Una partita in cui non ci sono vincitori: Gmar gaviʻa di Eran Riklis
DOI:
https://doi.org/10.13130/2035-7680/6532Abstract
Che lo sport non rappresenti esclusivamente un semplice hobby, un divertissement
tramite il quale corroborare il corpo e distrarre la mente è cosa ben nota sin dai tempi
più remoti. Pur configurandosi come una pratica che riguarda e coinvolge innanzitutto
l’individuo e la sua complessità psicofisica, esso possiede parimenti un significato il
quale trascende l’ordinarietà di questi esigui confini. Lo sport, infatti, scrive, ad
esempio, Nitsch, non è soltanto un’attività “privata”, bensì un esercizio rivolto anche e
soprattutto agli altri, ossia “uno spettacolo” (cf. Nitsch 1992: 278), con tutte le
implicazioni che ne derivano. Lo sport è intrattenimento e comunicazione, divide e, al
tempo stesso, unisce ed esalta, capace di esercitare sull’immaginario collettivo un
potere catalizzatore paragonabile solo a pochi altri fenomeni culturali. Afferma
Crosson: “sport has developed over the twentieth century and into the twenty-first to
become one of the most important and influential of contemporary cultural practices”
(Crosson 2013: 1), come si può ben notare...