Call for paper - Storico
STORICO - CALL FOR PAPER CHIUSE / CALL FOR PAPERS CLOSED
Numero speciale per i vent’anni di “Doctor Virtualis” (2002-2022)
Fascicolo n. 18: ANALOGIA E MEDIOEVO SIVE VENT’ANNI DI ANALOGIE
Alcuni studi del secolo scorso e altri più recenti hanno individuato nell’analogia almeno due aspetti significativi. Da una parte l’analogia è un particolare strumento argomentativo, forte dal punto di vista persuasivo, ma debole dimostrativamente (Perelman-Tyteca, Trattato dell’argomentazione. La nuova retorica). Dall’altra parte l’analogia è quasi un a priori cognitivo con cui l’uomo concettualizza il mondo e progredisce nella conoscenza (Hofstadter, Sander, L’analogie. Cœur de la pensée; e, da questo punto di vista la metafora, come tipo di analogia o analogia condensata, ha un ruolo fondamentale nella filosofia come si legge in Johnson, Philosophy’s Debt to Metaphor).
Il presente numero intende raccogliere contributi intorno a vari aspetti che riguardano l’analogia e il Medioevo, una questione che sorge a partire da un angolo prospettico particolare: un’ipotesi storiografica che costituisce uno dei trait d’union dei temi e delle ricerche dei primi vent’anni di attività di “Doctor Virtualis”. Nel Medioevo molte di quelle che a prima vista, o secondo certi schemi storiografici, sembrano essere dimostrazioni solide, dalle fondamenta stabili come cattedrali gotiche (Panofsky, Architettura gotica e filosofia scolastica), sono piuttosto modi di argomentare, ricerche costanti di ordine, di orizzonti di senso possibili, rappresentazioni di mondo (Parodi, La città di Dio e la storia. Escatologia e metafora in Agostino). L’analogia, che certamente ha trovato nel Medioevo molteplici usi a diversi livelli di riflessione, rappresenta uno dei più significativi indici e uno dei modi di pensiero più interessanti per proporre non tanto dogmatiche soluzioni, quanto piuttosto percorsi possibili.
Il Medioevo ha teorizzato sull’analogia, ha usato l’analogia in varie forme facendola diventare uno strumento filosofico e teologico di importanza decisiva. Variamente intesa per colmare l’abisso tra umano e divino – si pensi all’analogia di proporzione agostiniana o all’analogia di attribuzione tomista – è anche meccanismo intrinseco di ragionamento, come accade, ad esempio, tanto nel De trinitate di Agostino quanto nell’Itinerarium di Bonaventura.
Quali sono le basi testuali (grammaticali, logiche e retoriche) con cui i medievali hanno potuto utilizzare questo potente strumento non solo argomentativo, ma anche filosofico? Ancor più, in che misura l’analogia è indice di una peculiare rappresentazione del mondo e come diviene strumento cognitivo?
Alla luce della potenza argomentativa e cognitiva dell’analogia, si aggiunge una domanda sull’uso dell’analogia non solo da parte degli autori medievali oggetto di studio, ma anche da parte dello studioso che osserva il Medioevo. Spesso il Medioevo è stato oggetto di paragoni con altre epoche, talvolta in senso negativo (quando ad esempio, incrementando i pregiudizi, il Medioevo diviene il paradigma del buio della ragione o delle pessime condizioni materiali e tecniche), talaltra in senso positivo (quando diviene epoca dell’oro, come accade in certi momenti del Romanticismo o in certe rappresentazioni Neoscolastiche); e non sono mancati tentativi di osservarlo in rapporto ad altri periodi in modo per così dire neutro, per pura finalità euristica. È lecito proporre analogie tra epoche differenti? Quanto il paragone tra epoche consente di incrementarne le comprensioni specifiche senza rischiare di sovrapporne le specificità e senza perderne le sfumature? Significa forse riflettere su identità e radici di un oggetto di studio in un’epoca determinata per coglierne la profondità storica?
Con la presente Call for paper si intende quindi raccogliere contributi per stimolare il dibattito attorno a questi interrogativi.
In sintesi:
1) L’uso medievale dell’analogia:
- Le basi testuali
- Quale rappresentazione di mondo
- L’analogia ha finalità più persuasive che dimostrative nel pensiero medievale?
- L’analogia è uno strumento cognitivo nei pensatori medievali?
2) L’analogia come strumento di interpretazione della storia
- È lecita l’analogia nella storiografia filosofica?
- È uno strumento euristico di comprensione di epoche differenti senza perderne le specificità?
- Aiuta a comprendere le profondità storiche di un oggetto di studio?
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Special Issue for the 20th year of “Doctor Virtualis” (2002-2022)
Issue n. 18: ANALOGY AND THE MIDDLE AGES SIVE TWENTY YEARS OF ANALOGIES
A number of studies in the last century and others more recent have identified at least two significant aspects of analogy. On the one hand, analogy is a particular argumentative tool, strong persuasively, but weak demonstratively (Perelman, Olbrechts-Tyteca, The New Rhetoric: A Treatise on Argumentation). On the other hand, analogy is almost a cognitive a priori with which human being can conceptualise the world and can progress in the knowledge (Hofstadter, Sander, L’analogie. Cœur de la pensée; and, from this point of view, metaphor, as a kind of analogy or condensed analogy, plays a fundamental role in philosophy as we read in Johnson, Philosophy’s Debt to Metaphor).
This Issue aims to collect contributions on various aspects that concern analogy and Middle Ages, a question that arises from a particular perspective axis: a historiographical hypothesis that constitutes one of the traits d’union of the themes and researches of the first twenty years of activity of “Doctor Virtualis”. In the Middle Ages, many of what at first sight, or according to certain historiographic schemes, seem to be solid demonstrations, with stable foundations like Gothic cathedrals (Panofsky, Gothic Architecture and Scholasticism), are rather ways of arguing, constant searches for order, for possible horizons of meaning, representations of the world (Parodi, La città di Dio e la storia. Escatologia e metafora in Agostino). The analogy, which certainly found many uses in the Middle Ages at different levels of reflection, represents one of the most significant indices and one of the most interesting ways of thinking to propose not dogmatic solutions but rather possible paths.
Middle Ages theorised on analogy, it used the analogy in different forms, and turned it into a philosophical and theological tool of decisive importance. Variously understood in order to bridge the gap between the human and the divine (one can think, for example, of the Augustinian analogy of proportion or the Thomist analogy of attribution), the analogy is also an intrinsic reasoning process, as occurs, for instance, both in the De trinitate by Augustine and in the Itinerarium by Bonaventure.
What are the textual bases (grammatical, logical and rhetorical) with which the medieval authors were able to use this powerful tool not only for argumentation, but also for philosophy? Even more, to what extent does analogy indicate a peculiar representation of the world and how does it become a cognitive tool?
In the light of the argumentative and cognitive power of analogy, a question arises about the use of analogy not only by the medieval authors under study, but also by the scholar observing the Middle Ages.
The Middle Ages have often been compared with other periods, sometimes in a negative sense (e.g. when, by increasing prejudices, the Middle Ages become the paradigm of the darkness of reason or of poor material and technical conditions), sometimes in a positive sense (when it becomes the golden age, as in certain moments of Romanticism or in certain Neo-Scholastic representations). In addition, there have been attempts to observe it in relation to other periods in a neutral way, so to speak, for purely heuristic purposes. Is it legitimate to propose analogies between different periods? To what extent can comparisons between epochs increase specific understandings without risking overlapping their specificities and without losing their nuances? Does it mean reflecting on the identity and roots of an object of study in a given era in order to grasp its historical depth?
This call for papers therefore aims to gather contributions to stimulate debate around these questions.
In summary:
1) The medieval use of analogy:
- The textual basis
- Which representation of the world
- Did analogy have more persuasive than demonstrative purposes in medieval thought?
- Is analogy a cognitive tool in medieval thinkers?
2) Analogy as a tool for interpreting history
- Is analogy permissible in philosophical historiography?
- Is it a heuristic tool for understanding different epochs without losing their specificity?
- Does it help to understand the historical depths of an object of study?
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Doctor Virtualis 16 Narrare il medieovo
Del medioevo, forse più che di altre epoche storiche, sono state e sono numerose, e talvolta contrastanti, le narrazioni e le rappresentazioni. Sappiamo che un’epoca storica, e quindi anche il millennio medievale, non esiste propriamente come oggetto definito e unitario, ma forse proprio di fronte alle molteplici letture che del medioevo sono state date nel corso della storia, diventa difficile contrapporre a visioni che si pretendono forti e unificanti un’ipotesi che invece sappia mettere in luce gli aspetti vari e plurali.
Nel prossimo numero della rivista ci proponiamo di osservare il medioevo dal punto di vista della narrazione: un medioevo che si racconta e un medioevo luogo di narrazioni.
Saremmo lieti di ricevere contributi su questo tema secondo le due linee direttrici. Da una parte un mondo che racconta se stesso, la sua società, il suo orizzonte mentale, il suo immaginario, attraverso diverse forme letterarie, mettendo in evidenza le proprie peculiarità, ma anche le proprie contraddizioni, come accade nella Navigatio Sancti Brendani. Dall’altra parte un medioevo oggetto di narrazioni, in quanto si tratta di un’epoca che più di altre è stata capace di risvegliare l’immaginazione narrativa e, meglio di altre, permette di sondare l’idea che forse anche la storia sia una forma di narrazione (H. White).
L’opera letteraria di Umberto Eco è da questa prospettiva un punto di riferimento interessante e certamente ispiratore: i romanzi descrivono il suo medioevo probabilmente meglio dei suoi saggi, proprio perché la forma narrativa sembra meglio adattarsi a una molteplicità di prospettive, personaggi e ambienti che creano il proprio oggetto nel momento in cui viene raccontato. Il tema dell’auctoritas, della falsificazione, del viaggio, i luoghi dell’abbazia (Il Nome della rosa) o della corte (Baudolino), sono solo esempi di modi possibili di narrare il medioevo, epoca che ripropone tutta la sua vivace complessità proprio nella forma del romanzo.
Vanno in questa direzione anche numerose altre rappresentazioni, come accade in Il castello di Otranto (Walpole), Assassinio nella cattedrale (Eliot), Brancaleone, il romanzo (Age, Scarpelli, Monicelli), l’Ordalia (Chiusano) per citare solo alcuni titoli tra le centinaia che rinviano a quest’epoca in modi e con stili diversi. Ma molteplici sono anche le immagini non letterarie che indicano un’analoga tendenza narrativa, poiché il medioevo diviene oggetto di una narrazione che talora tende a proiettare nel passato esigenze del presente, come nel medioevo idealizzato e utopico di William Morris che si contrappone alla società mercantile e industriale dei suoi tempi.
Contributi che riflettano su questi argomenti, con particolare attenzione alle rappresentazioni del medioevo e ai modi di raccontare quest’epoca che emergono sia dal pensiero e dalla letteratura medievale, sia dal pensiero e dalla letteratura moderna e contemporanea consentiranno di delineare un’epoca che trova le sue molte identità nella costante e sempre nuova forma della narrazione.
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Doctor Virtualis 15 Mistica e conoscenza
La domanda fondamentale da cui nasce questo numero della rivista è la seguente: è possibile mettere a confronto l’atteggiamento caratteristico di una linea del pensiero mistico medievale con alcuni aspetti del pensiero contemporaneo? Quali in particolare?
Un primo elemento da considerare riguarda il modello tipico della riflessione monastica del XII secolo, in cui la prospettiva mistica, con linguaggio fortemente metaforico, descrive un percorso conoscitivo nel quale il soggetto si assimila all’oggetto conosciuto (dinamica descritta in analogia alla relazione tra amante e amato).
In questa prospettiva nel contesto del pensiero monastico del XII secolo appaiono rilevanti la scuola di san Vittore e il mondo cistercense, che presentano aspetti di originalità con cui la tradizione viene ripresa alla luce di una nuova sensibilità “umanistica” e può essere confrontata con altre proposte filosofiche del periodo.
Lo stretto rapporto con temi squisitamente filosofici emerge soprattutto nelle dottrine della conoscenza strettamente collegate alla tradizione agostiniana e, più in generale, all’eredità del neoplatonismo (Corpus Areopagiticum e Scoto Eriugena ad esempio).
Tra gli altri temi di origine medievale presenti nelle riflessioni dell’età contemporanea si possono rilevare una concezione della mistica come conoscenza affettiva e del linguaggio metaforico come strumento fondamentale di espressione.
Le domande a cui si tenta di trovare risposta sono, tra le altre, le seguenti:
Quali aspetti dell’insegnamento agostiniano sopravvivono in un momento in cui esso viene messo in profonda discussione dalla diffusione di nuovi testi aristotelici e dalla centralità progressivamente attribuita alla logica? Si pensi, ad esempio, a un autore rilevante come Giovanni di Salisbury, testimone dello scontro tra Bernardo di Chiaravalle e Abelardo.
Quali spunti emergono in questo senso da una riflessione storico-filosofica come quella di Mario Dal Pra, con particolare riferimento a Scoto Eriugena e Giovanni di Salisbury?
L’uso del linguaggio nel pensiero monastico, che consente di approfondire il rilievo attribuito alla metafora, permette un’apertura verso questioni a noi contemporanee? Si pensi ad alcune riflessioni recentemente sviluppate anche con riferimento alla filosofia moderna e contemporanea (Lakoff, Johnson, Hofstadter tra gli altri).
A partire dalla grande lezione di J. Leclercq sull’amore delle lettere come tratto decisivo della tradizione monastica, si potrebbe andare oltre per approfondire il posto della mistica sia nel pensiero teologico contemporaneo, sia nel pensiero per così dire “laico”? In entrambi i casi con una funzione probabilmente di alternativa alla tradizione neoscolastica, in cui si riconoscono grandi storici della filosofia medievale del XX secolo.
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Doctor Virtualis 14 Filosofie francescane
1.
Nella tradizione culturale occidentale torna costante il richiamo a Francesco di Assisi, quando ci si intende riferire a una visione del cristianesimo fedele all’insegnamento evangelico, a scelte politiche attente ai bisogni dei poveri o, addirittura, all’importanza di una consapevole coscienza ecologica, come risulta in modo particolarmente evidente nella recente enciclica papale Laudato si’.
La funzione fortemente simbolica attribuita a Francesco interroga anche lo studioso del pensiero medievale, in quanto sembra individuabile una filosofia esplicitamente francescana, fin dal periodo della riflessione scolastica nel XIII e XIV secolo, ma nello stesso tempo non appare chiaro che cosa vi sia di specificamente legato alla eredità di Francesco in questo tipo di tradizione filosofica. La tradizione sembra identificabile e riconoscibile soprattutto per le sue componenti di origine agostiniana, ma non è del tutto evidente per quali motivi una ispirazione francescana dovrebbe confluire nella tradizione che si richiama ad Agostino.
Si è sottolineata talvolta - come in Alessio - la divaricazione tra una linea che si richiama a Bonaventura e al suo impegno di tradurre il pensiero francescano in una consapevole riflessione teorica proponibile nell’insegnamento universitario, e una linea che invece trova il proprio rappresentante più significativo in Ruggero Bacone, che interpreta l’ispirazione francescana in senso prevalentemente metodologico, come richiamo al necessario confronto con le proprie origini popolari, che porterebbe a un atteggiamento di carattere sperimentale nel modo di concepire il processo della conoscenza e di costruire una visione unitaria delle scienze. Si tratta di una interpretazione sicuramente suggestiva, più significativa, dal punto di vista storico, rispetto ad esempio a quella di Gilson che vede i due pensatori francescani caratterizzati soprattutto, in Bonaventura, dalla tendenza mistica a Dio e, in Bacone, dall’impegno apostolico. Entrambe tuttavia si rivelano utili, pur da punti di vista assai differenti, più per distinguere le linee interne al pensiero francescano che per chiarire che cosa in ultima analisi lo renda appunto francescano.
Da un diverso punto di vista la questione può essere considerata anche come un momento di confronto, e talora di scontro, tra i maestri del XIII e XIV secolo, intorno ad alcuni temi filosofici di fondo; e allora viene da chiedersi se si tratti in sostanza del tentativo di bilanciare l’aristotelismo egemone nella riflessione filosofica di questi anni con una tendenza contrapposta che si richiama in termini ideologici a Francesco e in termini teorici ad Agostino.
2.
Perché il francescanesimo filosofico confluisce quasi naturalmente nella tradizione agostiniana? Anche dai grandi studiosi del pensiero medievale del secolo scorso la stretta relazione fra Agostino e Francesco viene assunta come dato di fatto e non chiarita in termini di rapporti dottrinali o teorici. Secondo Vignaux un elemento di particolare importanza che caratterizza la relazione tra Francesco e Agostino è il tema della conversione, e infatti sembra potersi dire che in Agostino si tratta non solo di un momento religioso o esistenziale, ma anche di un atteggiamento costante della riflessione filosofica; analogamente in Francesco la conversione è sia momento pratico-esistenziale, nell’abbandono della ricchezza e del mondo, sia passaggio essenziale del suo cammino religioso. A conferma della sua centralità, la conversione rappresenta, a parere di Vignaux, il movimento iniziale della metafisica nella tradizione filosofica dei maestri francescani.
Nell’ambito della riflessione sul problema della conoscenza è frequente richiamo alla dottrina agostiniana dell’illuminazione, contrapposta a quella aristotelica dell’astrazione. E allora nasce la domanda; si tratta di un momento del confronto, ripropostosi in molti modi nella storia della filosofia occidentale, tra realismo e posizioni che, proprio per la consapevolezza dei limiti della ragione umana di fronte al soprannaturale, presentano forti componenti soggettivistiche, talvolta pericolosamente vicine allo scetticismo, e forse persino idealistiche?
Anche da questo punto di vista è evidente il debito nei confronti della tradizione agostiniana, ma molto meno quello nei confronti della ispirazione francescana, se non nel tentativo di coniugare illuminazione ed esperienza, per individuare la sapienza come punto di arrivo della conoscenza umana e, nello stesso tempo, culmine della imitazione di Cristo.
3.
Nella misura in cui il richiamo al francescanesimo può essere interpretato come riferimento a una scelta ideologica in grado di prendere le distanze dall’aristotelismo che appare troppo invadente, diventa molto interessante approfondire la dialettica tra agostinismo e aristotelismo presente in alcuni autori francescani per chiarire in quali termini essa sfoci in posizioni talvolta apertamente conflittuali anche dal punto di vista politico.
È significativo osservare, da questo punto di vista. come esistano posizioni, all’interno della storiografia di ispirazione neoscolastica del secolo scorso (Boehner ad esempio), che ritengono improprio parlare di un francescanesimo agostiniano e sottolineano piuttosto come i maestri francescani facessero comunque riferimento al metodo aristotelico quale metodo scientifico e rigoroso per una ricerca filosofica distinta dal discorso teologico, al punto che ne sembrerebbe persino emergere una proposta valida per la stessa neoscolastica novecentesca che, sull’esempio dei filosofi francescani, dovrebbe dimostrarsi capace di rinnovamento e apertura ai risultati della nuova cultura scientifica.
4.
Altrettanto interessante, per delineare la complessità del problema, è la considerazione dei contributi storiografici che vengono dall’interno della stessa tradizione francescana. Per limitarsi a due fra gli studiosi più conosciuti, si può osservare che Merino, nella sua Storia della filosofia francescana (1993), e Todisco - Lo stupore della ragione (2003) - inseriscono il pensiero francescano nella tradizione platonico-agostiniana, sottolineando la centralità della concezione relazionale nel rapporto tra uomo, creazione e Dio e la priorità della volontà-amore e del bene sull’intelletto e la verità.
Todisco in particolare si propone di individuare i posibili esiti ultimi del pensiero francescano nel pensiero moderno e contemporaneo, cercando di avviare un dialogo ideale tra alcuni pensatori medievali (Bonaventura, Scoto, Ockham) e alcuni filosofi contemporanei (Girard, Lévinas, Wittgenstein), in grado di ridare alla ispirazione francescana quel ruolo che nella storia della filosofia moderna sarebbe stato oscurato dalla vittoria del pensiero aristotelico-tomista. Di fronte alla autonomia della ragione, che può spingersi fin a rendere Dio superfluo, ricompare una ragione che nel rapporto diretto con Dio cerca il presupposto della relazione con l’altro; all’egemonia del pensiero deduttivo si contrappone un pensiero narrativo aperto a cogliere il mistero del libero intervento di Dio nella storia; al primato dell’intelletto e, conseguentemente, del vero si sottolinea il ruolo essenziale della volontà e, conseguentemente, del bene.
Da questo punto di vista dovrebbe risultare più evidente anche un rapporto diretto con l’esperienza di Francesco, che riconduce l’essenza del reale e l’anima della storia alla logica del bene, anziché a quella del vero e del razionale, e che attraverso pensatori come Bonaventura, Bacone, Scoto e Ockham acquista dignità filosofica e teologica, ponendosi come mediazione fondamentale di fronte all’infinito della verità e di un mondo voluto da Dio per un atto di amore assolutamente libero.
Anche secondo Merino il pensiero francescano si basa su un’esperienza personale e comunitaria che interseca l’esperienza stessa di Francesco e la sua visione del cosmo; nell’impegno a scoprire e vivere la verità come illuminazione, liberazione e salvezza, il senso pragmatico del sapere risulta essenziale nei filosofi francescani. L’ispirazione centrale in autori come Bonaventura e Scoto - pur con significative differenze - è l’idea di relazione, categoria non accidentale come nella tradizione aristotelico-tomista, ma trascendentale ed essenziale, e Scoto in particolare, da questo punto di vista, può essere considerato un anticipatore della filosofia dialogica centrale nella riflessione filosofica del secolo scorso.
In ultima analisi, anche nella prospettiva della storiografia francescana, sembra rimanere senza risposta precisa l’interrogativo a proposito dell’essenza della filosofia francescana; ancora una volta la riflessione sembra concentrarsi più sui presupposti, che sull’oggetto specifico del pensiero dei maestri francescani.
Rimane dunque la domanda: come leggere una linea di pensiero la cui esistenza nessuno sembra mettere in dubbio, ma la cui specificità continua a sfuggire?
5.
Provando ad assumere il punto di vista che considera i conflitti tra maestri francescani, domenicani e secolari, così come quelli fra agostinismo e aristotelismo, come momenti di confronto su temi che, in contesti naturalmente molto diversi e con differenti significati storici, si ripresentano nella storia del pensiero filosofico, quali sono le questioni che vengono sottolineate in maniera specifica dalla tradizione francescana?
Di fronte a una considerazione della realtà come data una volta per tutte, rispetto alla quale l’uomo ha un compito quasi esclusivamente conoscitivo, senza la possibilità di intervenire a cambiare il mondo, il francescanesimo presenta una lettura del finito quasi in termini di incompiutezza che richiede l’intervento consapevole da parte dell’uomo, sia sul piano teorico sia su quello etico-pratico.
Anche la conoscenza umana deve compiere un percorso di perfezionamento - nel quale si comprende il ruolo fondamentale svolto dall’amore e dalla volontà - che può ambire alla propria compiutezza solo per mezzo della teologia, all’interno della quale si viene sviluppando un modo particolare di intendere gli articoli di fede e una riflessione sul linguaggio con cui vengono espressi, con una specifica attenzione agli elementi poetici e retorici. Se, in tal modo, riescono a ottenere cittadinanza negli ambienti universitari la tradizione agostiniana e quanto sopravvive di quella monastica, che pure fino al XII secolo di quella linea di pensiero era stata parte essenziale, viene da chiedersi se sia possibile pensare si venga delineando un atteggiamento simile a quelli che in epoche successive attribuiranno significativo rilievo alla storicità della elaborazione umana dei dati della rivelazione.
Il dinamismo della realtà creata deriva non solo dalla partecipazione attiva delle creature, ma dalla stessa costituzione metafisica del creato, nella quale la composizione ilemorfica e la dottrina della pluralità delle forme inseriscono nel mondo una tensione verso il ritorno al principio, parallela alla tensione dell’anima rivolta al proprio perfezionamento che la riconduca a Dio.
L’idea di incompiutezza del creato e di un percorso che riporti alla propria perfezione tutte le creature da un lato sembra porre il valore del mondo nel suo significato trascendente, ma, d’altro lato, si segnala come tema caratteristico dei maestri francescani, soprattutto in autori come Scoto e Ockham, anche l’attenzione e l’amore per le cose contingenti e temporali: si può dire come in Francesco? Se certamente francescano e agostiniano è il rilievo accordato alla intenzionalità della conoscenza coerente all’amore che muove l’intelletto, si può sostenere anche che sia tipicamente francescano l’amore per il contingente nella sua bellezza, semplicità e temporalità?
Atteggiamenti che pure compaiono nello sviluppo del pensiero francescano, come probabilismo e nominalismo, pongono una ulteriore domanda sul modo in cui il cosiddetto scetticismo cristiano trovi radici in alcuni aspetti di questa tradizione, che forse rimandano all’idea di un rapporto diretto con Dio, già presente in qualche misura nello stesso Francesco.
6.
Se si considerano le vicende della riflessione cristiana nel mondo contemporaneo, viene da chiedersi se e in quale misura l’insistenza francescana sulla necessità di trasformare il mondo e di intervenire sia sul piano teorico sia su quello etico-pratico possa avere influenzato le letture del cristianesimo che ne accentuano il carattere di dottrina etica con elementi essenziali di filosofia della prassi e che si contrappongono alle letture che invece sottolineano i contenuti dottrinali e dogmatici. Per limitarci ad alcuni esempi novecenteschi, si possono ricordare storici della filosofia come Mario Dal Pra, per il quale l’impegno pratico, etico e politico, attraverso il processo decisivo della interiorizzazione. è un passaggio decisivo per uscire dalla crisi drammatica della metà del XX secolo, o come Vignaux che si richiama alle componenti pratiche del francescanesimo per andare verso una cultura del lavoro in grado di opporsi all’egoismo caratteristico sia della società capitalistica sia di quella socialista, che instaura un rapporto di dominio tra l’uomo e la natura. O ancora: il concilio Vaticano II e la teologia della liberazione, nella quale alcuni dei protagonisti sono appunto francescani.
Particolarmente interessante il rapporto esistente fra tradizione francescana e movimento modernista, al quale fu vicino lo stesso Paul Sabatier, da molti considerato l’iniziatore della moderna storiografia francescana. Insistendo sul tradizionale parallelismo tra Cristo e Francesco, il movimento modernista tende a identificarsi con le loro vicende e a sentirsi tradito dalla Chiesa istituzionale come essi furono traditi rispettivamente dalla trasformazione del cristianesimo in una costruzione dogmatica e dai mutamenti interni all’ordine francescano.
Ernesto Buonaiuti, esponente fondamentale del modernismo italiano, propone Francesco come figura capace di mettere in discussione le rigidità della Chiesa e quindi come simbolo dell’impegno stesso dei modernisti, alcuni dei quali trovano nel suo insegnamento anche elementi di forte valore sociale e politico, come la rinuncia alla ricchezza, l’attenzione all’individuo, il rifiuto dei privilegi
7.
Sintetizzando quanto si è detto, rimangono fondamentalmente due le domande cui vorremmo trovare risposta: esiste davvero una filosofia francescana? Che cosa fa di una filosofia una filosofia francescana?
Si potrebbero aggiungere altri interrogativi, per così dire, complementari: potrebbero darsi filosofi francescani non appartenenti all’ordine francescano? E in questo modo si solleverebbe nuovamente il problema degli -smi: se francescanismo - ci si scusi il neologismo - è una tradizione di pensiero, uno stile di riflessione filosofica che trascende l’appartenenza istituzionale all’ordine dei frati minori, è ancora più difficile rispondere alla domanda: c’è qualcosa di Francesco o di francescano in una filosofia francescana?
È abbastanza evidente che, alla spalle di queste domande, si intravede l’altra enorme questione, tanto discussa e forse mai risolta, sulla possibilità che esista o si possa parlare di una filosofia cristiana. Ma riproporre un interrogativo di questo genere ci porterebbe troppo lontano.