra età medievale ed età contemporanea;

- L’influenza delle due categorie sull’articolazione diritto pubblico/diritto privato tra età moderna ed età contemporanea;

- Sovranità, Feudalità e forme pluralistiche delle istituzioni fra età medievale ed età contemporanea;

- Sovranità e Feudalità di fronte alla funzione ordinante del diritto (sicurezza e certezza del diritto di fronte alla dialettica tra Sovranità e Feudalità);

- Sovranità, Feudalità, universalizzazione e globalizzazione (Bauman, Luhmann, Ratzinger, Habermas   

(A. Sciumè)

 

2. Sovranità, sussidiarietà, identità

Pochi termini relativi alle istituzioni hanno conosciuto nella storia un ventaglio altrettanto ampio di significati quanto quello di sovranità. Ed anche oggi su questo fronte la realtà presenta vistosi fenomeni di trasformazione per i quali occorre ricalibrare un concetto che viene variamente declinato in chiave storica come in chiave politologica. L’accoglimento ormai di gran lunga prevalente dell’idea di sovranità popolare, che ha radici antiche e moderne da Aristotele a Rousseau e che trova un ancoraggio essenziale nella concezione cristiana della pari dignità di ogni persona, comporta il principio fondamentale per cui nel mondo umano sovrano è l’individuo, ciascun individuo, sia come singolo che come libero componente di una collettività. Ogni altra forma di attribuzione e di esercizio del potere - a cominciare dai diversi modelli di democrazia rappresentativa - deve, in questa accezione, considerarsi derivata.

La sovranità non è stata nelle sole mani del sovrano neppure nell’età dell’assolutismo, in presenza della giurisdizione ecclesiastica, dei grandi tribunali, dei corpi intermedi e delle istituzioni di ceto. Nella prima età moderna il sovrano assoluto (teorizzato da Jean Bodin) aveva pur sempre ancora sopra di sé il diritto naturale, come gli imperatori e i re medievali erano limitati verso l’alto nei loro poteri dalla legge divina. Vero assolutismo fu piuttosto quello dei sovrani illuminati, ma già allora il moderno costituzionalismo, a partire dalla rivoluzione inglese del Seicento, aveva teorizzato la distinzione e l’equilibrio dei poteri, pur in forme molto  diverse in Europa e in America. E in seguito il principio della sovranità della nazione si fece strada nel 1789 e condusse,  dopo la parentesi napoleonica e dopo la restaurazione, alla progressiva affermazione nel 1848 delle varie forme di democrazia rappresentativa. La nozione giuridica prevalente nell’era delle Nazioni, che attribuiva allo Stato la prerogativa esclusiva della sovranità - una tesi condivisa ed esaltata dalle due tragiche guerre mondiali e condivisa dalle moderne dittature - era in realtà già allora superata sia teoricamente che storicamente. Nel secondo Novecento, un livello superiore rispetto alla sovranità legislativa dello Stato  si è imposto con le Costituzioni, i cui principi si sono imposti per opera delle moderne Corti costituzionali anche nei confronti dei legislatori nazionali. Ognuno di questi passaggi ha però conosciuto in Europa e non solo in Europa declinazioni infinitamente varie, che inducono lo storico a interrogarsi sempre di nuovo sull’idea di sovranità dopo la fine del mondo antico.

C’è di più: il mondo contemporaneo conosce il trasferimento di funzioni un tempo considerate tipiche  della sovranità nazionale a livelli di governo  diversi da quello dello Stato nazione: si pensi, per limitarci a un esempio,  alla sovranità monetaria della quale gli Stati membri dell’Unione europea si sono spogliati con la creazione dell’euro, il  quale a sua volta deve la propria legittimazione a un Trattato democraticamente approvato e gestito. Verso il basso, al di sotto dello Stato una quota di sovranità viene in molti Stati trasferito democraticamente (per costituzione) alle Regioni e ai Comuni. Altre funzioni sono invece trasferite ed esercitate, sia pure in forma limitata e imperfetta, al livello sovranazionale globale, incluse le giurisdizioni internazionali abilitate ad intervenire, ormai talora anche su ricorso di singoli, in caso di reati gravissimi non perseguiti dallo Stato in cui sono stati perpetrati; così la Corte internazionale di giustizia penale ed altre Corti internazionali.

Questa pluralità di livelli può essere variamente definita ma può venir collegata - senza che questo escluda altre possibili teorizzazioni -  al concetto di sussidiarietà verticale tra i diversi livelli del territorio (già Bartolo da Sassoferrato definiva populus  sia quello della città che quello dei regni e quello dell’Impero), i quali sono dunque almeno cinque, dal municipio alla regione, allo stato nazionale, alle federazioni tra stati sino alle istituzioni mondiali, a cominciare dalle Nazioni Unite. Non sorprende che sino ad oggi i poteri degli Stati nazionali siano di gran lunga prevalenti su quelli esercitati dagli altri livelli territoriali: basti considerare che allo Stato nazionale spettano la giustizia civile e penale, il fisco e  l’esercito, che in caso di guerra può giungere sino a disporre della vita e della morte di ciascuno di noi. Eppure, come si è detto, alcuni di questi poteri, anch’essi legittimi perché delegati direttamente o indirettamente dai cittadini, già esistono all’interno degli Stati federali come pure al livello sovranazionale, ad esempio con le missioni di pace dell’Onu.

Esistono però anche ulteriori dimensioni, che anch’esse integrano e circoscrivono in misura profonda i poteri che gli individui e le collettività sperimentano e che sono riconosciute democraticamente (là dove operano regimi democratici) dalle istituzioni politiche dei diversi livelli territoriali. Si tratta delle prerogative delle comunità intermedie e trasversali, costituite dalle appartenenze familiari, etniche, religiose, professionali, economiche, politiche o di altra natura.  Anche i legami di natura feudale appartenevano a questa categoria e tuttora le appartengono, là dove nel mondo sono tuttora operanti, pur se in forme diverse; quando in diversi contesti, incluso quello della malavita ma non solo,  si afferma che un soggetto è “un uomo di …” (un altro soggetto), si utilizza ancora senza saperlo  una terminologia di natura feudale.

Purché non lesive dei diritti propri ed altrui né dei principi costituzionali, ognuna di queste appartenenze  è legittima e si incrocia, in un fitto intreccio di relazioni, di regole e di comportamenti, con le norme e con le consuetudini vigenti ai diversi livelli territoriali; si tratta di altrettante identità collettive, ognuna delle quali radicata nella storia antica e recente. In ogni individuo almeno alcune di queste diverse identità sono compresenti, incluse naturalmente quelle del territorio, in virtù delle quali io sono nel contempo milanese, lombardo, italiano, europeo e cittadino del mondo. Il loro complesso, insieme con i caratteri creati geneticamente da madre natura e con quelli derivati (per adesione o per contrasto) dalla propria famiglia e dalle singole esperienze di vita e di pensiero, costituisce la trama e l’ordito dell’identità di ciascuno di noi, titolare primo ed ultimo della sovranità. Mentre nella realtà fisica la somma dei colori si risolve nel colore bianco, nella realtà umana individuale e collettiva questo ventaglio di identità resta visibile e costituisce un ricchissimo spettro che rende ogni individuo diverso da ogni altro ed ogni comunità - entro ciascuna delle dimensioni citate, territoriali e non territoriali - diversa da ogni altra.

Se è vero che il concetto monocratico di sovranità deve considerarsi superato, proprio per questa ragione è interessante indagare e ragionare sui diversi livelli, verticali e orizzontali, contigui e trasversali, ai quali si situano, nella storia come nella teoria, le tante dimensioni originarie e derivate della sovranità.

(A.Padoa Schioppa)