Delitto e pace privata: il pensiero di Bartolo
DOI:
https://doi.org/10.13130/2464-8914/14879Parole chiave:
Delicta; crimina; pace privata; Bartolo.Abstract
L’autore di un crimine poteva concludere un accordo transattivo con la vittima del reato o con i suoi familiari solo se il crimine commesso fosse punito dalla legge con pena capitale: tale era la disposizione sancita da una costituzione di Diocleziano dell’anno 293 (Cod. Iust. 2. 4. 18, lex Transigere) che i dottori delle Università medievali discussero analiticamente a partire dall’età dei primi Glossatori. Il commentario di Bartolo alla l. Transigere, che forma l’oggetto di questo articolo, esamina: a) la ratio e i limiti della disposizione che consente (per i crimini capitali) e vieta (per gli altri crimini) l’accordo tra le parti; b) la possibile estensione di queste regole ai delicta privata; c) la ratio delle due eccezioni previste dalla costituzione, che riguardano l’adulterio (per il quale l’accordo è vietato) e il falso (per il quale l’accordo è permesso); d) il coordinamento del testo di Diocleziano con la disciplina degli statuti cittadini. La dottrina di Bartolo qui esaminata include una rilevante Quaestio disputata e un Consilium, entrambi coerenti con le tesi esposte nel Commentario. Anche il raccordo tra il lavoro teorico di chi commenta il testo antico e alcune specifiche caratteristiche della procedura del tempo – incluse le riforme introdotte da alcuni stauti e il recente potere inquisitorio acquisito dai giudici penali – viene attentamente considerato dal grande giurista di Sassoferrato.
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