Definizione di unità di misura del tempo musicale nel "Pomerium" di Marchetto da Padova
DOI:
https://doi.org/10.13130/2035-7362/810Abstract
Nella notazione musicale ancora alla metà del Duecento i valori di durata sono organizzati in raggruppamenti di piedi ritmici costruiti su un minimo di durata (la breve), che è anche unità di misura del tempo musicale, corrispondente alla sillaba. Con la nascita della notazione mensurale, verso la fine del Duecento, ma soprattutto in seguito all'evoluzione della prassi compositiva, nei primi decenni del Trecento fu necessario ridefinire il rapporto tra tempo, minimo di durata e unità di misura. I musici al di qua e al di là delle Alpi ovviarono diversamente dando vita a due sistemi musicali e notazionali, italiano e francese, differenti proprio nei loro presupposti teorici. In ambito italiano Marchetto da Padova dimostra come l'unità di misura del tempo musicale non coincida con il minimo di durata in senso assoluto, ma con ciò che è minimo all'interno del genere musicale: pur chiamandosi ancora breve, l'unità di misura nel sistema notazionale italiano può arrivare a contenere fino a dodici suoni. L'articolo mette a fuoco come Marchetto da Padova giunga alla definizione dell'unità di misura del tempo musicale nel suo trattato Pomerium e mostra le implicazioni di tale presupposto sulla prassi compositiva e la specificità del repertorio medesimo rispetto al coevo repertorio francese.
During the latter half of the thirteenth century and particularly in the the fourteenth century, the mensural notation redefines the relationship between tempo, beat and temporal units. Italian and French musicians use different notational systems each with their own theoretical assumptions. In Italy Marchetto da Padova demonstrates that the beat does not coincide with the minimum in a quantitative understanding of musical time, but with the minimum in a qualitative undestanding of musical time: even it is called 'brevis', the beat in the Italian notational system can be divided up to twelve notes. The article focuses on how Marchetto of Padua explains it in his treatise Pomerium, and shows the implications of this assumption in compositional practice.
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