Abstract
Ogni giorno abitiamo numerosi universi digitali che si sovrappongono dramma-ticamente alla realtà fisica. La nostra identità è costituita da una moltitudine di personaggi creati appositamente per interpretare una personalità frammentata. Tuttavia, fino a che punto ne siamo consapevoli? Applicando il concetto di “meraviglioso” di Torquato Tasso in quanto elemento rivelatore, ovvero, «un processo che dà accesso a una dimensione nascosta oltre la realtà» (Ardissino 2019), il saggio si propone di analizzare Monomyth: gaiden (2018-2020), una serie animata in quattro atti realizzata dall’artista ungherese Petra Széman. Rielaborando il tema del viaggio dell’eroe e una narrazione non lineare tipica di anime e manga, gaiden in giapponese, Széman intercetta le discrepanze che nascono all’intersezione tra schermo e individuo «in una realtà elusiva e multilivello» (Széman 2018). L’artista crea un épos digitale per osservare ciò che accade «tra il sistema percettivo umano e il suo ambiente mediale» (Levitt 2018) in una rete interconnessa composta da regni virtuali e identità non localizzate.